LA GUERRA DELLE IMMAGINI
La “presa” di Baghdad nel 2003 da parte degli americani è stata preceduta e propagandata con immagini video dell’abbattimento della grande statua di Saddam: al modo di un rituale apotropaico, il nemico si sconfigge già distruggendo la sua immagine. L’uso strategico di certe sopravvivenze arcaiche relative al potere delle immagini dimostra quanto queste coronano la supremazia di un potere sull’altro.
Come dimostrano le recenti guerre in Medio Oriente, le immagini continuano e a volte precedono uno stato di guerra, fino alle feroci immagini-video delle gole sgozzate dall’Isis, macabre visioni del terrore che prolungano il capitolo dello spettacolo delle immagini di tortura di Abu Grahib fatte dai civilissimi marines.
L’ABUSO SURREALISTA
I surrealisti dicevano che fare un buon uso delle immagini – oniriche soprattutto – consiste nell’abusarne. Il suggerimento è stato preso alla lettera e dall’abuso delle immagini si è passati all’abuso dei fatti. Perché le immagini della violenza stanno alla memoria collettiva come la marchiatura sta alla pelle.
Si tratta della stessa marchiatura che Nietzsche descrisse nella Genealogia della morale quando osservava che già le guerre troiane erano uno spettacolo offerto agli dei. La violenza delle immagini ci ricorda il nostro debito di sottomissione al potere, che trova in quelle pubblicitarie la sua profilassi quotidiana.
NIETSCHE, LA MORALE E LA MERDA
Nietzsche indirettamente auspicava un’economia politica della morale. Ugualmente si potrebbe prospettare un’economia politica delle immagini. Perché la loro apparente spoliticizzazione è il cavallo di Troia della loro supremazia sullo sguardo dei popoli.
Il contenuto ideologico delle battaglie si vince con una strategia fantasmatica, che è vissuta in apparenza come “apolitica”. Foucault parlava di “corpi docili”, a cui oggi occorre aggiungere gli sguardi assoggettati. La liturgia punitiva collettiva somministrata col massiccio impiego di immagini di violenza non risparmia il mondo dell’arte, grande magazzino di ossessioni dell’estremo e dell’orrore che punteggiano il presente.
Breton spaventava i piccoli borghesi dicendo che l’opera d’arte perfetta era quella di sparare a caso sulla folla. Si limitava alla provocazione. Le grandi merde di Gilbert & George, vanto dei musei del contemporaneo, sono l’icona realistica del nostro tempo.
Marcello Faletra
saggista e redattore di cyberzone
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #25
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