Venezia in quattro mosse
Venezia quest’estate significa anche e soprattutto Biennale d’Arte. Con la mostra diretta da Okwui Enwezor in primis, distribuita fra l’Arsenale e il Padiglione Centrale ai Giardini. Ma poi ci sono le decine di padiglioni nazionali, e le tantissime mostre a corollario, fra le quali abbiamo scelto due esempi da non mancare durante la vostra visita in Laguna.
Chiharu Shiota è l’autore della trama rosso vermiglio che avvolge il Padiglione del Giappone (in netta pole position anche nel nostro sondaggio sul miglior padiglione straniero in Biennale), nel cuore dei Giardini veneziani. Gli spazi lineari intitolati al paese asiatico cedono il posto all’intensità di un’opera basata sul valore della memoria. L’installazione The Key in the Hand, a cura di Hitoshi Nakano, colpisce i sensi con grazia e rigore, generando un piacevole effetto immersivo.
Un intrico di fili rossi si dipana attraverso l’ambiente, lasciando emergere le sagome di due barche di legno che accolgono, come due mani unite a coppa, i veri protagonisti della scena: una cascata di chiavi, appese ai fili, raccolte da ogni parte del mondo. Di foggia e dimensioni diverse, le chiavi sono portatrici di memorie, scivolate di mano in mano attraverso il tempo. Le fotografie e i video a corollario dell’installazione veicolano la giovane memoria dei bambini, mettendola in relazione con un passato già scritto e un futuro da compiersi.
Si contano sulle dita di una mano i nomi degli artisti italiani selezionati da Okwui Enwezor per la Biennale di Venezia (qui trovate tutti gli articoli che gli abbiamo dedicato in queste ultime settimane). Monica Bonvicini è tra questi, con un’opera che non lascia dubbi sulla percezione della contemporaneità. La sua installazione infatti parla chiaro, fin dal titolo. Latent Combustion detona negli spazi delle Corderie dell’Arsenale, solitamente di ampio respiro, ma trasformati da Enwezor in un continuum quasi obbligato. Eppure gli assemblage di motoseghe e asce nere saldate insieme, ricoperte da una colata di spesso colore nero e appese al soffitto come corpi scomposti e inermi, riescono a imporsi allo sguardo. Sono simulacri di battaglie e violenze storicamente ricorrenti, accatastati in un cumulo sospeso che, neutralizzandoli, ne esalta al tempo stesso il terribile potenziale.
Un senso latente di atrocità sembra percorrere anche le opere di altri due italiani scelti da Enwezor. Il muro di valigie ideato da Fabio Mauri parla di radici strappate e migrazioni imposte, mentre il Cannone semovente di Pino Pascali condensa insieme potenza e atto, delineando un futuro dai tratti decisamente incerti.
I Musei Civici veneziani confermano la propria presenza durante la 56. Biennale d’Arte. Lo straordinario Palazzo Fortuny dedica al potere delle proporzioni una mostra memorabile. Curata da Axel Vervoordt e Daniela Ferretti, Proportio indaga l’onnipresenza delle proporzioni universali nelle varie discipline umane, tra musica, scienza e architettura. Al centro dell’indagine, i rapporti geometrici che da sempre determinano la realtà di ogni giorno, visti attraverso la lente dei canoni artistici, dal passato ai giorni nostri.
Arte antica e opere contemporanee affollano i sontuosi piani del palazzo, sottolineando l’influenza della proporzione nella messa a punto di stili e approcci al reale. Da Dürer a Vitruvio, da Alberti a Palladio, la riflessione sulla resa geometrica dello spazio trova nuove interpretazioni nei lavori di autori contemporanei come Marina Abramovic, Bill Viola, Anish Kapoor e Alberto Giacometti, accostati, questi ultimi, in una sala dall’incredibile potenza percettiva.
Sul palcoscenico contemporaneo illuminato dalla Biennale, anche la classicità riesce a guadagnarsi uno spazio di tutto rispetto. Succede a Ca’ Corner della Regina, sede veneziana della Fondazione Prada, dove Salvatore Settis e Davide Gasparotto mettono in scena Portable Classic, autonomo completamento di Serial Classic. A Venezia, oltre ottanta opere riconoscono il giusto prestigio alle riproduzioni in miniatura delle sculture classiche, emblema dei canoni che hanno attraversato i secoli, da Roma all’Europa moderna.
La ricca sezione, intitolata ai collezionisti del Cinquecento, dimostra la trasformazione di queste sculture in preziosi oggetti da collezionare. Mirabile la riproduzione dell’Ercole Farnese, alta oltre tre metri, ottenuta a partire da un calco in gesso e attorniata da un’impressionante infilata di ulteriori copie in scala minore, in marmo, bronzo e terracotta.
Arianna Testino
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #26
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