La responsabilità sociale del museo
I musei non sono solo contenitori di eventi o custodi della tradizione. Possono e devono essere anche organismi vivi, consapevoli delle dinamiche sociali contemporanee. Numerose istituzioni museali sparse per il pianeta mettono in pratica questa teoria, ma gli interrogativi sul legame tra responsabilità e cultura restano aperti.
ALCUNE DATE RILEVANTI NEGLI USA
Stati Uniti, giugno 2015. I matrimoni fra persone dello stesso sesso sono riconosciuti per legge in tutti gli Stati Uniti: decine di musei esplicitano, in modo istituzionale, l’entusiasmo per un evento di portata storica.
Stato dell’Indiana, aprile 2015. Diversi musei si appellano contro il Religious Freedom Restoration Act, la controversa legge sulla libertà di religione che consente ai gestori di esercizi commerciali di non servire clienti LGBT.
Dicembre 2014. Un gruppo di blogger, professionisti del settore museale, incita le proprie istituzioni affinché si facciano portavoce dell’ingiustizia dei fatti di Ferguson e New York. Lo scopo è incoraggiare un nuovo movimento che promuova una maggiore tolleranza razziale; l’hastag è #museumsrespondtoferguson.
I MUSEI S’IMPEGNANO
Storie di musei che riflettono il cambiamento delle società a cui si rivolgono e che, soprattutto, decidono di accompagnarlo. Parliamo di Stati Uniti ma non si tratta certo di casi isolati: sempre più musei del mondo scelgono ogni giorno di prendere posizione su temi sociali che non li riguardano direttamente.
Anche gli spazi virtuali di riflessione su questi temi si stanno moltiplicando. È l’esempio del blog Incluseum, di Museums, Politics and Power o della recente rete Social Justice Alliance of Museums, sorta grazie all’intuizione dei National Museums of Liverpool. Quest’ultimo progetto promuove la diffusione di quell’equità collettiva che ci si auspica le istituzioni sappiano incoraggiare a più livelli, includendo l’emancipazione e il pieno coinvolgimento delle comunità dei propri territori.
ATTIVATORI, NON MERI CONTENITORI
Parliamo di musei diversi. Musei che possono essere di arte contemporanea ma che non si appellano esclusivamente alla voce di rottura di un artista o di un gruppo; musei di arte antica capaci di creare connessioni col presente. Musei scientifici, di arte applicata, etnografici, di case museo e di tutti gli altri.
Realtà, che, a prescindere dalle diverse prospettive che incarnano, rifuggono il ruolo di mero contenitore per trasformarsi in attivatori di comunità, capaci di interrogarsi sulle potenzialità anche di un fare etico. In questo senso, altrove, i musei stanno assumendo uno sguardo prospettico e complesso nel tentativo di porsi al centro dell’attuale dibattito sociale.
I musei si comportano come ci si aspetterebbe dagli intellettuali: assumono posizioni forti e impegnate anche al di fuori del proprio settore, facendosi carico di responsabilità anche di natura politica.
UNA SCELTA STRATEGICA
Questo approccio, di per sé, non presenta controindicazioni ma comporta una messa in discussione della propria competenza critica e civile. Amplia le ricadute di un ambito, tenendone salde le finalità di tipo educativo, secondo quell’approccio lifelong learning che dovrebbe accompagnare i cittadini lungo l’arco della loro vita.
Se scegliere di assumere posizioni forti significa, innanzitutto, aver ridefinito i propri scopi, parimenti farsi portavoce della vulnerabilità offre anche un’opportunità strategica per il coinvolgimento di quei gruppi marginali che sempre più spesso si tenta – correttamente – di includere.
TUTELE, VALORIZZAZIONE, INCLUSIONE
Ribaltare l’immaginario comune di un’istituzione considerata “solo un museo” non significa certamente metterne a repentaglio le fondamenta acquisite storicamente: i musei, in primis, rappresentano uno spazio di valorizzazione e presa in cura del patrimonio capace di veicolarne l’appartenenza collettiva tramite la fruizione. Questa loro dedizione li qualifica a priori come istituzioni “socialmente responsabili” e “al servizio della società” anche se l’urgenza contestuale che sempre più emerge spinge affinché divengano anche istituzioni imprescindibili.
In questo senso l’indagine su ciò che il museo mostra assume inevitabilmente nuova importanza: è la messa in discussione dei contenuti esposti e dei valori di cui si fa portavoce; l’interrogarsi sul senso delle rappresentazioni che ci propone come modello e, insieme, la contestualizzazione esplicita delle sue scelte.
Sarà possibile, anche in Italia, ipotizzare un attivismo museale capace di farsi portavoce di diritti di natura sociale? Quali sono i presupposti, anche storici, del settore che limitano la diffusione di un simile approccio? Quali nuove competenze occorrono?
Le domande sono molte e, soprattutto, restano aperte.
Maria Chiara Ciaccheri
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