Biennale di Architettura. L’opinione di Davide Sacconi
Nel 2016 inaugura la Biennale di Architettura di Venezia, curata dal cileno Alejandro Aravena. Abbiamo chiesto un’opinione sul programma a critici, giornalisti e architetti. Questa volta a parlare è Davide Sacconi, architetto di base a Londra e co-fondatore della nuova galleria romana Campo.
POPULISMO CILENO
Il testo di presentazione della prossima Biennale di Architettura di Venezia, con cui il curatore Alejandro Aravena definisce la sua linea, è poco più di una pagina. Un documento breve ma ben pensato – specchio della retorica neoliberale e populista dominante in Cile – dove la chiamata alle armi e la partecipazione democratica, creatività e scarsità, successo e uguaglianza, si mischiano in uno dei più classici completos cileni.
Si presenta non come programma culturale, ma come linea del fronte, un carattere esplicito già nel titolo giornalistico-militare, “Reporting from the Front“. La costruzione del nemico e il controllo dei media sono infatti le prime due mosse per ogni populismo, anche quello apparentemente innocuo di ambito architettonico. Siamo in guerra, in trincea, in pericolo. Miliardi di esseri umani continuano a riprodursi o a migrare e bisogna provvedere a un riparo, a milioni di ripari.
In questo stato d’eccezione la questione dell’abitare è ridotta a una mera equazione che l’architetto “militante” deve risolvere con le armi della partecipazione e soprattutto della creatività. Molta creatività e, ovviamente, autocostruzione. Infatti Aravena non insegue tanto il paradigma, ormai consumato, dell’estetizzazione della favela ma pittuosto calcola costi e benefici, entrate e uscite, numero di abitanti e metri cubi. Tutto deve andare liscio come l’olio, bisogna limitare le frizioni e le “proteste”, rimboccarsi le maniche, sopportare la pressione e, soprattutto, risolvere!
L’ARCHITETTURA COME DOVERE MORALE
A questo scopo non solo si formalizzano le baracche, recuperandole all’alveo della legalità e reintroducendole nel mercato, ma l’intero arsenale della retorica di destra è dispiegato in forze, nascosto dietro la patina dell’attivismo. L’aumentare della “complessità del mondo” diventa una condizione naturale, ineluttabile. L’andare oltre il “business as usual”, mantra dell’innovazione e della precarietà competitiva, è assunto a dovere morale. La mitologia del fare, il prevalere negli arditi attivisti della soluzione sul dubbio (“people that actually walk their talk“) è il valore da testimoniare.
E se di fronte al devastante fallimento del capitalismo, all’aumento straordinario delle diseguaglianze e della segregazione, “le storie di successo” dal fronte sono “relative“, è proprio “l’idea di successo” che va ripensata e sostituita con il “senso di vitalità” che questa battaglia infonde. Una sorta di ricompensa per la fedeltà alla causa.
A VENEZIA PER LAVARSI LA COSCIENZA
Lo slogan di successo promosso anni fa da Stefano Boeri, “fare di più con meno“, è qui declinato nella sua versione terzomondista, quindi più estrema e in qualche modo legittimata da secoli di dittatura, sfruttamento, esclusione e miseria. Finalmente con la Biennale di Aravena potremmo lavare le nostre coscienze, pentirci ed essere assolti per i nostri sconsiderati consumi, privilegiare, almeno per un giorno, “i vantaggi collettivi sui guadagni individuali“, considerare il “progetto come un valore aggiunto senza costi aggiuntivi“, un po’ come il trasporto di IKEA per acquisti superiori ai 50 Euro.
A questa Biennale, come a tutte quelle precedenti, ci andremo sicuramente. Gusteremo vino bianco e vaporetti, scopriremo progetti interessanti e progettisti interessati, ritroveremo vecchi amici e faremo finta di ricordarcene altri. Se Alejandro Aravena riuscirà nel gioco di prestigio di trasformare il grande carrozzone lagunare in un carro armato anfibio e allo stesso tempo fingersi il “Rivoltoso sconosciuto” – l’anonimo ribelle di piazza Tienanmen – staremo a vedere. In ogni caso sarà bene armarsi di ironia e senso critico perché, alla fine della fiera, la questione abitativa è, oggi più che mai, una questione politica, non di soluzioni architettoniche. L’architettura nel migliore dei casi può, letteralmente, fissare il problema.
Davide Sacconi
www.labiennale.org/it/architettura/
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