Il futuro di Short Theatre. Conversazione con Fabrizio Arcuri
È in partenza la decima edizione dello Short Theatre, proteiforme festival romano. Che sceglie di presentarsi attraverso dittici di immagini che affiancano i tarocchi e l’Africa. Ne abbiamo parlato con il direttore artistico.
Chi ha avuto l’idea di questi accoppiamenti iconografici?
Come sempre, una volta deciso il tema del festival, lo staff di Short Theatre inizia la ricerca dell’immagine di riferimento e del giusto immaginario per costruire un racconto e per lanciare suggestioni che viaggino parallele agli spettacoli e diventino una chiave attraverso cui esplorare i contenuti del festival.
Le fotografie sono state scattate ad hoc?
No, abbiamo deciso di scegliere il lavoro dell’artista Alice Smeets. Lei, oltre a essere fotografa, è giornalista, film maker e viaggiatrice. Attualmente risiede tra il Belgio e Haiti. Proprio a Haiti ha realizzato il progetto Ghetto Tarot: un’interpretazione del mazzo dei tarocchi con gli abitanti del posto. Le scene sono state ispirate dai tarocchi Raider Waite.
Questa scelta ha a che fare con le morti dei migranti in viaggio verso l’Italia?
Ha a che fare con chiunque metta in gioco tutto pur di avere una prospettiva, un futuro.
Perché un titolo così lirico? È ancora possibile la poesia, oggi?
È ancora possibile tutto quello che ci sforziamo di far essere possibile, malgrado tutto.
Nella presentazione dedichi un pensiero a Chris Burden.
Sì, è un artista che ho sempre seguito e credo sia stato uno dei più grandi performer del nostro tempo. Le sue azioni sono sempre state estremamente politiche e rivoluzionarie. E fortemente teatrali.
Quali accorgimenti adottate per far arrivare pubblico vero a Short Theatre 2015, e non solo addetti ai lavori?
In verità nessuno: arriva e basta. C’è moltissima gente che si nutre solo di festival perché sa che le stagioni teatrali saranno deludenti e poco stimolanti. Spesso, negli anni passati, è successo che inizia il festival e la metà degli spettacoli sono esauriti in prevendita online.
A uso di chi se ne intende meno: un consiglio dal programma?
Consiglio di vedere tutti gli spettacoli della giornata che si è scelta per partecipare al festival. In questo modo, in piccolo, si può avere un’idea di come gli spettacoli dialoghino tra loro e costituiscano un percorso di pensiero e riflessione sulle forme e sui contenuti.
In base a quale criterio hai scelto gli artisti di questa edizione?
Short Theatre 10 è una sorta di “festa” dei primi dieci anni: ci sono molti ritorni di artisti che in questi anni abbiamo amato e ospitato e tornano con un tributo che può essere un nuovo lavoro o la riedizione di uno vecchio.
C’è un’assenza per te particolarmente indigesta?
Ogni anno manca qualcuno che avremmo voluto… ma anche si aggiunge, a sorpresa, qualcosa che non avremmo sperato.
E una presenza decisamente rischiosa?
Ogni lavoro è una sfida. Cerchiamo tra i giovani e tra le proposte più interessanti proprio chi ha la capacità di stare sul crinale e che ci aiuti a discutere e a mantenere vivo il pensiero.
Puoi segnalare una proposta in cui il teatro torna a essere prioritariamente e intenzionalmente “luogo della visione”?
Credo che il teatro sia principalmente il luogo dell’azione. Tutti gli spettacoli sono piccole azioni che si nutrono della possibilità di generarne altre. In questo senso il nostro è un ostinato gesto politico, quindi etico, prima che poetico ed estetico.
“Qualcosa che, nonostante tutto, ancora mormora”: così Jean-Luc Nancy conclude il suo Dopo la tragedia. Cosa vuole mormorare, in definitiva, Short Theatre 2015?
Vuole mormorare un sussurro che si augura diventi un grido di riappropriazione del nostro futuro.
Michele Pascarella
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