Forum di Prato. Roberto Ago la pensa così

Si avvicinano le date del Forum dell’Arte Contemporanea Italiana, la cui prima edizione si svolge nel weekend a Prato. Fra gli invitati c’è anche Roberto Ago – che i nostri lettori già conoscono per i suoi interventi – e, non potendo intervenire, lo fa qui. Adottando una lente inconsueta attraverso la quale poter osservare il nostro sistema dell’arte: quella della biologia evolutiva. Il tutto nella consapevolezza che, dati i modelli epistemici cui farà riferimento non senza una dose di ironia (tragica), un miglioramento dello stato di cose appare improbabile. Dunque non impossibile.

Come si può appiattire l’iniziativa umana sulla cieca selezione naturale, oltretutto in vista di un Forum carico di speranze e progettualità? Con l’augurio che un organismo biologico adattato possa illuminare un organismo artistico “dis-adattato”. Il determinismo che orienta il primo potrebbe allertarci sugli automatismi inconsci del secondo, mentre non occorre certo ricordare come l’uomo sia l’unico animale capace di contraddire i piani del “gene egoista” ora con saggezza (si pensi alla contraccezione), più spesso con l’autolesionismo (si considerino due virus autoindotti quali il fumo e l’alcool). Doveroso sarà considerare, d’altro canto, l’esistenza di un eventuale gene maligno che predisponga al masochismo. Se la speranza di poter imprimere allo status quo una piccola scossa è sempre l’ultima a estinguersi, la condizione preliminare per non sperare invano è conoscere l’ecosistema in cui si opera e le strategie di sopravvivenza che lo informano.

POSTULATO DI DIS-ADATTAMENTO
La biologia evolutiva contemporanea, in particolare nella sua declinazione “genocentrica” ad opera di Richard Dawkins (più idonea di altre a descrivere il nostro oggetto), coadiuvata dai modelli matematici della Teoria dei giochi, definisce come “strategia evolutivamente stabile” (Evolutionary Stable Strategy) un pool di strategie rivali geneticamente determinate, in equilibrio differenziale tra loro all’interno di una medesima popolazione e tali perché coevolutesi nello stesso habitat e arco temporale. Sua caratteristica peculiare è quella di garantire una buona fitness relativa a quegli organismi intraspecifici che adottino una o più strategie tra quelle previste, punendo ogni iniziativa individuale che si discosti dal pool genico autoselezionato (Dawkins, 1976; 1982).
Ebbene: il nostro sistema dell’arte, nonostante o in virtù del regno antropico nel quale è inscritto, sembrerebbe interessato da tale modello adattativo in modo disfunzionale e perverso, data la biodiversità da giungla che lo contraddistingue. Non solo, potrebbe non essere in grado di autoriformarsi come tutti ci auguriamo: né per strategie condivise, perché l’habitat artistico della Penisola è frammentario per antonomasia cosicché nessun pool genico efficace potrebbe selezionarsi a un livello generale integrato, né per iniziativa individuale, perché abbiamo visto che verrebbe inesorabilmente punita, nel nostro caso dall’inefficienza generale – l’unico denominatore comune rimasto – dalla quale devierebbe.

Fenotipi adattati – Gianfranco Baruchello; Jordan Wolfson

Fenotipi adattati – Gianfranco Baruchello; Jordan Wolfson

DALLA SELVA AI PASCOLI
Una volta Giacinto Di Pietrantonio, uno dei rari pastori incisivi della Penisola, ha detto una grande mezza verità, guardandosi dal dedurne il seguito. Cito a memoria: “Il problema in Italia è il campanilismo, il fatto che la pecora su cui punta Tizio non coincide con quelle su cui puntano Caio e Sempronio, per un dispendio di energie che nuoce a tutti e tre. Oltralpe, al contrario, i pastori finiscono per convergere sugli stessi capi, che così ricevono il sostegno necessario ad imporsi sui pascoli internazionali”. L’altra mezza verità, logicamente conseguente e un po’ più scabrosa della sorella, la dico io: se i campanili vari della Penisola, distaccamenti all’estero compresi, non convergono su una qualità che, tra esperti, dovrebbe essere una questione in gran parte oggettiva, tanto che valicate le Alpi sanno selezionarla, allora la capacità di giudizio dei nostri parroci non è “digna fide” e loro non sono esperti.
E le dovute eccezioni? Impresa vana è appellarsi alle enclave che sfuggirebbero all’acriticità generale, il pubblico dei devoti sta chiedendo da tempo una Chiesa unita ed efficace, non lastricati isolati di buone intenzioni che non convincono più nessuno. Infatti in Italia, dove l’investitura dell’ennesimo artista non è mai negoziata a un livello sistemico né sottoposta a vaglio critico (ESS ottimale), le promesse di latte abbondante non solo non vengono mantenute a posteriori, quando i fatti dimostrano che le scelte operate dalle malghe isolate si rivelano quasi sempre fallimentari, ma sono fallaci a priori, per disegno genetico maligno comune a tutti i campanili (ESS disfunzionale). A tal proposito, eloquente è l’attuale sovrappopolazione di agnelli “international style”, cloni di una Dolly artistica anglosassone della quale si è importato il genoma ma i cui fenotipi, poiché afferenti a differenti distretti, non ottengono riconoscimento reciproco. Non tutto il male vien per nuocere.

Fenotipi adattati – Pitture rupestri della Grotta di Chauvet; Maurizio Cattelan

Fenotipi adattati – Pitture rupestri della Grotta di Chauvet; Maurizio Cattelan

Tale verità ricomposta è la quintessenza del nostro sistema dell’arte o la “non-Strategia evolutivamente stabile” di pascoli infestati da specie artistiche d’ogni sorta, i quali mai conoscono una squadra efficace di allevatori, selezionatori e maestri caseari. Ma perché nel pool delle strategie possibili si è autoselezionata una “strategia paradossa” degna delle analisi di John Maynard Smith e Robert Axelrod? Per una ragione tanto semplice quanto misconosciuta: gli artisti italiani emersi in questo scorcio di millennio, mediamente considerati, sono organismi mediocri impossibilitati ad attecchire fuori delle loro nicchie ecologiche, tanto che un forum nazionale volto a tamponare la situazione, inconcepibile in Inghilterra o in Germania, è alle porte. Non è tutto. Per sopravvivere alla loro vulnerabilità adattativa, i nostri artisti cooptano curatele paradossali o schizofreniche perché punitive e assistenziali allo stesso tempo, come già l’etologo Luca Rossi ha rilevato da tempo. (A proposito, vorrei prevenire ogni accusa di conflitto d’interessi dichiarando una volta per tutte che non mi considero un artista né un critico, ma un “iconologo” creativo che, oltre a scrivere, ama esporre i precipitati delle sue indagini.) In caso contrario non sarebbero i loro stessi mentori, parassitati – ma l’opzione è reciproca come nei simbionti – e anch’essi mediamente inconcludenti, ad affollare un forum nazionale volto a tamponare la latitanza delle razze italiche dai pascoli che contano, se non addirittura il rischio di una comune estinzione. I paradossi non finiscono qui.
Se, per assurdo (sic), da domani la gran parte dei talent scout non si disperdesse più alla cieca sui troppi dinosauri mai estinti o sulle schiere progressive di vitelli d’oro puntualmente sacrificati, ma convergesse con decisione sui rari manzi che anche l’estero sarebbe disposto ad accogliere per la transumanza, scoprirebbe di essere in esubero. In attesa di vivai e mandrie migliori, la verità è che potrebbe tranquillamente occuparsi d’altro.

Fenotipi adattati – Sarcofago dalla Tomba di Seti I; Pietro Roccasalva

Fenotipi adattati – Sarcofago dalla Tomba di Seti I; Pietro Roccasalva

LA CURA(TELA) IMPOSSIBILE?
Chi è causa del male suo come di quello altrui “curi” innanzitutto se stesso. Se un falco di Maynard Smith compendiasse le strategie curatoriali delle tante colombe nostrane, scoprirebbe che l’attuale azienda italiana dell’arte non può che essere in rosso (se non è già fallita), che da tempo non vince quasi nessuno ma a tutti è concesso di non perdere, che non siamo né gli Usa né l’Europa del Nord dove il merito è moneta corrente e, se non ottieni il risultato, vai a casa. In poche parole, scoprirebbe che il principale responsabile del crollo più che decennale delle nostre esportazioni – non basta trasferirsi – non è certo un prodotto artistico che, allo stato attuale, difficilmente si può sdoganare, quanto quei quadri dirigenti che su di esso hanno scommesso, complici molti organi d’informazione (critica) che non hanno vigilato ma diligentemente preso nota o, all’opposto, distolto lo sguardo del tutto.
Ora, poiché alle colombe conviene restare miopi, non crederebbero alla buona vista del falco nemmeno se fosse offerto loro di salirgli in groppa per un volo panoramico, continuando a prosperare indisturbate nel loro habitat senza prospettive. Così anche il forum indetto dal Pecci, nonostante le migliori intenzioni di organizzatori e partecipanti, rischia di volare basso. Si può essere certi che nessuna colomba riconoscerà pubblicamente la propria miopia, se a parole tutti si atteggeranno a falchi, nei fatti si è costruito quello stesso arcipelago di “colombaie” che si pretende di unificare e riscattare, che ci culla e ci affligge a seconda dell’oscillazione ciclotimica. Alla presa di coscienza collettiva della scarsa fitness generale (e cioè di nessuno in particolare), non potrà che accompagnarsi la segreta convinzione che è sempre e solo l’Altro, magari quello che ha appena preso la parola, ad essere uno dei mediocri responsabili dell’insuccesso nazionale, e con lui le immancabili istituzioni che non aiutano. Così dall’aia non si uscirà mai.
Chi ha apprezzato la lente euristica che ci ha accompagnati fin qui può utilizzarla in quel di Prato, se crede. Hai visto mai che durante il dibattito possa innescarsi una mutazione nel “meme” dialettico propedeutica, s’intende, a un “fenotipo esteso” (artisti, curatori, opinionisti ecc.) finalmente adattato?

Roberto Ago

Riferimenti bibliografici:
Axelrod, Robert (1984), “Giochi di reciprocità”, Feltrinelli, Milano 1985
Dawkins, Richard (1976), “Il gene egoista”, Zanichelli, Bologna 1982
Dawkins, Richard (1982), “Il fenotipo esteso. Il gene come unità di selezione”, Zanichelli, Bologna 1986
Maynard Smith, John (1982), “Evolution and the Theory of Games”, Cambridge University Press, Cambridge

www.forumartecontemporanea.it

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Roberto Ago

Roberto Ago

Roberto Ago è figura poliedrica attiva in molteplici rami inerenti all’estetica. Critico delle immagini, iconologo, artista, editorialista, dopo gli studi d’arte presso l’Accademia di Brera sta conseguendo la seconda laurea in filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, con particolare…

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