Giocatore libero. Luca Bertolo sul “caso Favelli”
Riassunto delle puntate precedenti: Alberto Dambruoso invita Flavio Favelli a Cosenza. Lui dipinge un murale in memoria del calciatore Gigi Marulla, ma senza ritratto né nome. E allora viene chiamato Lucamaleonte, che “rende esplicita” l’opera. E scoppia il putiferio. Ora interviene in merito un altro artista, Luca Bertolo.
FAVELLI RICERCATORE PURO
Flavio Favelli è uno dei nostri migliori artisti. In una ventina d’anni si è conquistato visibilità e rispetto giocando da solo, a tutto campo, con o senza gallerie alle spalle, con o senza curatori/critici alle spalle. Più importante: ha sempre fatto quella che in ambito universitario si chiama ricerca pura – ovvero, in ambito artistico, ha sempre dimostrato un ethos limpido.
I suoi lavori, presi singolarmente, possono piacere o meno; in generale, la sua opera viene da alcuni considerata troppo passatista, o a rischio design, o un bric-à-brac di modernariato, o troppo intimista. Critiche discutibili ma legittime.
(Ce ne fossero di discussioni sul valore formale (cioè a dire, in arte, valore tout court) delle opere degli artisti! Al contrario, la quasi completa dissoluzione della critica d’arte in Italia ci ha disabituato ad argomentare le nostre impressioni e, in ultima analisi, ci ha disabituato a “leggere” autonomamente le opere, al di qua dei comunicati stampa.)
LOGHI DELLA MEMORIA
Dunque Favelli giocatore libero. Con il debole per il calcio, specie se d’antan. Ma che sia la figurina Anni Settanta di un calciatore, una vecchia lattina di Pepsi Cola o i resti di un aereo (magari con il logo della compagnia aerea) dopo una strage non fa una differenza enorme per Favelli: sono inneschi emotivi per un cortocircuito tra sé e il mondo, tra la propria storia (biografia) e la Storia. Questo è il suo modo. E questo modo, a differenza delle opere, non è discutibile (come non si discute della propria paura dei ragni o dell’amore per una donna).
Dunque Favelli giocatore libero, malinconico e formalmente astruso. Vive isolato, ma viaggia di continuo. Misantropo che ama buttarsi in luoghi pubblici (con o senza sovvenzioni, con o senza cassa di risonanza mediatica). I murales, poi, ci mancava solo questo. Ingrandimenti di carte che avvolgono le arance, scatole di tonno: i loghi della memoria (se mi passate la formula). Evidentemente, logo e design delle confezioni industriali attirano Favelli (e non solo lui), oltre che come innesco storico-emotivo, anche in senso schiettamente grafico: rettangoli, ovali, piani di colore omogeneo ecc. Pura visibilità (che bella questa formula usata da Croce per il pensiero di Konrad Fiedler).
LA CRONACA DEI FATTI
Ora, per arrivare alla malinconica cronaca, il paradosso di Favelli a Cosenza è stato quello di evocare un personaggio storico (tale è ormai, dopo la morte) non già con una presenza, ma con un’assenza. Meraviglioso gesto – non nuovissimo ma originalmente risolto. Pensate: vedo (sento, sarebbe meglio dire, come con i fantasmi) qualcuno/qualcosa che non c’è. Pura invisibilità. Ma ecco già si sente da lontano il rumoreggiare della folla. Ma come, i fantasmi?! (Eccetera eccetera: avete già letto i resoconti).
La lettera di Favelli (lettera/opera) è di una lucidità esemplare. Pasolini avrebbe potuto cacciarsi in un pasticcio simile e molto probabilmente avrebbe scritto una lettera simile. Tutta la vicenda ha qualcosa di paradigmatico: un perfetto study case che proprorrei immediatamente di integrare nei corsi di arte contemporanea e curatela. Tra le tante riflessioni che l’analisi di questa vicenda permetterebbe, ci sarebbe anche quella, non secondaria, sulle difficoltà intrinseche in qualsiasi integrazione tra opera (gesto artistico) e dimensione sociale o politica: l’una essenzialmente ambigua e disinteressata, l’altra fondamentalmente legata a interessi concreti.
Dal punto di vista della narrazione poi, sembra un perfetto dramma in tre atti (triste ruolo quello di Lucamaleonte, che accetta di fare quello che fa proprio in quel luogo): opera, intervento del pubblico, intervento “riparatore” di una terza persona. Se poi, come si legge, ci fosse stato (o ci sarà) un terzo intervento alla sinistra dell’opera di Favelli, beh, è difficile non pensare all’immagine del calvario.
Del resto, chi di popolo ferisce, di popolo perisce. Ma vivaddio c’è qualcuno che tuttavia si espone a questi rischi, senza retoriche della partecipazione o populismi da salotto. Da qui andrebbe ricominciata una seria discussione sulle pratiche, il valore, i limiti della cosiddetta arte pubblica.
Luca Bertolo
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