Ho conosciuto Jean-Christophe Amman nel 1978 a Venezia. Carlo Ripa di Meana, presidente della Biennale, aveva incaricato lui, Achille Bonito Oliva, Filiberto Menna e Antonio del Guercio di curare quella che allora si chiamava la grande mostra storico-critica dedicata al tema del rapporto tra l’arte e la natura. Io e altre tre giovani storiche dell’arte avevamo ricevuto l’incarico di realizzare un’antologia di scritti d’artista in catalogo; inoltre io dovevo predisporre la didattica nella mostra.
Jean-Christophe attribuiva una grande importanza alla preparazione storico-artistica, molto più di quanto non si sia soliti fare ora, egli stesso aveva studiato storia dell’arte e archeologia cristiana oltre che letteratura tedesca. Era un uomo molto bello e bellissima era sua moglie Judith. Era pieno di energia, coltissimo e dotato di grande intelligenza ed efficacissima professionalità.
La cosa che mi colpì di più fu che nella tasca della giacca verde militare portava sempre un metro, da cui non si separava mai. Era una grandissima lezione: la storia dell’arte non si faceva solo sui libri o nelle aule universitarie, ma nella pratica di allestimento, in quei cantieri che sono le grandi mostre, a fianco degli artisti, e lui, che era un grande storico dell’arte, era sempre pronto per prendere personalmente le misure. Credo che quel metro abbia contribuito non poco a fare del montaggio delle mostre il momento più felice per me.
Ricordo alcune sue passioni, la pittura di Penck e le foto di von Gloeden… Amman apparteneva a quella generazione di grandi pionieri che hanno in qualche modo inventato la figura stessa del curatore con Harald Szeemann e Jan Hoet, uomini dalla cultura vastissima, profonda e sofisticata.
Dal ’67 aveva lavorato con Szeemann alla Kunsthalle di Berna per due anni. Poi aveva diretto il Kunstmuseum di Lucerna e dal 1978 al 1988 era stato direttore della Kunsthalle di Basilea. Nel 1991 aveva aperto il Museo di Arte Moderna di Francoforte progettato da Hans Hollein, dirigendolo fino al 2001. È stato curatore del Catalogo generale di Alighiero Boetti, artista con il quale ha avuto un rapporto davvero molto speciale.
Ho sempre pensato che Amman fosse il curatore che più tempestivamente aveva capito l’importanza e la grande innovazione del lavoro di Alighiero, che segnava un forte scarto anche rispetto all’Arte Povera. Lo aveva sempre seguito, aveva curato la sua mostra alla Kunsthalle di Basilea, vera importante occasione internazionale. Nel 1990 ero curatrice del Padiglione Italiano alla Biennale di Venezia e avevo invitato Alighiero, che aveva realizzato una splendida sala con il fregio degli animali. Jean-Christophe era in giuria e proprio lui si era battuto per dare ad Alighiero la menzione d’onore.
Quel premio il direttore Carandente lo consegnò a me: Alighiero era già a Todi con la sua Caterina. La motivazione della giuria citava in particolare lo spirito ludico che Amman tanto amava nel lavoro di Alighiero e di cui parla anche nell’ultimo testo per il volume del Catalogo generale appena uscito. Il lavoro svolto da Amman insieme ad Annemarie Sauzeau che guidava l’archivio (purtroppo anche lei scomparsa esattamente un anno fa) è enorme, eccellente, esemplare.
Ricordo che una sera, dopo una riunione in Archivio, Annemarie e io avevamo portato Jean-Christophe a vedere la Roma contemporanea: l’Auditorium di Renzo Piano, di cui era entusiasta, e il Maxxi, ancora in costruzione, di Zaha Hadid, che lo aveva entusiasmato molto meno. Lì nel cantiere c’era un lavoro che avevo curato di Alberto Garutti: le luci della prima sala finita del museo si accendevano se un fulmine cadeva in Italia o nel mare circostante. Nel corso della nostra visita le luci si accesero in continuazione: il giorno dopo Jean-Christophe collegò il fatto al terribile terremoto a L’Aquila che purtroppo si era verificato nella notte.
Gli avevo portato il catalogo della retrospettiva di Alighiero curata da Giacinto Di Pietrantonio e Corrado Levi alla GAMeC di Bergamo, dove c’era un mio lungo testo. Pochissimo tempo dopo ricevetti una lettera le cui parole non potrò mai dimenticare. Quella lettera è ancora per me motivo d’orgoglio.
Addio Amman, altissimo protagonista della generazione dei padri curatori, quando a fare questo mestiere erano figure di grandi intellettuali. Mi piace pensare che il tuo metro sia ancora con te.
Laura Cherubini
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