Fra libri e galleria. Intervista con Barbara Fragogna
Barbara Fragogna è un’artista e curatrice di origini veneziane, che si è formata a Berlino. Da qualche tempo ha ideato le Edizioni Inaudite e ora è diventata art director di una rinnovata Fusion Art Gallery, a Torino. Abbiamo messo insieme tutte queste attività e le abbiamo chiesto come si conciliano.
Ti avevamo lasciato a Berlino, alla direzione del KH Tacheles, e ora ti ritroviamo a Torino, divisa tra un appartamento che ha l’aspetto di una Wunderkammer, uno studio/vetrina denso di materiale che condividi con la tua compagna e regista/fotografa Davies Zambotti, e la dirigenza dell’appena rinnovata Fusion Gallery. Quale percorso tortuoso ti ha portato fino a qui?
Ho spostato la mia base a Torino da circa un anno. Ho fatto tesoro dell’esperienza dei sette anni passati a Berlino. Lì che ho potuto sondare, sviscerare e focalizzare il mio lavoro, me stessa e i miei interessi. Il mio interesse è la vita, e quindi l’arte, il punto di vista artistico e quindi una visione personale della vita. Come artista, tutto ciò di cui tratto (dal mio lavoro più privato alla direzione artistica all’editoria) è inteso come opera, anche e soprattutto attraverso la relazione con gli altri (artisti, addetti ai lavori e pubblico) insieme ai quali l’opera trova un senso, si rivela, vive.
Torino è un punto di arrivo o di partenza?
Mi (ci) ha portato a Torino l’idea di non sfuggire più così radicalmente all’Italia, di ri-trovare il luogo della propria cultura e lingua, il desiderio di essere partecipi e co-fautori (ogni cosa è possibile) di un movimento di rinascita. La consapevolezza, il distacco e la criticità maturata all’estero mi permettono di vivere in questa città bellissima, intensa e potenziale che punta sulla cultura (anche se cultura ormai è un termine vandalizzato, come poesia e amore) pensando di poter esprimere, costruire e dire. È, come dici tu, sicuramente un nuovo punto di partenza, il pianerottolo di un nuovo livello raggiunto. E poi chissà: le cose si formano, mutano, si muovono.
Edizioni Inaudite è un progetto a metà fra il tuo amore per l’editoria tradizionale e la tensione verso il libro d’artista. Da alcuni anni hai dato vita a una collana composita e variegata, che vede numerose “limited edition”, ognuna con un taglio, un formato e una finalità completamente differenti. Da dove nasce l’idea e come sta evolvendo?
I libri sono stati da sempre il campo della mia scoperta e della mia formazione, per me la letteratura è necessaria perché struttura i pensieri molto più che le immagini. Quindi il libro, inteso come oggetto simbolico, racchiude in sé sia la forza critica dell’opera d’arte che pone una domanda, sia il suo impulso utopico e utopistico nel ricercare una risposta.
Le Edizioni Inaudite – che al momento consistono in due collane, Gli Irrilevanti e BIGstuff – sono un progetto personale ma collettivo che produce opere in edizione limitata. L’idea nasce a fine 2013, su ispirazione della Hogart Press di Virginia e Leonard Woolf, cioè dalla consapevolezza che, in una specifica sfera dello stratificatissimo mondo dell’arte, per riuscire a produrre (esprimere, divulgare, emergere) bisogna rendersi autonomi in tutto. Creiamo un marchio, lavoriamo sodo, ci occupiamo di tutti gli aspetti tecnici e quindi ci rendiamo visibili.
Di quali artisti ti sei occupata, nello specifico, nelle Inaudite pubblicate sinora?
Sono partita da una mia edizione autoprodotta, il NEST OF DUST – When a “Nest Of Dust” can be conceptualized in an essay in three volumes, che ora è anche in collezione nella biblioteca del MET di New York, e poi, insieme a Claudia Di Giacomo, abbiamo trasformato le Edizioni Inaudite in un vero e proprio progetto editoriale indipendente.
Al momento, con molto orgoglio, in collana BIGstuff abbiamo Giosetta Fioroni a cura di Cristina Fiore e Andrea Penzo e, tra Gli Irrilevanti (l’ironia non è mai un optional), ci sono Rebecca Agnes, Stefania Migliorati, Renzo Marasca (edizione esaurita), Martin Reiter, Petrov Ahner, Davies Zambotti e a brevissimo anche i Jennifer rosa, in occasione della loro mostra alla Fusion Art Gallery.
Qual è la tiratura di queste edizioni? Di che prezzi stiamo parlando?
L’idea alla base delle Edizioni è quella di creare delle opere a tiratura limitata (tra le 50 e le 300 copie), firmate e numerate dagli artisti stessi e che includono un piccolo extra inedito, accessibili a un pubblico di collezionisti “nuovi”. I prezzi infatti vanno dai 10 ai 100 euro e normalmente il costo medio è di 20 euro: questo è possibile perché non ci sono intermediari e il lavoro è volontario.
Vorremmo, attraverso questa operazione, educare il pubblico, introdurre il concetto di accessibilità e fruizione dell’opera. Vogliamo far entrare il lavoro di artisti professionisti nelle case di un pubblico che sa riconoscere il valore dell’opera anche se non è in grado di permettersi opere più impegnative a livello economico. Non è un lavoro speculativo bensì, grazie alla generosità degli artisti, un’opera di “semina” culturale.
La tua attenzione e cura a promuovere non solo il tuo lavoro ma anche artisti internazionali fuori dal circuito mainstream dell’arte contemporanea ma valevoli di attenzione è il punto cruciale del tuo operato degli ultimi anni. Da cosa deriva questa tua “presa di posizione”?
Il main-stream è solo uno stream tra gli altri ed è uno stream accessibile a pochi e che ha delle regole ben precise e blindatissime. Come accennavo sopra, mi interessa la ricerca della “risposta”, quindi mi interessa la proposta, la costruzione, l’azione. Essere consapevoli significa saper riconoscere i limiti e smettere di cercare qualcosa che si sa di non poter trovare in favore di ciò che invece è accessibile. Le Edizioni e il mio lavoro in generale cercano le risposte (tentativi) a domande già poste e riproposte ossessivamente.
Che tipo di risposta ti sta dando il pubblico?
Il pubblico reagisce positivamente, ma prima di rispondere dovrebbe forse capire che l’opera d’arte è un bene accessibile, che, al di là dell’investimento e del sogno di ritrovarsi un van Gogh postumo in casa, ci deve essere l’impulso di soddisfare un desiderio. L’opera d’arte è carica di valore emotivo e bisogna fidarsi dei propri impulsi e non vergognarsi dell’opinione degli altri e lasciarsi prendere allo stesso modo in cui ci si fa prendere dalle persone perché l’opera d’arte è l’artista che si specchia in noi e quindi il pubblico è l’opera.
Quali strategie di coinvolgimento stai mettendo in atto per convogliare l’attenzione del pubblico su questi progetti?
Non è così facile rendersi visibili quando si naviga nella pozzangherina del low budget o richiamare l’attenzione di chi possa metterti in luce sistematicamente. Al momento abbiamo un sito web e presentiamo le edizioni attraverso mostre ed eventi, per esempio quest’anno eravamo parte del Salone del libro – Salone Off. Le Edizioni inoltre hanno un mini bookshop alla Fusion Art Gallery e ogni artista, nelle proprie mostre collettive e personali, porta i “libri” con sé, ad esempio il 26 settembre a Milano allo Spazio C8 di Caterina Aicardi con Rebecca Agnes e Stefania Migliorati per Studio Sharing Act II e il 24 ottobre in occasione del finissage dei Jennifer rosa a Torino ci sarà il lancio di Here You Are.
In questo senso, quali sono le “proposte al mercato” per i prossimi mesi?
A partire da fine novembre Le Edizioni Inaudite saranno parte attiva del programma Fusion AIR e offriranno un “grant” sotto forma di pubblicazione in una nuova collana AIR (degli artisti in residenza). Sempre a fine novembre partirà anche la collana WEIRDcure dedicata a progetti curatoriali fuori norma col lancio di La settima onda di Aurora Di Mauro. Tanti progetti che necessitano di supporto, per cui siamo appena partiti con la campagna di abbonamenti Serial Collector che speriamo ci porti un po’ di ossigeno “verde”.
Da qualche mese hai le redini di una rinnovata Fusion Gallery. Nelle vesti di art director stai dando una svolta internazionale alla proposta artistica, aprendo a residenze in situ, senza però abbandonare l’attenzione nei confronti di un’eccellenza italian, che in Italia non ha (ancora) saputo trovare la giusta collocazione. È un obiettivo ambizioso!
Il mio debutto alla Fusion Art Gallery – grazie al suo proprietario Walter Vallini – avverrà ufficialmente il 25 settembre con l’inaugurazione della mostra Alter Logos del collettivo Jennifer rosa, che ho già curato in un paio di occasioni a Berlino.
Il mio ruolo qui, come avvenne per la NEWgallery della KH Tacheles, è quello di rilanciare il bellissimo spazio della galleria con una nuova veste e un nuovo programma che include e punta sullo scambio internazionale attraverso il progetto di residenze Fusion AIR, e l’obiettivo di esporre/proporre artisti italiani e stranieri nella sua sede di piazza Peyron. Importante è dire che la Fusion Art Gallery non si propone come galleria commerciale, bensì come spazio indipendente di sperimentazione e ricerca che vuole interagire con le altre realtà, spazi, istituzioni presenti nel territorio e oltre.
Quali sono le novità per questa nuova stagione?
Ai Jennifer rosa seguirà la mostra legata alla passata gestione della galleria con Mishima di Fukushi Ito a cura di Roberto Mastroianni, per poi continuare col mio programma di mostre con una bipersonale di Rebecca Agnes e Stefania Migliorati, Greta Bisandola, Andrea Rosset, Penzo + Fiore e molte altre collaborazioni italiane intervallate da una performance di Miriam Wuttke il 5 dicembre, e dalle bipersonali a cadenza mensile degli artisti internazionali a partire da fine novembre. E poi le Cinque Conversazioni D’Arte Contemporanea con Michele Bramante, cineforum, progetti sperimentali con Panem Et Circenses, collaborazioni con critici e curatori e molto altro ancora.
Petra Cason
www.fusionartgallery.net
www.edizioniinaudite.weebly.com
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