Viaggio in Italia. Tre curatrici e la Fondazione Sandretto
Si chiude con una mostra il terzo Corso per curatori stranieri promosso dalla Fondazione Sandretto. Abbiamo intervistato Zsuzsanna Stánitz, Kate Strain e Angelica Sule – oltre al coordinatore Lorenzo Balbi – in attesa che nelle prossime ore si inauguri l’esposizione. Con una grande festa per i vent’anni della fondazione e i quindici di Club to Club.
Cosa vi aspettavate da questo corso?
Soprattutto di acquisire conoscenza della scena dell’arte italiana e di avere un’esperienza intensa e complessa, e molti studio visit con artisti.
Cosa vi rende soddisfatte?
La grande ospitalità delle persone con le quali abbiamo assunto questo impegno, specialmente Lorenzo Balbi, il nostro coordinatore.
E in che cosa invece siete rimaste scontente?
In nulla! Forse i tempi sono stati un po’ stretti, siamo andati un po’ di fretta… ma questa è anche la natura del programma.
C’è stata qualche esperienza alla quale non vi siete sentite preparate?
Direi di no. Ci siamo sentite pronte a tutto.
Quale idea di Italia avete ricevuto da questa esperienza? Sull’Italia in generale e sul mondo dell’arte contemporanea nello specifico.
Abbiamo avuto spunti meravigliosi dalla scena dell’arte italiana. Abbiamo fatto oltre trecento studio visit, che sembra tanto, ma ci ha dato davvero un’ottima e ampia overview. Abbiamo notato come gli artisti siano costantemente in relazione con il grande patrimonio culturale italiano. Inoltre abbiamo notato che molti degli artisti che si possono considerare estabilished hanno una positiva influenza sui “colleghi” emergenti.
Soprattutto abbiamo avuto l’impressione che l’arte italiana non sia molto politica o socialmente impegnata e che le arti visive contemporanee qui assumano più l’aspetto di un’esperienza visiva. Che abbiano a che fare con lo sviluppo di un’idea attraverso un approccio estetico, un forte rapporto con i materiali e con l’auto-riflessione. Questo è probabilmente influenzato dalle strutture di finanziamento della scena artistica italiana, che sono innanzitutto market oriented.
Abbiamo incontrato artisti meravigliosi, visitato gallerie spettacolari e siamo deliziati da ciò che abbiamo visto.
La vostra idea curatoriale in cinque righe. Un mini-statement
Il ruolo del curatore può rappresentare molte cose in molti contesti differenti. I curatori sono qualche volta facilitatori, amministratori, mediatori, negoziatori, persone con risposte, scrittori, storici, direttori, complici, iniziatori, coreografi, produttori, fundraiser, persone che pongono domande, pensatori, interpreti, organizzatori.
Il ruolo primario di un curatore è di creare il contesto per un livello profondo di coinvolgimento tra l’opera – o la pratica – dell’artista e pubblico. Così come di commissionare, produrre e presentare l’arte in vari formati. Ma ci piace moltissimo anche quando possiamo lavorare a stretto contatto con un artista nello sviluppo di un particolare progetto. Nelle migliori circostanze un curatore può favorire la comprensione di un’opera e del contesto in cui questa si sviluppa, si produce e si mostra.
Quale delle Biennali autunnali state pianificando di visitare.
Vorremmo visitarle tutte! Ma crediamo che alla fine ci organizzeremo per quelle di Istabul, Vienna, Lione, Kiev, Limerick, Göteborg e per lo Steirischer Herbst di Graz. E il prossimo anno la Biennale Architettura di Venezia.
Quali sono le città più interessanti per l’arte contemporanea di oggi?
Londra e New York. E poi l’Olanda e il Belgio.
Lorenzo, che tipo di crescita ti ha permesso quest’anno il tuo ruolo nel corso per curatori?
Non nascondo che, nonostante l’esperienza, l’idea di dover selezionare e poi trasmettere, in cento giorni di residenza in viaggio [viaggio raccontato in una serie di articoli pubblicati da Artribune, N.d.R.], una panoramica completa dell’arte contemporanea italiana, in particolar modo di quella giovane, a tre curatori appena usciti da alcune delle migliori scuole di curatela del mondo, mi sembrava una missione quasi impossibile. Ho deciso quindi di lavorare immaginando di dover fare una mostra di artisti italiani – moltissimi artisti italiani – con tre mesi di tempo a disposizione e un budget preciso. Ho immaginato che questa mostra nomade fosse dedicata a soli tre visitatori: i tre curatori.
E com’è andata?
Nonostante i “soli” cento giorni a disposizione, siamo riusciti a visitare venti città italiane e incontrare 276 artisti, undici tra studi di architettura, design e grafica (in questo l’aiuto di Zsuzsanna è stato fondamentale e ha aperto porte inaspettate nella nostra riflessione), 37 tra musei, fondazioni e istituzioni pubbliche e private, 37 spazi non profit o gestiti da artisti, oltre a fiere come Miart ed eventi internazionali come la Biennale di Venezia.
Un programma ricchissimo, che ha generato nelle tre curatrici (e in me) l’idea di un sistema complesso, articolato, ricco di eccellenze e di qualche contraddizione.
E loro cosa ti hanno insegnato?
Il primo passo del mio lavoro come coordinatore è stato proprio quello di studiare i diversi interessi e individuare i temi d’interesse e le possibili aspettative di Zsuzsanna Stánitz, Kate Strain e Angelica Sule, le tre curatrici che sarebbero arrivate in Italia. Da questa indagine ho ricavato diversi spunti: Angelica è tra i fondatori di ECHO, una web radio che a Londra si occupa di sperimentare la trasmissione di opere audio su una piattaforma pubblica; Kate nei suoi vari progetti si occupa della performance intesa come processo, applicata sia alla pratica artistica che a quella curatoriale; Zsuzsanna sta per iniziare un dottorato incentrato sul rapporto tra arte e architettura, una relazione che assume come “performance architettonica”.
Grazie a queste informazioni iniziali ho potuto cominciare a pensare a una serie di artisti e di spazi che potevano essere interessanti, cominciando a delineare una mappa di quello che sarebbe poi diventato il nostro “viaggio in Italia”. Un viaggio da Bolzano a Catania, intenso, ricco e bellissimo, reso possibile dagli sforzi congiunti delle curatrici e da un’incredibile rete di professionisti (curatori, galleristi, artisti, direttori) che ci hanno accolto, guidato e illustrato la sorprendente scena artistica contemporanea in Italia.
Una residenza che è diventata quindi, fin dalle sue fasi iniziali, uno scambio di opinioni, idee e progettualità tra quattro curatori diversi per approccio, interessi e metodo; generando in tutti noi una crescita che crediamo si sia tradotta nella mostra allestita alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.
Marco Enrico Giacomelli
Torino // fino all’11 ottobre 2015
L’uomo che si sedeva su se stesso
a cura di Zsuzsanna Stánitz, Kate Strain e Angelica Sule
FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO
Via Modane 16
0113797600
[email protected]
www.fsrr.org
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/47688/luomo-che-si-sedeva-su-se-stesso/
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