Musei e formazione: quale futuro?

Come funziona l’università in Gran Bretagna? Come sono strutturati i corsi di Museum Studies? Un confronto – impietoso – con la realtà italiana. Ma forse possiamo ancora farcela…

MUSEUM STUDIES: IL PANORAMA BRITANNICO
Il panorama universitario anglosassone in materia di museologia è ricco e variegato. Viaggiando dall’Anglia Orientale (University of East Anglia) alle Midlands (University of Leicester) e da Londra (University College of London) alla Scozia (University of St. Andrews), passando per l’Inghilterra del nord (University of Newcastle), un dato salta all’occhio: gli atenei delle università britanniche danno una risposta concreta al bisogno di equipaggiare gli studenti che desiderano intraprendere una carriera nel settore museale con corsi di laurea ben strutturati in questa direzione, dove i meccanismi di funzionamento del museo contemporaneo sono oggetto di riflessione e di studio.
I cosiddetti “Museum Studies”, nati nel Regno Unito per sostenere la ricerca e lo sviluppo dei professionisti, si sono evoluti nel tempo in linea con i mutamenti del settore, riflettendo da un lato l’interdisciplinarietà della museologia, intesa come disciplina autorevole che si nutre degli assunti teorici di altre branche di studio; dall’altro la diversità delle professionalità che si trovano oggi a operare all’interno dei musei. Non più quindi unicamente storici dell’arte o archeologi aspiranti conservatori o curatori, piuttosto museologi formati per diventare professionisti museali, quindi esperti nell’ambito della comunicazione, dello sviluppo strategico delle risorse, del marketing, degli sudi sui visitatori e della progettazione di laboratori in relazione ai principi dell’accessibilità, dell’inclusione sociale e soprattutto dell’idea di museo come servizio pubblico.

University of Leicester - School of Museum Studies

University of Leicester – School of Museum Studies

QUALI SONO GLI OBIETTIVI DEI MUSEUM STUDIES?
L’obiettivo di una specializzazione in Museum Studies non è tuttavia quello di acquisire competenze in una professionalità specifica (quelle si maturano e si affinano attraverso la pratica), quanto di costruire ragionamenti teorici solidi sui principi che governano il funzionamento del museo e che – affondando le proprie radici nella sua concezione come strumento prodotto dalla società umana per sostenerne lo sviluppo – variano a seconda del contesto e della cultura del tempo.
Proprio questa flessibilità di pensiero, che si acquisisce attraverso una formazione in Museum Studies, consente la facoltà di immaginare mission e mettere in pratica funzioni che interpretano le caratteristiche di comunità, territori, patrimonio e personale, avanzando così l’idea di museo come organismo vivente: per sua natura mutevole a livello strutturale e soprattutto in grado di dialogare con diversi interlocutori per esprimere la propria rilevanza sociale. La quale, oggi più che mai, è necessaria per giustificare e motivare gli investimenti che garantiscono la sostenibilità e la sopravvivenza dell’istituto museo.
Capacità di attirare e coinvolgere attivamente nuovi pubblici, di stringere partnership con organizzazioni del terzo settore, di supportare il lifelong learning della cittadinanza, di promuovere la giustizia e l’integrazione sociale e di rappresentare realtà locali in dialogo con audience globali: sono solo alcune fra le sfide che si presentano ai professionisti di oggi. Se il Regno Unito (e non solo) ha pensato di strutturare interi corsi di laurea tenendo conto di questo scenario, offrendo quantomeno la possibilità alle nuove leve di avere strumenti per trasformare queste sfide in opportunità, non resta che chiedersi quali percorsi formativi propone l’Italia ai suoi futuri professionisti.

British Museum

British Museum

ANOMALIE ITALICHE
Posto che il ragionamento dovrebbe condursi in riferimento a un quadro di formazione specialistica e quindi all’interno di un ciclo di studi fruibile al termine della laurea triennale – che in Italia è noto con il termine Laurea Specialistica e nel resto del mondo si chiama Master – la condizione in cui versano gli atenei delle università italiane è a dir poco desolante.
Fatta salva l’eccezione di qualche biennio orientato alla didattica – che ad oggi pare essere l’unica funzione del museo public oriented deglutita dai nostri istituti – e la presenza di alcuni insegnamenti nell’ambito della museologia, spesso abbinati alla storia del restauro, del collezionismo o della legislazione dei beni culturali; la maggioranza dei corsi di laurea nelle facoltà umanistiche ed economiche dei nostri atenei non contempla un percorso formativo specialistico integralmente orientato alle professioni museali. Vale a dire che il Paese con il tasso di disoccupazione giovanile fra i più lancinanti d’Europa e il problema della gestione di musei e beni culturali tutti giorni sulle pagine dei giornali, un’opportunità ai giovani per imparare a gestire quel patrimonio non la vuole dare.
Fingiamo per un attimo che la crisi che denota la situazione occupazionale dei musei italiani non sia unicamente dovuta al mancato ricambio generazionale e all’ingessatura del mercato del lavoro, ma anche alla carenza di giuste opportunità formative. A questo punto riterrei doveroso spendere qualche parola in più per analizzare il funzionamento del nostro sistema universitario, confrontandolo ancora una volta con quello anglosassone.

University of Manchester - Centre for Museology

University of Manchester – Centre for Museology

ITALIA E GRAN BRETAGNA: ATENEI A CONFRONTO
Cosa distingue i due sistemi educativi? Non tanto la presenza di corsi di laurea in materia di museologia, piuttosto una diversità enorme nell’impostazione della didattica e nella concezione del valore della formazione.
Da un lato, nel Regno Unito abbiamo un sistema che pone al centro lo studente attraverso l’articolazione di piani di studio personalizzabili e composti da esami propedeutici che integrano l’apprendimento allo sviluppo di competenze. Il rendimento in Inghilterra si misura attraverso la stesura di saggi critici, lavori di gruppo e presentazioni (come quasi ovunque, ormai, nel resto del mondo) che incentivano gli studenti a riflettere sulle informazioni presentate in classe e a metterle in relazione con tracce da sviluppare fornite dai professori, con il compito di sostenere delle tesi (proprie o date) grazie all’approfondimento. Questi procedimenti affiancano l’acquisizione di nuove conoscenze allo sviluppo di capacità, come quella di pensiero critico, di scrittura e di lavoro in squadra.
Le università anglosassoni, i cui corsi sono quasi sempre ad accesso programmato, affiancano lezioni frontali a seminari e laboratori, supportando lo studente nello sviluppo del suo percorso formativo, personale e professionale grazie a una serie di servizi che vanno dal tutorato (obbligatorio ed eseguito dagli stessi professori) all’associazionismo, alle attività sportive e alla presentazione di numerose opportunità di impiego, spesso nelle stesse università.
Dall’altro canto abbiamo l’Italia con i suoi atenei stracolmi, dove la volontà dello studente di dare un senso al proprio piano di studi viene vinta dalla necessità di non dover sovrapporre gli orari dei corsi e in cui vige ancora lo status del docente e del suo sapere. Composta quasi esclusivamente da lezioni frontali che esortano il discente a essere valutato da uno a trenta in base alla sua capacità di assimilare e ripetere le informazioni presentate in classe o lette sui libri, la didattica dei nostri atenei, specie per quelli di Lettere e Filosofia, mostra tutti i segni di un vecchio sistema in fase di cedimento, dove il segnale più evidente di questo ritardo risiede nell’impotenza da parte dello studente di costruirsi un percorso proprio mirando a uno sbocco professionale preciso.
Ma ancor più preoccupante risulta la percezione diffusa nella nostra cultura circa l’impossibilità di poter ragionare criticamente sul presente senza doversi rifare allo studio del passato e che la cultura sia collocata al di sopra di qualsiasi sfera dell’attività umana. Questo atteggiamento, dovuto forse alla grandeur dei nostri modelli culturali e storici, fa sì che tale ricchezza si trasformi in un peso e che finisca per essere considerata inutile.

University College London

University College London

ITALIA E GRAN BRETAGNA: MUSEOLOGIE A CONFRONTO
Un segnale lampante di questa forma mentis nel contesto che stiamo analizzando risiede nell’approccio allo studio della museologia. Dall’Università di Palermo a quella di Torino, la maggioranza dei corsi di studi che contemplano quest’insegnamento iniziano con la ripresa del significato del termine ‘museion’ da “casa delle Muse” nella Grecia antica, tracciando un’evoluzione ideale che dalla biblioteca alessandrina giunge al museo illuminista e contemporaneo, passando attraverso il collezionismo mediceo e le Wunderkammern, presentando questo tragitto come una trasformazione organica nei modelli di preservazione e trasmissione di conoscenza.
Ed ecco che la frattura fra museologia mediterranea e anglosassone si fa più grande e di metodo. Per spiegarlo riprendiamo uno dei contributi che hanno radicalmente modificato i criteri di studi museali nei paesi anglofoni: Museums and the Shaping of Knowledge di Eilean Hooper-Greenhill, dove la museologa inglese – partendo da un interrogativo sul significato delle realtà museali nel presente – spiega sulla scorta di Foucault come a una concezione della storia del museo come percorso lineare e razionale se ne contrappone in realtà una molto discontinua: “I musei hanno sempre dovuto modificare ruolo e funzioni a seconda del contesto, dei giochi di potere, delle circostanze politiche, economiche e sociali in cui via via si situavano”. I musei sono macchine del tempo le cui forme e funzioni sono e devono essere continuamente messe in discussione negoziandole fra i suoi stakeholders. Più che essere depositi di cultura materiale da tramandare, sono generatori di sapere prodotto da persone che, in quanto variabile a seconda della cultura del tempo, deve avere rilevanza rispetto al contesto e agli interlocutori a cui il museo si rivolge, altrimenti questo perde di senso.

DI COSA ABBIAMO BISOGNO
Forse la differenza fra mondo anglofono e mediterraneo è epistemologica e sta in una concezione diversa del significato dell’apprendimento, tanto a scuola quanto al museo. Da un lato abbiamo una cultura portata a rivedere continuamente le metodologie attraverso cui il sapere viene costruito, affinché questo abbia un rilievo nella contemporaneità. Dall’altro vi è una civiltà geneticamente orientata a rintracciare le linee di continuità nella storia e a tramandarle unitamente allo stesso modo di pensare.
Credo che all’Italia di oggi serva un luogo in cui poter mettere in discussione il pensiero, liberi da questi schemi, e mi chiedo se saremo in grado di cogliere l’opportunità che è davanti ai nostri occhi. Non abbiamo né centri studi in museologia, né un passato in questo in senso a cui rifarci, ma l’occasione di riflettere sulle criticità del nostro sistema, di guardare ad esempi esteri per ispirarci e di immaginare nuovi modelli che, tenendo conto delle nostre caratteristiche, ci proiettino – almeno per una volta – verso un futuro che è tutto da inventare.

Nicole Moolhuijsen

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Nicole Moolhuijsen

Nicole Moolhuijsen

Nicole Moolhuijsen è ricercatrice e freelance, specializzata in Museum Studies presso l’Università di Leicester (UK). Si occupa di studi sui visitatori, interpretazione e audience development con un focus sui musei d’arte. Ha collaborato con istituzioni in Italia e all’estero e…

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