NAPOLEONE E LE API
Cosa definisce un museo? Dove è legittimo tracciare al suo interno la linea tra cura, memoria, invenzione? Riflettevo di tutto ciò mentre ripensavo a una mostra curata di recente, nella piacevole luce serale della sua imminente chiusura. Joshua Thorpe, un artista canadese (opera a Toronto, è nato a Vancouver nel 1975) alla sua prima personale in Italia, ha avuto a disposizione gli interni del Museo Napoleonico di Roma, un sontuoso palazzo della capitale a poca distanza da piazza Navona, gremito di memorabilia bonapartiane e alcune notevoli opere pittoriche in tema, tra cui uno dei più noti olii su tela di Jacques-Louis David, il ritratto congiunto di Zenaide e Charlotte Bonaparte: quando si passeggi per le stanze dell’edificio, affollate di spade, ninnoli e fantasmi, facile è uscirne sopraffatti, presi al tempo stesso da una nostalgia di passato e di futuro.
Thorpe, dal canto suo, in vista della mostra ha svolto frequenti sopralluoghi nel museo e infine risolto di abitarne i vuoti e gli interstizi giocando con le api, uno dei temi iconografici più celebri della mitologia napoleonica. Bonaparte, da attento comunicatore qual era, sfruttò tale motivo merovingio per crearsi una genealogia imperiale a misura delle sue mire politiche e storiche; Thorpe è partito da tale tema, di cui ovunque si ha traccia nel museo (su piatti e tazzine, else di spada e tappezzerie: fino al famoso quadro di David, il cui divano è trapunto di api dorate), per richiamarne piuttosto l’origine naturale e a suo modo irriducibile a ogni intento o progetto umani.
In termini più direttamente operativi, l’artista ha quindi impiegato i vetri delle finestre e delle vetrine come supporto trasparente per una serie di testi dagli echi lucreziani dedicati alle api, proiettati nell’atto della loro lettura sull’ingombro del tempo presente, col traffico sul lungotevere oltre le alte finestre, e del passato, sovrapponendosi lievi alla squisita chincaglieria in mostra permanente nelle teche.
Ancora, in un’altra sala l’ordinario silenzio imbottito del museo è stato animato dalla registrazione straniante di uno sciame d’api, mentre altrove sono finite disposte – per terra in cornici precarie, oppure disseminate nel mobilio come carte di risulta – una serie di immagini legate agli insetti e ai fiori, appartati richiami a una natura intesa come forza cosmica che la cultura non può mai comprendere, né tantomeno definire appieno.
UN APPROCCIO INTERSTIZIALE
A me, come dicevo, l’operazione ha dato da riflettere a partire dal suo spazio inusuale, e, combinandosi con alcune letture recenti, lasciato un’impressione di felici possibilità espositive, abitualmente poco esplorate. Alla fecondità di un approccio per così dire “interstiziale” a musei storicamente molto connotati, per esempio, ha di recente accennato Hans Ulrich Obrist (leggi il suo Fare una mostra, in particolare nella parte in cui ricorda con gratitudine le proprie esperienze curatoriali al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, diretto da Suzanne Pagé), mentre nella stampa di settore sono frequenti i richiami a una funzione pubblica e sociale dei musei, fino a parlare per essi di servizi pubblici (vedi di recente, su questa rivista, gli interessanti scritti di Nicole Moolhuijsen, Maria Chiara Ciaccheri, Luca Baldin).
Tutto intorno, intanto, si sente continuamente auspicare o temere una gestione aziendalista di simili istituzioni, sullo sfondo – almeno in Italia – di quell’approccio severo a “il museo come scuola” (sic Giulio Carlo Argan, 1949) che, se aveva un senso civico quasi obbligato nella ricostruzione del secondo dopoguerra, complice la mediocrità intellettuale di tanta accademia successiva ha finito per limitare gravemente la visione del patrimonio artistico e museale nazionale.
IL MUSEO: EDUCAZIONE O INTRATTENIMENTO?
Non so, quindi provo a immaginare. Allo stato attuale, considerare un museo come un’azienda o un servizio pubblico mi pare ugualmente limitante, col rischio supplementare di rimanere invischiati in fragili distinguo tra educazione e intrattenimento (di propaganda non è elegante parlare, anche se il memorabile articolo di Eva Cockcroft apparso nel 1974, sull’Espressionismo astratto come arma della guerra fredda, dovrebbe pur continuare a offrire qualche spunto di riflessione anche su numerosi fenomeni del sistema dell’arte corrente). In un contesto come l’Italia, dove una ricchezza culturale tanto radicata e diffusa nel territorio rende – per usare un eufemismo – poco lungimirante tentare repliche di creazione (e poi marketing) dal nulla à la Bilbao, sarebbe forse il caso di considerare piuttosto i tanti musei già esistenti come luoghi organici, definitisi nel tempo, e insieme vere e proprie opere in sé, suscettibili di evolversi attraverso la combinazione con nuove opere.
L’idea, non fatico a confessare, è per me direttamente dovuta a un’altra mostra di Thorpe, che ammirai alcuni anni fa a Toronto: dopo aver introdotto una serie di propri lavori nel museo storico ospitato dall’ottocentesca Campbell House, il più antico edificio ancora esistente nella città canadese, Joshua appose davanti al palazzo una scritta che recitava “The monument’s action is not memory, but fabulation”, aperta all’immaginazione dei passanti, dei visitatori, in fin dei conti del monumento stesso. Confido che anche l’operazione tentata nel Museo Napoleonico abbia partecipato di una simile azione, e, nel combinarsi a tante altre simili, possa fornire un pur modesto contributo al rianimare un patrimonio museale che aspetta solo di essere indotto a immaginare nuove occasioni di memoria.
Luca Arnaudo
Roma // fino al 4 ottobre 2015
Joshua Thorpe – Bees. Api
a cura di Luca Arnaudo
MUSEO NAPOLEONICO
Piazza di Ponte Umberto I
06 68806286
[email protected]
www.museonapoleonico.it
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/45941/joshua-thorpe-bees-api/
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