Carnet d’architecture. Luca Galofaro
Per la rubrica Carnet d’architecture, questa volta abbiamo invitato Luca Galofaro, architetto, fondatore dei blog The Booklist e The Imagelist. Attraverso parole e collage su cartoline, ci mostra un modo alternativo di progettare. Le cartoline sono una forma di museo del reale, come strumento per tornare a guardare le città e l'architettura come uno spazio fisico determinato.
UN’ALTRA TEORIA DELLA CARTOLINA
Scrivere una cartolina è la cosa più semplice del mondo, tra l’altro è una forma di comunicazione molto contemporanea, si lavora su un testo breve e con immagini. Mandare una cartolina è un tentativo di fermare il tempo, o meglio di creare una relazione fra tempi diversi.
Confesso che mi piace accumulare oggetti differenti, anche se naturalmente devo frenare questa attitudine. Tra questi ci sono libri, cartoline e fotografie, da cui mi è quasi impossibile separarmi, perché sono frammenti che raccontano i miei viaggi e i miei interessi, i luoghi che mi affascinano, le mie sensazioni. Frammenti che provengono dai luoghi che ho attraversato.
Poi un giorno ho iniziato a guardare queste immagini, per entrare in sintonia con loro. Ho cercato nelle inquadrature qualcosa d’altro, ho visto emergere progetti diversi, quasi per caso.
In un primo momento ho pensato di creare io stesso le cartoline, le scrivevo ad amici cercando le parole e costruendo le immagini sul retro con frammenti di fotografie. Una scrittura altra, la mia, un tentativo di imprimere nella mia memoria dei segni che ne evocano altri in un gioco senza fine. Poi un giorno di qualche anno fa, con lentezza, ho invece cercato un’altra scrittura, più vicina al mio modo di essere architetto. Per dare vita a un viaggio nei territori dell’architettura.
Non ho più riempito con le mie parole lo spazio bianco delle cartoline, ma sono intervenuto solo sul fronte dell’immagine, usando frammenti di architetture, che entrano in contatto con i tempi dell’immagine, producendo nuovi significati, e riflessioni diverse.
POSTCARDS # 1
L’accostamento delle immagini, per quanto differenti siano, produce sempre una modificazione, un’apertura del nostro sguardo […] ogni immagine deve essere intesa come un montaggio di luoghi e di tempi differenti, anche contraddittori […] davanti ad un’immagine non bisogna solamente domandarsi quale storia essa documenti e di quale storia è contemporanea, ma anche quale memoria sedimenta e di quale rimosso è il ritorno […] Sollevare una memoria altra che riconfigura il presente.
Georges Didi-Huberman
Avevo bisogno di usare il montaggio non nella sua forma digitale, ma comporre a mano con quello che trovavo per tessere di nuovo i legami usurati tra il mondo (che cambia veloce) e la memoria.
Il passato infatti mi interessa solo se dura a lungo e se può coniugarsi al presente.
La cartolina è semplicemente “una stampa su un supporto semirigido destinata ad un uso postale per una corrispondenza non riservata” (Sébastien Lapaque, Teoria della cartolina, Archinto 2015). Rendendo pubblico il mio archivio personale, cerco di rivitalizzare questo oggetto dando nuova vita alla memoria, ma anche al mio presente.
Una cartolina al tempo degli sms e delle email rappresenta la rivincita delle relazioni concrete. Così come l’operare manuale è un tentativo di rispondere al proliferare di immagini digitali, con il tempo lento del montaggio. Il montaggio per me è una forma di disegno in cui tecniche diverse si sovrappongono tra di loro.
Trovare in Rete una serie di cartoline è facile, incontrarle realmente nei mercati meno, per questo dico che ormai sono le immagini a trovare me tutte le domeniche.
Una volta trovate, le immagini si trasformano in possibilità reali per il progetto. Le mie cartoline sono luoghi altri dell’immaginario che contengono luoghi reali, ne amplificano alcuni tratti, ne rifiutano altri.
POSTCARDS # 2
“A postcard of postcards in cui questi frammenti si incontrano”, scriveva William Blake.
Raccontano un’idea di architettura debole che nasce come riflesso di alcune di queste immagini, un’architettura che emerge dal contesto, dalle sue forme, dalla vita che immagino svolgersi all’interno.
Ogni cartolina poi è accompagnata da un piccolo racconto, dove trovano posto tanti libri.
Per comporre questi testi architettonici è sempre necessario profanare le immagini originali ma anche i vecchi libri e le riviste di architettura. Profanare nel senso che ne dà Giorgio Agamben quando scrive: “Profanare significava restituire al libero uso degli uomini […] la profanazione implica una neutralizzazione di ciò che si profana. Una volta profanato, ciò che era indisponibile e separato perde la sua aura e viene restituito all’uso” (Profanazioni, Nottetempo 2010).
L’idea di restituire all’uso immagini di città invece che di consumarne gli effetti è un’attitudine necessaria. Mettere assieme frammenti, mescolarli alla propria memoria per assimilarli meglio. Cercare nella città altre città, nella sua arte altre opere, nella sua architettura altre architetture. Bisogna scrivere attraverso le immagini, una storia personale, bisogna essere capaci di non essere radicali ma realisti, sfruttando l’immaginazione per narrare altre storie.
POSTCARDS # 3
Tornando alle parole di Agamben: “Se oggi i consumatori nelle società di massa sono infelici, non è solo perché consumano oggetti che hanno incorporato in sé la propria inusabilità, ma anche soprattutto perché credono di esercitare il loro diritto di proprietà su di essi, perché sono divenuti incapaci di profanarli. L’impossibilità di usare ha il suo luogo topico nel museo. La musica azione del mondo e oggi un fatto compiuto. Una dopo l’altra, aggressivamente, le potenze spirituali che definivano la vita degli uomini, l’arte la religione la filosofia, l’idea di natura perfino la politica si sono una a uno docilmente ritirate nel museo. Museo non designa qui un luogo o uno spazio fisico determinato, ma la dimensione separata in cui si trasferisce ciò che un tempo era sentito come vero e decisivo, ora non più. Il museo coincide in questo senso,con un’intera città , Con una religione e perfino con un gruppo di individui, in quanto rappresenta una forma di vita scomparsa. Ma, in generale, tutto oggi può diventare museo è che questo termine nomina semplicemente l’esposizione di un’impossibilità di usare, di abitare, di fare esperienza” (Profanazioni, cit.)
Profanare, dunque, come nuova possibilità per le immagini, per essere abitate ancora una volta.
La cartolina come forma di museo del reale, come strumento per tornare a guardare le città e l’architettura rappresentata come uno spazio fisico determinato.
P.S.
Non perdete tempo. Tra un sms e l’altro, scrivete a modo vostro una cartolina. E se volete leggere la vera teoria della cartolina, leggete questo.
Luca Galofaro
“Carnet d’architecture” è una rubrica a cura di Emilia Giorgi
www.the-booklist.com
www.the-imagelist.com
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