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I MESSAGGI AMBIGUI DI BANKSY
Dismaland non è un parco divertimenti al contrario, non è una presa in giro di Disneyland: è solo ed esclusivamente una mostra. Una mostra pensata e creata da Banksy. Quindi iconograficamente molto accattivante, allusiva, ironica, sarcastica.
L’artista di Bristol ha creato un’esposizione estremamente curata, in ogni più piccolo dettaglio, e sorprendentemente originale. Un’enorme installazione-contenitore dove all’interno assisti a performance, dove sono esposte magnifiche opere d’arte e vengono proiettati video d’artista. Il tutto in un format completamente nuovo, uno spazio non troppo grande, in cui è concentrato un mondo, un nuovo modo di pensare l’arte e anche di usufruirne. Perché stare all’interno di Dismaland è come stare in un vortice, in un caleidoscopio dove si è bombardati di opere d’arte, suoni, musiche, video e dove ogni piccolo particolare è ricco, significativo, intenso.
Il messaggio che vuole dare Bansky non è univoco, non una semplice e banale denuncia degli usi e dei costumi contemporanei, è un gioco continuo tra le parti, tra lo spettatore e gli artisti, dove vieni invitato a ripensare al modo in cui vivi ma allo stesso tempo invogliato a continuare così, e in tutto questo sta il genio di Bansky. Nell’ironia di farti notare le futilità, le contraddizioni, le prevaricazioni in cui vivi e di cui sei complice e allo stesso tempo invogliarti a fare lo stesso, mentre sei alla caccia del raro e ambitissimo palloncino, venduto solo ogni ora e in numero massimo di sei, con scritto “I am an imbecile”, nel selfie hole, nei giochi a premio in cui non puoi vincere mai, eppure vinci sempre.
UNA MOSTRA IN FONDO TRADIZIONALE
In tutto questo la mostra sembra passare in secondo piano, anche per come è stata pensata e allestita. Lo spazio di The Galleris è molto caratterizzato e qui vengono concentrare la maggior parte di opere d’arte, esposte e pensate in maniera più o meno tradizionale. All’ingresso è collocata l’opera di Bansky con la Morte sull’autoscontro che balla al ritmo di Staying Alive dei Bee Gees, insieme a uno stupendo video di Andreas Hykade e una specie di piantagione di cibo in scatola di Caroline McCarthy. Superata una tenda si entra nella vera e propria galleria dove spiccano le opere di Paco Pomet, Amir Schiby, Neta Harari Navon e Shadi Al Zaqzouq e Severija Incirauskaite-Kriauneviciene.
Usciti, la mostra continua a tratti in maniera più spettacolare, come con la scultura camion di Mike Ross o i tavoli per il pic-nic di Micheal Beitz, e a tratti in maniera più nascosta con la tenda di un accampamento militare tappezzato all’interno con striscioni con motti politici e opere d’arte di un livello e di un’intelligenza sorprendente, come i disegni di El Tenen, Mana Neyestani e Fares Cachoux. Oppure nel piccolo tendone da circo con opere di Scott Hove, Ronit Baranga, Dorcas Casey, Polly Morgan e Damien Hirst.
GLI ABBAGLI DELL’ABBONDANZA
Ma tutto inevitabilmente, anche per la grande mole di gente presente, sembra sfuggirti di mano, tutto sembra troppo e forse troppo complesso per capire ogni dettaglio, ogni pezzo della mostra, perché si ha la consapevolezza che ogni oggetto messo all’interno di Dismaland sia stato pensato e creato come opera d’arte. Così rischiano di sfuggirti i ritratti delle nuche da ritrattista di strada di Nattie Wakefield oppure le marionette danzanti di Paul Insect & Bast. Di certo non passano inosservati i video d’artista anch’essi estremamente interessanti, vari, complessi, ironici e cupi, tra cui vale la pena citare quelli di opusBpu, Becky and Joe Leonie, Chris Capel, Adrien M & Clarie B e di Mr. Freeman.
Il banale non è contemplato in questa mostra, per quanto all’apparenza lo si possa anche pensare, tutto è un dettaglio e tutto è centrale, in un gioco infinito di corrispondenze, ironia, contraddizione a volte così sottile e a volte così palese da lasciarti sempre sbigottito, interdetto ma allo stesso tempo incredibilmente affascinato, abbagliato da un mostra così viva, così pulsante, così forte.
E ora il carrozzone si sposta a Calais…
Dario Moalli
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