Inpratica. Separare la politica dalla cultura

Questo testo, suddiviso in premesse e proposte, raccoglie i risultati del tavolo “Separare la politica dalla cultura: un’urgenza” che Christian Caliandro ha coordinato al Forum dell’Arte Contemporanea Italiana di Prato. Tavolo al quale hanno partecipato Achille Bonito Oliva, Cristiana Colli, Mario Cristiani, Alfredo Pirri, Giuseppe Stampone, Massimiliano Tonelli, Gian Maria Tosatti, Marco Trulli e il pubblico presente.

Il punto di partenza è la distanza rispetto alla politica attuale, intesa come mera amministrazione del presente, che concepisce la cultura come semplice decorazione e strumento di consenso. All’arte e alla cultura si chiede dunque, non da oggi, di: confermare ciò che già tutti sanno, o presumono di sapere; celebrare classi dirigenti; autocelebrare e autoassolvere un’identità collettiva consunta. Questa separazione viene così concepita in un senso piuttosto letterale.

PREMESSE

  • Rifiuto categorico di qualunque riforma (intesa come piccola modifica e aggiustamento) della relazione attuale tra politica e cultura in Italia – per il semplice motivo che qualsiasi riforma interviene e si inserisce nella cornice di riferimento attuale, senza metterla in discussione né infrangerla. E, anzi, condividendone e accettandone i valori fondamentali.
  • Riconoscimento comune di una disfunzionalità fondamentale del sistema dell’arte contemporanea: il nostro problema principale è che spesso non diciamo la verità, e non ci diciamo la verità: questo mondo è affetto cioè da una forma grave di ipocrisia.
  • Percezione della specularità del sistema dell’arte contemporanea rispetto al territorio della politica: se cerchiamo un sistema analogo alla politica per funzionamento e caratteristiche interni (autarchia e autismo senza alcuna reale autonomia, e anzi attitudine parassitaria nei confronti della realtà sociale; elitismo, esclusività, solipsismo; dissociazione patologica e schizofrenia) lo troviamo proprio, e in maniera nient’affatto sorprendente, nell’arte contemporanea.
  • Occorre perciò partire da una trasformazione profonda del nostro contesto, e di noi stessi, senza la quale non è possibile alcun reale cambiamento: dobbiamo diventare migliori, e inventare migliori noi stessi.

E occorre ripartire dai modi originali, innovativi, eretici in cui le possibilità alternative di costruire comunità – Stato – sono state immaginate ed elaborate nei passaggi cruciali di questa nazione: “In un paese di piccola borghesia come l’Italia, e nel quale le ideologie piccolo-borghesi sono andate contagiando anche le classi popolari cittadine, purtroppo è probabile che le nuove istituzioni che seguiranno al fascismo, per evoluzione lenta o per opera di violenza, e anche le più estreme e apparentemente rivoluzionarie tra esse, saranno riportate a riaffermare, in modi diversi, quelle ideologie; ricreeranno uno Stato altrettanto, e forse più, lontano dalla vita, idolatrico e astratto, perpetueranno e peggioreranno, sotto nuovi nomi e nuove bandiere, l’eterno fascismo italiano. […] Bisogna che noi ci rendiamo capaci di pensare e di creare un nuovo Stato, che non può essere né quello fascista, né quello liberale, né quello comunista, forme tutte diverse e sostanzialmente identiche della stessa religione statale. Dobbiamo ripensare ai fondamenti stessi dell’idea di Stato: al concetto d’individuo che ne è la base; e, al tradizione concetto giuridico e astratto di individuo, dobbiamo sostituire un nuovo concetto, che esprima la realtà vivente, che abolisca la invalicabile trascendenza di individuo e di Stato. L’individuo non è una entità chiusa, ma un rapporto, il luogo di tutti i rapporti. Questo concetto di relazione, fuori della quale l’individuo non esiste, è lo stesso che definisce lo Stato. Individuo e Stato coincidono nella loro essenza, e devono arrivare a coincidere nella pratica quotidiana, per esistere entrambi” (Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli [1945], Mondadori, Milano 1970).

Kurt e Frances Bean Cobain davanti al collage per il retro di copertina di In Utero (1993)

Kurt e Frances Bean Cobain davanti al collage per il retro di copertina di In Utero (1993)

PROPOSTE

  • Appello comune alla responsabilità individuale, morale: tensione verso la ricostruzione di questa dimensione di responsabilità.
  • Ricominciare a mettere in discussione criticamente il sistema dell’arte; ritornare a vedere fisicamente le opere e le mostre, esercitando il dovere e la responsabilità di una critica individuale circostanziata e radicalmente onesta.
  • Stare dentro l’opera, e da un punto di vista anti-tecnico vivere la crisi – e la crisi della democrazia – e saperne dare una narrazione, cercando la fuoriuscita da questa crisi attraverso questa narrazione.
  • Orientarsi a ricostruire la dimensione di ecosistema dell’arte: l’arte è la nostra vita; costruire comunità temporanee, comunità di scopo (c. “per fare qualcosa”); elaborare così modalità creative, intelligenti e alternative di relazione e di confronto con la politica (in questo senso, il rancore, il risentimento, la recriminazione si rivelano e sono inutili).
  • La marginalità è un terreno fertile (sia dal punto di vista fisico, dei territori, sia di elaborazione e progettazione culturale.
  • “Competizione collaborativa” e impegno al rispetto reciproco della dignità.
  • Sfruttare l’enorme opportunità che deriva dalle nostre enormi criticità. Proposte di modello: applicare le buone pratiche internazionali, adattandole di volta in volta alle caratteristiche e alle vocazioni dell’Italia e dei suoi territori. Come hanno risolto all’estero i problemi che noi abbiamo di fronte? Sottoporre chi amministra la cosa pubblica alla griglia delle best practice, e sottolineare con forza ogni volta che ci si allontana da questa griglia, chiedendone puntualmente conto. Emergono così incapacità, corruzione, malafede ecc.: gli impedimenti pratici e concreti.
  • L’arte nel 2009 aveva promesso di aiutare L’Aquila e la sua comunità; poi questa promessa è stata dimenticata, e nulla è stato fatto (così come, parallelamente, dalla politica): l’arte contemporanea deve impegnarsi a tornare a L’Aquila con progetti reali e concreti, aiutando e sostenendo quella città nella propria ricostruzione identitaria. L’Aquila è inoltre un esempio delle emergenze italiane e continentali (migrazione, Ilva di Taranto, crisi, erosione dello spazio pubblico, questione generazionale ecc.) su cui l’arte contemporanea ha il diritto e il dovere di esprimersi e intervenire con le opere, in maniera non didascalica né velleitaria.
  • Aprire conflitti rispetto ai metodi di misurazione dei processi culturali: capovolgere l’assioma della cultura come volano dell’economia e del turismo; inserire nuovi parametri relativi alla costruzione di comunità e ai processi culturali. Non chiedere più alla cultura spettacolarizzazione, performance, indotti (con stravolgimento reale dei territori, gentrificazione, perdita). Rivendicare, protestare contro ciò che non ci piace non solo della politica, ma anche del panorama artistico che asseconda questa visione.
  • Dobbiamo pretendere (non chiedere, né elemosinare) che lo Stato torni a finanziare le attività culturali, rifiutando qualunque supposta giustificazione “storica” della dismissione e della deresponsabilizzazione rispetto al supporto pubblico della cultura.
  • Istituire un momento ulteriore (ancora più aperto e allargato) di confronto su questo tema fondamentale della separazione tra cultura e politica.
Ecosistema

Ecosistema

Lavorare dunque: sulla prospettiva di vita di un progetto; sull’infrastruttura di relazioni, basate a loro volta sul reciproco riconoscimento critico; sull’articolazione stabile di un sistema organico che cresce costantemente; sulla costruzione di una comunità, capace di mettere insieme le ferite e i traumi con le speranze e il desiderio di rinascere e di rigenerarsi; su un contesto unico, concentrato nello spazio e nel tempo (e in grado di espanderli), che brucia, consuma in quella concentrazione l’investimento cognitivo e economico, il pensiero, l’evoluzione.
Corrispondenza delle proprie ambizioni al paesaggio (naturale, architettonico e urbano, storico-artistico: l’ecosistema culturale) di riferimento: proporzioni, equilibrio. Un collage vivente, costruito con le scorie i residui gli scarti dell’epoca precedente: “Se si smette di guardare il paesaggio come l’oggetto di un’attività umana subito si scopre (sarà una dimenticanza del cartografo, una negligenza del politico?) una quantità di spazi indecisi, privi di funzione sui quali è difficile posare un nome. Quest’insieme non appartiene né al territorio dell’ombra né a quello della luce. Si situa ai margini. Dove i boschi si sfrangiano, lungo le strade e i fiumi, nei recessi dimenticati delle coltivazioni, là dove le macchine non passano. Copre superfici di dimensioni modeste, disperse, come gli angoli perduti di un campo; vaste e unitarie, come le torbiere, le lande e certe aree abbandonate in seguito a una dismissione recente. Tra questi frammenti di paesaggio, nessuna somiglianza di forma. Un solo punto in comune: tutti costituiscono un territorio di rifugio per la diversità. Ovunque, altrove, questa è scacciata” (Gilles Clément, Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet 2005, p. 10).

Christian Caliandro

www.forumartecontemporanea.it

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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