Manifesto per un’istituzione come spazio di inquietudine
Il testo che segue è la lettera che Antonio Grulli ha mandato ai partecipanti della tavola rotonda “Le istituzioni saranno spazi di discussione e di pensiero”. Un’occasione di riflessione che ha fatto parte del Forum dell’arte contemporanea tenutosi a Prato.
A Luca Bertolo, Andrea Bruciati, Vittoria Ciolini, Flavio Favelli, Davide Ferri, Luca Lo Pinto, Maria Morganti, Francesca Pasini, Riccardo Previdi, Pier Luigi Tazzi, Andrea Viliani, Paola Zanini
Miei cari eccomi.
In primis desidero ringraziarvi e salutare quelli che ancora non ho sentito. Mi rendo conto che per tutti voi è un atto di grande generosità dedicare tempo ed energie a questo tipo di progetto. Faccio subito una premessa: vi mando di seguito una serie di spunti che mi piacerebbe provare a utilizzare come inizio per avvicinarci alla nostra tavola rotonda. Ovviamente so che siete impegnati tutti molto, quindi rispondetemi solo se avete tempo e voglia. Ho provato a immaginare come si sarebbe potuta sviluppare una tavola di due ore con questo numero di persone e con queste modalità. Per forza di cose credo che si debba iniziare da alcuni spunti leggeri, di “poetica” generale, su cui riflettere e da cui partire per magari provare a partorire alcune idee pratiche ed effettive. Al tempo stesso vedrete che molti punti sono volutamente provocatori anche se basati su mie riflessioni vere e sentite.
Non saprei bene come chiamare quello che vi mando, forse la cosa che più vi si avvicina è una sorta di manifesto. Scrivo tutto di getto visto che il tempo stringe. Perdonate quindi gli errori, i toni e gli entusiasmi eccessivi. Come vi dicevo, se avete tempo, voglia ed energie, rilanciate, aggiungete, criticatemi ecc. Provate a vederlo anche come un modo per far arrivare i vostri desideri, la vostra visione di come pensate l’istituzione ideale possa diventare un luogo di discussione e pensiero… Iniziamo insomma il lavoro, per quanto possibile fin da ora, in modo da ottimizzare le due ore che avremo a disposizione. Davide (Ferri), ti lascio tra i destinatari, anche se non riuscirai a essere con noi, nel caso tu voglia dare un contributo. E anche perché vedo questo tipo di lavoro critico sempre collegato al cammino che abbiamo fatto assieme.
Un abbraccio
A.
MANIFESTO PER UN’ISTITUZIONE COME SPAZIO DI INQUIETUDINE
Che cosa può significare per un’istituzione oggi essere uno spazio di discussione e pensiero?
Non credo possa semplicemente significare aprirsi a delle chiacchierate, a delle conferenze o a delle tavole rotonde come in questi giorni ci apprestiamo a fare, e come anch’io ne ho realizzate (e ne realizzerò) molte. La mia opinione è che si debba vedere tutto da una prospettiva più ampia, quasi ontologica rispetto a quello che significa la parola “istituzione” oggi. Partendo da questo, penso sia possibile riuscire a produrre alcune proposte pratiche (come giustamente propone di fare il Forum).
Le istituzioni pubbliche dedicate all’arte contemporanea vivono un periodo dinamico ma al tempo stesso molto rischioso. Il mondo dell’arte negli ultimi anni si è espanso a dismisura e questo è sicuramente un fattore positivo. Ma in questo momento, a livello globale, ci troviamo in una situazione in cui il mercato dell’arte dispone di un potere e di una forza economica che le istituzioni non riescono nemmeno ad avvicinare, e questo squilibrio emerge con forza. Le istituzioni espositive del passato potevano contare su finanziamenti pubblici che permettevano di fare da guida rispetto a un collezionismo composto di pochissime persone e ancor meno gallerie. Mentre negli ultimi anni vediamo come anche i musei più importanti al mondo risentano dell’influenza di un sistema commerciale che è diventato più grande di loro e nei confronti del quale non hanno mezzi di resistenza. E questo è lo scenario migliore. Che dire delle istituzioni, pur dall’importante storia, che non hanno la fortuna di essere nelle grandi metropoli del mondo e che quindi non riescono nemmeno ad essere oggetto degli interessi speculativi del mercato dell’arte? Ovviamente faccio riferimento anche al contesto italiano, visto il tema del Forum a cui partecipiamo e visto che proprio il nostro caso è fatto di musei d’arte contemporanea non strutturati da un punto di vista economico o delle collezioni, spesso precarie o confuse.
Perché allora non provare a reagire a quello che è il trend internazionale piuttosto che inseguire una gara in cui ormai non abbiamo possibilità di piazzamento? Potrebbe essere interessante anche in chiave internazionale, come se le istituzioni del nostro Paese diventassero dei case studies di resistenza verso un sistema dell’arte che si muove con sempre più velocità e sempre più superficialmente; in cui gli artisti vengono valutati non per il loro lavoro ma per l’accademia che hanno fatto, la persona con cui hanno studiato o per il loro cv, in cui non deve essere alcune macchia o rallentamento. Lo vediamo continuamente: non c’è più tempo per cercare di capire quali artisti stiano davvero cercando di portare delle radicali innovazione nel modo di fare arte; come curatori abbiamo solo mezz’ora per ognuno di loro e devono riuscire a conquistarci con un portfolio di poche immagini, uno statement e con la loro furbizia. Nessuno è davvero interessato a cercare la qualità, ma solo a capire cosa le gallerie stiano per imporre e riuscire a salire sul carro dell’ultimo vincitore prima degli altri. E questo vale anche per le istituzioni, salvo rari casi. Ovunque regna il conformismo e la noia, e i nomi che vediamo in giro per il mondo sono sempre i soliti, ripresentati senza possibilità di sorpresa. Noi sappiamo benissimo quali sono gli artisti e gli intellettuali del passato e di oggi che dobbiamo avere come punto di riferimento.
Perché un direttore di museo allora non può agire ad esempio come Pasolini, Lars von Trier o Gilles Deleuze? Perché oggi studiamo una mostra come quella che Harald Szeemann fece sul proprio nonno, ma è così difficile credere che qualcosa di quel tipo possa accadere in un museo nel 2015? Può essere l’istituzione un produttore di senso o deve solo limitarsi a essere riproduttore di significati già realizzati in altra sede, già assodati e quindi già diventati luoghi comuni? Qui entra in gioco a mio parere il concetto di pensiero e discussione. Perché la riflessione può nascere solamente da un’iniziale sensazione di spaesamento, di messa in crisi, di desiderio di comprendere ciò che è veramente nuovo. L’istituzione non deve diventare un luogo pacificato, chiamato solo a mettere il proprio timbro su cose già decise. Deve essere un luogo capace di produrre un’eccedenza di significato rispetto alla norma, capace anche di dare scandalo, che sia vivo, che sia in grado di ospitare l’osceno, ovvero tutto ciò che non è già in scena. Per questo parlo di inquietudine.
Utilizzo il termine perché mi piace immaginare questi edifici come se fossero dotati di sentimenti e passioni. Come se fossero persone, capaci di tremare, con le loro paure, i loro difetti e le loro capacità di sbagliare. Soprattutto voglio che le istituzioni siano dotate di “limiti”, l’unica cosa capace di definire la fisionomia di una persona, rendendola unica e interessante. Vogliamo che le istituzioni siano entità burocratiche chiuse tra le due polarità dell’educazione paternalistica e dell’intrattenimento, o vogliamo che siano veri luoghi di cultura e riflessione con tutto quello che questo comporta? Perché dobbiamo chiedere a un museo di vivere una vita che noi non vorremmo mai? Io vorrei l’istituzione come un luogo da cui far nascere il conflitto, capace di rendersi istituzione di resistenza al luogo comune imperante. Deve essere un luogo inquieto, tellurico, quasi criminale, in cui i genitori abbiano paura che i propri figli vogliano andare, e non un luogo di deportazione, concentramento e detenzione di orde di bambini coi pennarelli in mano. Solo così diventerà un luogo di riflessione e non un luogo di rassicurazione dei nostri luoghi comuni più banali.
Cerco allora di riassumere e rilanciare alcune di queste suggestioni sotto le richieste che ci hanno fatto rispetto criticità del sistema e agli obiettivi che vorremmo raggiungere con le nostre riflessioni. Aggiungendo alla fine anche alcune ipotesi di idee pratiche da cui possiamo partire per discutere. Aggiungete le vostre idee.
CRITICITÀ
- Istituzioni troppo subordinate al mercato dell’arte.
- Istituzioni sradicate dal contesto della comunità che le circonda e con cui non riescono a interagire. Perché a un cittadino di Prato dovrebbe interessare l’attività del Pecci se quest’ultimo non affronta problematiche davvero sentite ma si limita, ad esempio, a questioni legate solo al sistema dell’arte?
- Musei che troppo spesso hanno abdicato alla propria origine di essere depositari di una collezione per diventare produttori di eventi e mostre temporanee (per avvicinarsi alle esigenze delle gallerie che non avrebbero nulla da guadagnare da collezioni fisse?)
- Pubblico visto solo come consumatore, persona da intrattenere o educare (paternalismo)
OBIETTIVI
- Fare in modo che l’istituzione pubblica possa e debba ritrovare la propria centralità come piazza aperta, luogo di aggregazione, confronto e scontro; che diventi un reale soggetto produttore di cultura. Solo così le istituzioni potranno essere spazi di discussione e di pensiero.
- Alimentare la permeabilità di queste realtà con il tessuto sociale a cui si rivolgono puntando allo stesso tempo allo sviluppo di contenuti che garantiscano una riconoscibilità a livello internazionale.
- Fare in modo che le istituzioni possano rendersi un luogo indipendente dal mercato dell’arte, pur mantenendo un canale di dialogo con questa parte del sistema.
- Perché non pensare a un’istituzione come produttrice di inquietudine e problematizzante rispetto alla società? Istituzione come generatore di vera discussione e vero pensiero su questioni reali e problemi vivi.
PROPOSTE CONCRETE
- Fare in modo che più istituzioni possano dotarsi di uno strumento editoriale affidato ad una direzione indipendente: house organ che non siano solo portavoci delle attività istituzionali.
- Più artisti direttori di istituzioni.
- Più critici puri, indipendenti dall’attività curatoriale, direttori di istituzioni.
- Ripristinare l’idea di collezione permanente come parte fondamentale del museo, attorno a cui far ruotare il resto dell’attività.
- Aumentare la specializzazione delle istituzioni. Attraverso una focalizzazione dei contenuti che vengono presentati: per linguaggio, concentrandosi ad esempio su di un solo medium. Oppure attraverso una specializzazione della propria ricerca, basata su confini geografici ad esempio (come quelli del luogo in cui l’istituzione è inserita), o per sottoculture, visto che queste ultime stanno diventando una delle colonne portanti della società di oggi. Insomma, evitare la pretesa di avere in ogni luogo d’Italia un’istituzione volta a indagare tutto lo scibile universale.
Antonio Grulli
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