Art of the Arctic. Reportage dalle Isole Svalbard
Siamo stati alle Isole Svalbard, l’ultimo luogo abitato prima del Circolo Polare Artico. Dove è stata da poco inaugurata la Kunsthalle più a nord del pianeta. E dove si sta aprendo un nuovo “passaggio a nord-ovest”, grazie anche al ruolo cruciale dell’arte e dell’architettura. Munitevi di abiti pesanti e preparatevi al viaggio.
Pensare al Circolo Polare Artico solo come a una terra estrema, interamente ricoperta di ghiacciai, popolata da orsi bianchi, foche e trichechi, e da pochi temerari che vivono da eremiti ai confini del mondo, non è certo la giusta prospettiva. Anche nell’ultimo avamposto abitato prima del Polo Nord la vita può offrire molto di più, e da qualche anno sono in atto evoluzioni importanti a cui architettura e arte contemporanea stanno dando il loro contributo, per cambiare la percezione della realtà e ampliare le possibilità della vita di chi ci abita.
Siamo a 800 chilometri a nord della Norvegia, alle Svalbard, un arcipelago di cui Spitsbergen è l’isola più grande, e Longyearbyen la cittadina che dal 1896 ne è il centro amministrativo. Un nucleo abitato con una popolazione di circa 2.100 persone, nettamente inferiore rispetto ai quasi 3.000 orsi polari che vagano per l’arcipelago, dove per legge non è permesso girare da soli senza fucile (per proteggersi appunto dai grandi mammiferi bianchi). Ventiquattro ore di luce in estate si alternano a ventiquattro ore di buio durante le notti polari in inverno, con tanto di ghiacciai perenni e aurore boreali a tingere di verde e blu i cieli nordici. In pratica siamo ai confini del mondo, dove tutto sembra estremo, anche il modo di fare arte e cultura, ma dove tanto sembra ancora possibile.
Le Svalbard sono state una famosa stazione per la caccia alle balene nel Seicento, per poi diventare uno dei centri più importanti per la produzione di carbone, all’inizio del XX secolo. Tuttora il carbone gioca un ruolo importante nell’arcipelago, con la città di minatori russi di Barentsburg, quaranta anime che estraggono il carbone lungo la costa, e la miniera numero 7, unica rimasta attiva a Longyearbyen. Ma con il prolungato crollo del prezzo del carbone e i tagli subiti dalle società minerarie – come la celebre Store Norske, un tempo proprietaria di tutte le costruzioni dell’isola – l’economia locale ora dipende sempre di più dal turismo e dalla ricerca scientifica.
E uno dei simboli della profonda trasformazione economica e sociale che sta caratterizzando Longyearbyen e le Svalbard è senza dubbio la recentissima apertura della Kunsthall Svalbard, il centro d’arte contemporanea più a nord del mondo, nato come sede distaccata del Northern Norway Art Museum di Tromsø. All’opening ufficiale lo scorso febbraio – giusto per capire il peso dell’evento – ha presenziato anche la regina Sonja, assieme ad alcuni dei nomi di spicco della scena artistica norvegese. Tanto che il direttore del museo, Knut Ljøgodt, ha parlato della nuova creatura definendola “il nostro PS1”. Visitiamo il nuovo spazio espositivo in una giornata di piena estate, con il termometro che segna 5° e la luce che invade la struttura da ogni parte. La galleria occupa una stanza non troppo grande attigua allo Svalbard Museum, dedicato alla storia e alla natura delle isole, che a sua volta è inglobato nello Science Center, l’imponente edificio progettato dallo studio di architettura di Oslo Jarmund/Vigsnæs. Nonostante le sue ridotte dimensioni, il nuovo centro per l’arte contemporanea è una dichiarazione d’intenti sul futuro delle Svalbard. “Il nostro obiettivo”, ha spiegato il direttore Ljøgodt, “è portare l’arte contemporanea in tutto il nord della Norvegia. Per questo Longyearbyen è stata una scelta naturale per aprire un centro espositivo di alto profilo internazionale, anche alla luce della crescente attenzione che le Svalbard stanno attirando negli ultimi tempi”.
Lo scioglimento dei ghiacci ha infatti aperto nuove tratte di navigazione, una sorta di nuovo “passaggio a Nord-Ovest” destinato a influire sugli scenari geopolitici di quest’area del mondo.
E a Longyearbyen si è scelto di costruire anche la Global Seed Vault, il deposito sotterraneo che contiene tutti i semi del mondo, l’arca di Noè high-tech che ha lo scopo di preservare il patrimonio genetico tradizionale delle sementi globali. Il progetto, concluso nel 2008, è stato interamente finanziato dal governo norvegese e ha portato le Svalbard sulle pagine dei giornali di tutto il globo. Ma l’architettura sicuramente più celebre di Longyearbyen è il già citato Svalbard Science Center, la grossa astronave color rame che da qualche anno segna enigmaticamente il panorama della cittadina, una sorta di MoMA appoggiato tra i ghiacci. Una struttura poliedrica completata nel 2006, che ingloba il centro universitario Unis, il Polar Norwegian Institute, lo Svalbard Museum e la Kunsthall Svalbard. A occupare gran parte dell’edificio è l’università, ribattezzata “la Harvard dell’Artico”, che rappresenta un hub internazionale per ricercatori di tutto il mondo, che si trasferiscono quassù per studiare geologia, glaciologia, mineralogia e tutto ciò che riguarda il Polo Nord.
Per Einar Jarmund, uno dei fondatori dello studio Jarmund/Vigsnæs responsabile del progetto, “la costruzione ha dovuto rispondere alle condizioni fisiche che presenta il territorio artico, che ci hanno spinto a sviluppare un progetto specifico sia dal punto di vista tecnico sia architettonico. Perciò l’edificio è sollevato da terra da un sistema di pali, per adattarsi agli accumuli di neve e alla forza del vento”. La forma dell’edificio si ispira alle stelle, con cinque braccia che emergono da un nucleo centrale, e sia la sua geometria che il tetto ricoperto di rame sono un chiaro riferimento al paesaggio e all’identità mineraria delle Svalbard. Il centro è oggi un polo attrattivo sia scientifico sia turistico: “Costruire nell’Artico è una sfida, e il rapporto con la natura e il carattere remoto del luogo ne sono l’aspetto più interessante”, ha aggiunto Einar Jarmund. “Innanzitutto è stato importante creare un edificio totalmente integrato nel paesaggio, per ragioni estetiche, ma è stato determinante lavorare anche con tecniche avanzate per proteggere l’edificio dalle intemperie, che in luoghi come questo sono un fattore cruciale”.
Il centro di ricerca accoglie circa 500 tra studenti e scienziati che arrivano da tutto il mondo. Heidi, una ricercatrice francese esperta in glaciologia che incontriamo nei corridoi semideserti dell’università, in un momento di piena pausa estiva, ci racconta quanto sia affascinante vivere ai confini del mondo, “soprattutto l’inverno con la notte polare, quando a Longyearbyen si svolgono gran parte delle attività culturali e dei festival, e la comunità si ritrova unita nell’oscurità della notte”. Con entusiasmo ci racconta che da fine ottobre il calendario degli eventi culturali è piuttosto fitto: tra i tanti, si parte con il Dark Season Blues Festival, e poi a febbraio, con le 24 ore di buio totale, si svolge il Polar Jazz Festival, che raccoglie gli abitanti della cittadina e attrae centinaia di turisti.
La vita e la natura nell’Artico da sempre attraggono i turisti, così come da sempre hanno affascinato artisti, architetti e intellettuali. Qui si è svolta nel 2010 una delle mitiche spedizioni artiche promosse dall’artista inglese David Buckland con il progetto Cape Farewell, che ha portato un gruppo di artisti, operatori culturali e opinion makers (tra i quali anche il folletto dell’elettronica Dj Spooky) per sensibilizzarli sul cambiamento climatico. Altra esperienza esemplare della fascinazione per l’Artico la ritroviamo proprio in una celebrità del calibro di Joan Jonas, l’artista e performer americana scelta per aprire con la sua mostra Glacier la Kunsthall Svalbard lo scorso febbraio, pochi giorni dopo Solfestuka, la festa che celebra il ritorno del Sole e la fine della notte polare. Jonas si è spesso ispirata alla natura artica – come nella sua celeberrima Volcano Saga – e nel progetto Glacier presenta un video di immagini e suoni registrati alle isole norvegesi Lofoten, accompagnato da una serie di disegni; gran parte del progetto prende ispirazione dal romanzo Sotto il ghiacciaio dello scrittore islandese Haldor Laxness.
Al di là dello spazio espositivo fisico, l’obiettivo della nuovissima Kunsthall è anche quello di avviare un programma di residenze d’artista, che attragga personaggi da tutto il mondo, in arrivo a Longyearbyen per trovare nuove fonti di ispirazione. Un progetto di residenze d’artista è già offerto in città da un altro centro a vocazione artistica, la Galleri Svalbard diretta da Jan Martin Berg, che da tempo nella sua struttura ospita artisti, e confida che “il nuovo progetto lanciato dal Northern Norway Art Museum riesca a portare a Longyearbyen artisti di livello internazionale superiore, con condizioni economiche migliori rispetto a quanto possiamo offrire noi, con maggiori fondi istituzionali da impiegare in questo settore”. Galleri Svalbard, aperta nel 1995, è l’unica galleria commerciale dell’isola, e oggi ospita un calendario di mostre temporanee, la collezione d’arte permanente del norvegese Kåre Tveter – il pittore del bianco e della luce, celebrato anche alla Nasjonalgalleriet e al Henie-Onstad Art Centre di Oslo – assieme a una ricca collezione di mappe antiche, libri e documenti storici, litografie di spedizioni artiche e un archivio di vecchie monete coniate appositamente dalle compagnie minerarie e valide solo per i commerci alle Svalbard.
Il richiamo alla dimensione di vita dell’economia mineraria è talmente forte che lo ritroviamo in tanti momenti della nostra visita a queste isole. E proprio una delle esperienze più intense e “artistiche” che i viaggiatori possono fare durante la loro permanenza alle Svalbard è la visita all’ex insediamento minerario di Pyramiden, la città russa nella baia di Adolfbukta, a est dell’isola, di fronte al grande ghiacciaio di Nordenskjøldbree. Una città oggi praticamente abbandonata – ci vivono otto persone, e soltanto due durante l’inverno – e che ai nostri occhi appare più come un museo o forse un’installazione. Pyramiden prende il nome da una montagna a forma di piramide alle spalle della città ed è stato un insediamento modello per l’estrazione del carbone, una città utopica che accoglieva una comunità di oltre 1.000 persone. Fondata dalla Svezia nel 1910 e venduta all’Unione Sovietica nel 1927, è stata poi abbandonata nel 1998, quando ha perso il suo valore produttivo, e da allora è una città fantasma con ancora la maggior parte delle infrastrutture e degli edifici praticamente intatti. Ad accogliere i visitatori è uno degli attuali abitanti, il giovane Sasha, completamente immerso nella parte del pioniere minatore, con tanto di fucile e pastrano tradizionale russo, che li accompagna attraverso i complessi abitativi, l’ospedale, la fabbrica della miniera, la scuola, fino ad arrivare al viale principale su cui si erge la statua di Lenin più a nord del mondo, e alle sue spalle il centro culturale, la palestra, il cinema, la biblioteca, la sala della musica. E poi il vecchio ristorante della città, che oggi include l’Hotel Tulip appena riaperto, in cui è allestito anche un piccolo museo che racconta la storia di questo luogo incredibile. E Sasha ci racconta che “nel 2014, proprio a Pyramiden, la pop star svedese Tove Styrke ha girato il video di una delle sue hit”.
Insomma, dove ci si aspetterebbe di trovare solamente roccia, ghiaccio e desolazione, l’arte – nelle sue forme più diverse – s’insinua un po’ ovunque nell’ambiente e nella vita delle persone. La scultura è diventata, come spesso accade, una forma di arredo urbano, che accompagna il passeggio nelle due principali strade di Longyearbyen. Ne sono esempio l’opera in legno dell’artista norvegese Kristian Kvaklands, figura orizzontale e metafora visiva del minatore che lavora in un giacimento di carbone, chiuso in uno spazio claustrofobico; e l’eroica scultura in bronzo dell’artista Tore Bjorn Skjølsvik, che rappresenta anch’essa un minatore al lavoro in una posa futurista. E qui sull’isola di Spitsbergen si trovano anche tentativi riuscitissimi di recupero architettonico di edifici che oggi sono diventati luoghi di culto e di design. Come Isfjord Radio, la stazione radiofonica che a partire dal 1933 ha inviato segnali di comunicazione svolgendo una funzione determinante per tutto l’arcipelago. Oggi è stata trasformata in un remoto boutique hotel, ha ancora all’esterno la grande parabola satellitare fatiscente e all’interno pezzi di design e un ristorante stellato, dove il giovane chef Jonny Bøkestad prepara ogni giorno piatti creativi basati su materie prime locali, per assaporare quello che viene definito il vero “taste of the Arctic”.
Ma perché investire in architettura, gallerie, musei e arte contemporanea in un luogo come questo, ai confini del mondo? A sentire le opinioni di chi lavora nel settore, l’arte e la cultura avranno sempre più una funzione armonizzatrice e accompagneranno la crescita economica e sociale dell’isola. La responsabile dello Svalbard Museum, Constance Andersen, arrivata qui per la prima volta trent’anni fa, ci conferma che “Longyerbyen è cambiata tantissimo da allora, e i musei e i centri dedicati all’arte servono alla comunità, hanno una funzione sociale importantissima”. Una prospettiva che ci conferma anche Rakel Huglen, la coordinatrice degli eventi e delle attività didattiche della neonata Kunsthall. “Nel periodo autunnale e invernale organizzeremo visite guidate, sia per i visitatori sia per la gente che abita qui. Ci saranno workshop per bambini e per adulti, inviteremo storici e critici a tenere approfondimenti. L’arte avrà un ruolo importante per la comunità: la Kunsthall sarà un luogo non solo per vedere arte ma anche per imparare cosa vuol dire farla”.
Sia Constance che Rakel ci esprimono l’entusiasmo che provoca nelle persone il vivere alle Svalbard, una sensazione che si può raccogliere unanimemente chiacchierando con gli abitanti di Longyearbyen. “Questo è un luogo meraviglioso“, è il mantra che continuano a ripetere tutti coloro che incontriamo, e sembra che durante la notte polare lo sia ancor di più. Ministri, leader mondiali e personaggi di spicco della cultura e dello spettacolo si fermano qui molto volentieri, e di recente è stata avvistata anche la stilista inglese Vivienne Westwood. Non certo perché Longyearbyen è una città giovane, dove ufficialmente si viene ad abitare per scelta, dove a nessuno è permesso di nascere o morire, e dove tutti sono tenuti ad avere un posto di lavoro. E non è la mancanza delle tasse e il fatto che sigarette e alcool siano molto a buon mercato a trattenere le persone in questo luogo, dove esiste anche un quotidiano indipendente che si chiama Ice People. È lo strano silenzio che domina quasi incontrastato, una luce unica, un paesaggio estremo e una nuova dimensione di vita comunitaria ai confini del mondo. Sembra impossibile che vivere qui, con l’inverno più lungo che si conosca, si avvicini molto al concetto di felicità, e che l’evoluzione forte che sta caratterizzando queste isole passi anche attraverso l’arte, il design e l’architettura. “Chissà”, conclude sorridendo Rakel Huglen, “forse prima o poi non vi chiederemo più di togliervi le scarpe prima di entrare in qualsiasi edificio dell’isola”, retaggio della volontà di mantenere la polvere del carbone fuori dalle case. “Certo alla regina Sonja, quando è venuta a inaugurare la Kunsthall Svalbard lo scorso febbraio, non abbiamo potuto chiederglielo”.
KUNSTHALL SVALBARD. IL CENTRO D’ARTE PIÙ A NORD DEL MONDO
È il museo di arte contemporanea più a nord del mondo, è stato inaugurato lo scorso febbraio alla presenza della regina Sonja di Norvegia ed è destinato a far parlare di sé negli anni a venire. Kunsthall Svalbard nasce come sede distaccata del Northern Norway Art Museum di Tromsø, con la volontà di marcare una presenza istituzionale ancora più forte nelle regioni artiche. È ospitato all’interno dello Svalbard Museum, in un piccolo spazio interamente rivestito in legno chiaro, con pareti oblique che riflettono gli spazi interni dell’imponente architettura progettata dallo studio norvegese Jarmund/Vigsnæs.
E le ambizioni del nuovo centro per l’arte contemporanea sono evidenti fin dalla mostra d’inaugurazione, protagonista la pioniera della videoarte e della performance Joan Jonas, star internazionale che rappresenta gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia. Qui presenta il suo progetto video Glacier, ispirato ai paesaggi artici e al romanzo Sotto il ghiacciaio dello scrittore islandese Premio Nobel Haldour Laxness. La Kunsthall si propone di presentare almeno due mostre l’anno, di artisti di rilievo sia norvegesi che nomi di punta della scena internazionale, e si candida a diventare un fulcro di produzione artistica e al tempo stesso un hub culturale per la comunità cosmopolita che gravita attorno a Longyearbyen.
“In autunno lanciamo anche un programma internazionale di residenze d’artista” ci annuncia Rakel Huglen, exhibition lecturer del centro, “non solo norvegesi ma artisti da tutto il mondo, che verranno qui per farsi ispirare dall’Artico, per presentare i loro lavori e trovare input per i loro progetti futuri”. La Kunsthall ha fin da subito raccolto grande interesse da parte del pubblico, tanto che tra i visitatori delle prime settimane c’è chi è arrivato fin quassù dalla Germania solo per la mostra di Joan Jonas. “Molti sono sorpresi di trovare uno spazio per l’arte contemporanea come questo”, aggiunge Rakel Huglen. “Alcuni ne rimangono estraniati, ma crediamo che nei fatti sia un’opportunità importante per chi lo visita per riflettere sulla realtà che ci circonda, sulle immagini e i suoni che trovano all’esterno. La stessa Joan Jonas ha lavorato molto sui suoni del Polo Nord nelle diverse stagioni”.
La Kunsthall Svalbard si candida anche a svolgere un ruolo attivo nella vita culturale della comunità di Longerbyyen. “Nel periodo autunnale e invernale organizzeremo visite guidate”, conclude Rakel, “proporremo workshop per bambini legati alle mostre e workshop di disegno per gli adulti. Sarà un luogo anche per imparare e approfondire l’arte, grazie a un programma di lecture tenuto da storici dell’arte e curatori: le prime esperienze in questo senso hanno avuto risultati oltre le aspettative e in futuro siamo convinti che l’arte avrà un ruolo sempre crescente. Ci saranno anche corsi specifici all’università”.
La prossima mostra inaugurerà prima di Natale e il protagonista sarà Olav Christopher Jenssen, uno dei più quotati artisti contemporanei norvegesi. Anche stavolta un nome all’altezza del museo più a nord del pianeta.
GLOBAL SEED VAULT. ARCA DI NOÈ HIGH-TECH
La vegetazione rada sui fianchi delle montagne brulle e ghiacciate delle Isole Svalbard non farebbe certo immaginare la grande diversità della vita vegetale, proveniente da tutto il mondo, custodita all’interno di una struttura scavata nella roccia della montagna Platåfjell. Parliamo della Global Seed Vault, il deposito sotterraneo che contiene i semi di tutto il mondo, l’arca di Noè high-tech che ha lo scopo di preservare il patrimonio genetico tradizionale delle sementi globali.
La struttura, conclusa nel 2008 su progetto di Peter W. Söderman dello studio Barlindhaug Consult di Tromsø, è stato interamente finanziata dal governo norvegese – precisamente dall’agenzia di edilizia pubblica Statsbygg, che ne è anche l’attuale proprietaria – e ha portato grande attenzione mediatica sulle Isole Svalbard. Un’architettura di cemento con una superficie di circa 1.000 mq, di cui è visibile dall’esterno solo l’ingresso in cemento, che per la sua forma e design unici è diventata un landmark di riferimento a Longyearbyen. La volta è scavata nel permafrost, per permettere ai semi di essere conservati a una temperatura costante di 3-4 gradi sotto lo zero. Perpetual Repercussion dell’artista norvegese Dyveke Sanne – nota per le sue opere che si basano su fenomeni di luci e ombre mutevoli – adorna la facciata principale e rende visibile l’edificio da lontano, sia di giorno che di notte, grazie a triangoli in acciaio inossidabile altamente riflettenti, che assieme a specchi e prismi usano la luce del sole per modificare l’aspetto della superficie, a seconda dell’ora del giorno e della stagione. La luce rappresenta quindi un volume complementare rispetto al cemento e alla profondità della costruzione che emerge dal permafrost, e fa da contraltare al buio dell’interno. “La profondità della volta non è visibile”, dice l’artista a proposito della sua opera, “eppure il suo contenuto riflette un senso profondo e una complessità che ci riguardano. Quando ci si rende conto della sua esistenza, ci ricordiamo anche della nostra posizione in una prospettiva globale, e della condizione del nostro pianeta”.
Il concetto architettonico dell’opera si basa sull’idea che il primo impatto con la Seed Vault debba trasmettere un’idea di robustezza assieme a un design unico. La struttura è composta di un edificio in cemento che dà accesso all’interno della montagna prima attraverso un tunnel fatto da un tubo d’acciaio ondulato – il cosiddetto “tubo Svalbard” – e poi da un tunnel di roccia. La parte più interna, praticamente il congelatore, è diviso in tre parti di uguali dimensioni. Il professor Roland Von Bothmer, senior advisor della Svalbard Global Seed Vault, informa che “la prossima apertura è prevista per ottobre, quando la temperatura sarà più bassa e si potrà effettuare uno dei tre o quattro depositi di semi che vengono fatti durante l’anno”.
Lisa Chiari e Roberto Ruta
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #27
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