L’arte può cambiare il mondo? Vol. II

Continua il nostro talk show, cominciato in occasione della 56. Biennale di Venezia curata da Okwui Enwezor, in corso fino alla prossima domenica. Ci siamo chiesti – e abbiamo chiesto – se esiste un cambio di prospettiva nel lavoro degli artisti contemporanei, se sono più o meno politici e quanto lo sono i curatori. L’arte può cambiare il mondo? A curatori, critici, artisti, studiosi e direttori di museo l’ardua sentenza. Per una domanda che, dopo gli ennesimi fatti di sangue a Parigi, acquista ancora più importanza.

MARCO SCOTINI
All The World’s Futures? Una grande occasione sprecata! Sarebbe stato importante (addirittura necessario) un confronto con Il Capitale: ma dov’è? Non solo non è nella mostra (che può essere malriuscita) ma neppure negli intenti programmatici (che di solito sono utopistici). Confrontarsi con Marx oggi avrebbe voluto dire mettere sotto inchiesta il sistema contemporaneo dell’arte, farne il centro della questione. Ripartire dalla sezione che s’intitola Il carattere di feticcio della merce e il suo segreto, quella parte che negli Anni Sessanta e Settanta era disattesa in favore del rapporto lavoro/valore.
Oggi questa sezione (e l’arte che la incorpora) è il centro del nuovo capitalismo. In un talk dell’Arena ha provato a lanciare la questione il mio amico Lazzarato di fronte a una Adrian Piper che faceva finta di non capire. D’altra parte non confrontarsi con Marx non è meglio che confrontarsi, non risolve il problema e non assolve nessuno: lo lascia lì dov’è, intatto.

Viktor Misiano

Viktor Misiano

VIKTOR MISIANO
Il mega-formato si riconosce nei momenti storici che richiedono il riassunto di un’esperienza accumulata o la manifestazione di una volontà sociale e politica condivisa. La nostra è un’epoca piuttosto reazionaria, con le grandi idee unitarie che si arrendono all’entropia. È però un momento di riflessioni sofisticate e ipotesi fantasiose. È il momento di esplorare la soggettività, i traumi e le passioni. Ma l’arte che nasce da questo tipo di esperienza si presta più al formato medio e persino piccolo. Vuole essere dove il pubblico sarà in grado valutarne meglio la complessità.
Con ciò non è detto che le Biennali debbano essere chiuse: questo è un formato che ha un valore storico e che dev’essere conservato. Come l’Opera alla Scala o il balletto al Bolshoi. Ed è quello che ha cercato di fare Enwezor con un progetto intelligente e professionale, ma consciamente accademico. Da marxista non può non rendersi conto che le scelte individuali sono determinate dalle condizioni storiche. Le mostre di carattere sintomatico e profetico le dobbiamo cercare altrove.

Antonio Arevalo

Antonio Arevalo

ANTONIO AREVALO
Fondamentalmente non penso che i curatori siano più attenti degli artisti sulle questioni politico-sociali: se si è impegnati soltanto nella strategia, sarà difficile potersi relazionare con la responsabilità che può avere l’arte con le problematiche del XXI secolo. That is the question.
Si tratta di cose diverse: progettualità o strategia? Magari progettualità artistica e meno strategia.

Arianna Di Genova

Arianna Di Genova

ARIANNA DI GENOVA
L’arte contemporanea è per sua natura un pensiero aperto, incompiuto, attraversato dalla potenza della realtà e profeticamente in bilico su scenari futuri. Il crocevia su cui si colloca l’artista, di sguincio rispetto la grande Storia e frontale quando si tratta di raccogliere o reinventare la frammentarietà del presente, ha un suo Dna: è un bivio esistenziale, una posizione obliqua da assumere nel mondo, che ritroviamo anche quando l’artista è “engagé” o si professa tale. Non ci sono proclami sociali da rimodellare per chi opera nel campo del contemporaneo. Per questo, alla Biennale le opere più convincenti sono quelle che deviano dall’assunto principale, come ha fatto Akomprah con il suo poema marino e “umanistico”, scritto in videoinstallazione.
Un artista è più vicino a un antropologo che a un economista e, in genere, non enuncia teoremi per amministrare la materia del reale. Coglie segni, li cuce, rattoppa, sovverte, separa… Spesso, in questo suo andirivieni, insegue narrazioni seminali, microscopiche, provocando terremoti visivi e concettuali. È l’ordine simbolico il suo campo di schieramento, non l’ideologia o lo sguardo esagitato. Qualcuno lo dimentica e la noia è proprio lì, dietro l’angolo.

Fabio Cavallucci

Fabio Cavallucci

FABIO CAVALLUCCI
Attraversiamo un’epoca di grande frammentazione, in cui non c’è una tendenza dominante, ma tanti punti di vista. Non direi che i curatori sono più interessati a un’arte che tocchi tematiche socio-politiche mentre gli artisti no. Ci sono anche molte mostre che indagano situazioni più asettiche, meno inserite nella mondanità. Poi ci sono le differenze geografiche: gli artisti di Paesi ancora “caldi” sul piano politico sono più inclini a indagare questioni sociali contingenti.
Personalmente ritengo che l’arte abbia il compito di indagare i grandi cambiamenti che il mondo sta attraversando, anzi, in qualche modo che possa intravedere i cambiamenti prima che avvengano. Però quella artistica non può essere una rappresentazione letterale. Mi è rimasto impresso quanto diceva un artista dell’avanguardia polacca degli Anni Settanta, Józef Robakowski, autore di video concettuali nel momento in cui il regime comunista sosteneva il realismo: “Per noi il modo di essere politici era quello di non esserlo assolutamente”.

Gabi Scardi

Gabi Scardi

GABI SCARDI
Credo che esistano tuttora moltissimi artisti sensibili alle urgenze del nostro tempo. Proprio la 56. Biennale di Venezia lo attesta. Del resto, a sostanziare l’attività curatoriale è l’operato degli artisti. Senza opere forti, nessun curatore può fare bene. Certo, toni, linguaggi e modalità sono molto diversi da quelli degli Anni Sessanta e Settanta, perché mutati sono la situazione, lo scenario di riferimento e il linguaggio stesso dell’arte.
Ma mi pare che molti artisti continuino a muoversi su un orizzonte critico e a rilanciare con convinzione e con chiarezza, attivando, sulla base dell’immaginazione e dell’intelligenza, progetti di ampio respiro. Le loro visioni non hanno un nesso strumentale con la realtà ordinaria; ma, grazie allo scambio che si può instaurare tra l’opera e il suo interlocutore, possono contribuire a far pensare e a mobilitare l’immaginazione. Convogliate nelle attività di ogni giorno, le energie del pensiero e dell’immaginazione contribuiscono al modo di affrontare la vita e di intervenire nel reale dibattito quotidiano.

Alessandro Bulgini

Alessandro Bulgini

ALESSANDRO BULGINI
La Biennale di Venezia mi ricorda tanto le convention di dentisti che si tengono di solito in posti esotici con tanto di champagne e hostess al seguito. Nonostante gli argomenti trattati siano così importanti, per poterne usufruire devi fare un percorso a ostacoli e fare “raccolta fondi” un po’ di tempo prima. Ma no dai, non ci prendiamo in giro, la vita è altrove e bisogna agire sul tessuto lì dove c’è bisogno, e poi, per fare il punto della situazione, ci si deve incontrare dove non ci siano altri impedimenti e orpelli dispendiosi, questo per una maggior efficienza e per essere alla portata di tutti. I palazzi del governo li metterei nelle periferie, lo dico da sempre.
L’arte è militanza, la curatela lo è, non si può perdere del tempo su di un vaporetto stracolmo (14 euro andata e ritorno) mentre ti passano accanto transatlantici di gran lunga più paradossali rispetto a qualsiasi operazione artistica perimetrata da quattro mura dell’Arsenale e fatta in nome del Capitale di Marx. Non torna, non torna un cazzo, ce la stiamo raccontando: più radicalità, più incisività, più intenzione. PS: … e mentre il vaporetto va, gente altrove annega.

Martina Padberg

Martina Padberg

MARTINA PADBERG
Un’arte che non si occupi dei problemi del nostro tempo è pensabile? Io vedo nella politica non (solo) lo strumento del processo decisionale e della governance, ma soprattutto il settore in cui si decide sulla convivenza tra gli uomini, sugli spazi e le possibilità di sviluppo a loro concessi, sul comportamento nei confronti della natura e del creato.
L’arte mobilita la ragione e il sentimento, il ricordo e l’immaginazione. Ha un potenziale utopistico perché fa comprendere che cosa sia possibile e fattibile. Vivendo in mezzo agli incalzanti sovvertimenti e sconvolgimenti in tutto il mondo, abbiamo bisogno proprio di questa forza. Interessi economici, sviluppi tecnologici e conflitti culturali-religiosi cambiano la nostra “carta geografica” esteriore e interiore. Lo sradicamento, la mancanza di una patria, l’insicurezza diventano esperienze vincolanti comuni a tutta l’umanità. Gli artisti sono specialisti in nuove aperture. Esperimentano, rigettano, prendono vie traverse e ricominciano da capo. Nella loro ricerca possono indicarci la direzione, anche quella politica.

Beral Madra

Beral Madra

BERAL MADRA
In questa epoca di “neocapitalismo” e “fine del capitalismo”, credo che dipenda da dove vivono gli artisti! La situazione politica ed economica in corso in Turchia, dovuta al partito di governo islamico e alle guerre e al terrorismo in Siria e Iraq stanno emettendo segnali di una rapida dipartita della democrazia, con un conseguente rientro nei luoghi oscuri del fascismo. Si potrebbe dire che stiamo soffrendo di una forma di trauma sociale e culturale. In Turchia, e in molti dei Paesi vicini con le stesse problematiche politiche economiche e sociali, gli artisti hanno bisogno di una forte committenza politica.
Per lo sviluppo delle democrazie, l’arte di oggi è uno strumento efficace. Nella misura in cui gli artisti seguono il percorso dei movimenti novecenteschi – dissidenti, agitatori, perturbanti – devono continuare a essere impegnati politicamente: il Capitale di Marx alla 56. Biennale di Venezia significa che il settore privato, gli interessi delle multinazionali, le manipolazioni del mercato artistico costituiscono un “eccesso di coinvolgimento” e un “circolo vizioso” per i contenuti e l’estetica della produzione artistica contemporanea. Spero che gli artisti che sono ancora oggi riluttanti all’impegno politico possano rivedere il proprio atteggiamento.

Aleksandar Duravcevic

Aleksandar Duravcevic

ALEKSANDAR DURAVCEVIC
Oggigiorno chiunque abbia accesso ai social media può essere un artista politicamente impegnato o un attivista. Le nuove generazioni di artisti nel mondo occidentale stanno lavorando e reagendo a un clima politico piuttosto non ideologico. Come le principali ideologie del XX secolo, la destra e la sinistra, si sono fuse in un partito dalla vocazione omogenea al business, gli artisti stanno mostrando una mancanza di interesse alla politica.
Comunque, vedo l’arte politica orientarsi verso un atteggiamento più impegnato socialmente, in cui gli artisti sono più coinvolti in progetti pubblici nei quali ognuno è al tempo stesso partecipante e spettatore. Abbiamo visto ad esempio i graffiti trasformarsi da una forma di Street Art attivista e illegale in una forma artistica mainstream associata all’energia della rigenerazione urbana. Vedo che anche la scultura, la performance e il video stanno seguendo lo stesso percorso. L’artista come commentatore sociale in una sfera pubblica o semplicemente nel contesto dell’arte pubblica ha la responsabilità di elevare la coscienza sociale nel mondo, e specialmente nei luoghi che stanno affrontando tremendi conflitti politici e religiosi.

Mike Watson

Mike Watson

MIKE WATSON
Coloro tra noi che nel mondo dell’arte posseggono un senso di giustizia sociale, guardano con naturalezza alle forme in cui l’arte può arricchire il dibattito politico. Ma allo stesso tempo devono fare un passo indietro e guardare ai problemi inerenti al campo dell’arte. L’arte, attraverso la sua capacità di illusione, ha molto da offrire per immaginare nuovi mondi.
Ma questa capacità non deve essere utilizzata per nascondere gli illeciti nel mondo dell’arte stessa. Bassi salari e mancanza di meritocrazia perpetuano un sistema gerarchico e chiuso a molte persone delle classi sociali più basse. Dobbiamo affrontare questi problemi a livello locale in Italia, nello stesso modo in cui condanniamo, ad esempio, le condizioni di lavoro dei migranti che hanno costruito il Louvre o il Guggenheim ad Abu Dhabi. Non possiamo nemmeno cominciare a rivendicare una sorta di superiorità morale se prima non iniziamo a ripulire il mondo dell’arte stesso. Questa per me è una priorità e suggerisco che il processo cominci con una discussione franca e aperta sui temi di classe sociale e meritocrazia nel mondo dell’arte italiana.

a cura di Santa Nastro

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #27

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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