C’erano una volta i bar. L’editoriale di Luca Iaccarino

C’erano una volta, in Italia, i bar. Ve li ricordate i bar? Non le rovine che ne restano, ma proprio quelli veri, tosti, autentici, Anni Settanta. E al centro del bar c'era sempre, inesorabilmente, infallibilmente lui, Quello Che Sa Tutto.

C’erano una volta, in Italia, i bar. Ve li ricordate i bar? Non le rovine che ne restano, ma proprio quelli veri, tosti, autentici, Anni Settanta. Erano quelle stanze fumose con la spuma, il distributore di noccioline, il flipper, le bibite Pejo, il biliardino, le carte da scopone logore, il giornale stazzonato (sportivo, ça va sans dire), i capannelli di pensionati, disoccupati, flâneur e latin lover di borgata. E al centro del bar c’era sempre, inesorabilmente, infallibilmente lui, Quello Che Sa Tutto.
Quello Che Sa Tutto era una tipologia speciale di barfly: sui quaranta, barba sfatta, d’occupazione incerta, gran bevitore di spumantini, indefesso fumatore di MS ma – soprattutto – onnisciente. Quello Che Sa Tutto sapeva tutto e te lo spiegava: il complotto che c’era dietro la caduta del governo, le mosse giuste per far ripartire l’economia, per abbassare le tasse, trovare i funghi, non prendere la multa per divieto di sosta e far felici le mogli. Quello Che Sa Tutto ti conosceva meglio di te stesso, i tuoi malanni di corpo, di cuore, di testa: sapeva lui, in ogni occasione, cosa avresti dovuto fare.
Era un tipo sbruffone ma anche, diciamolo, simpatico. A piccole dosi. Quando t’aveva annoiato, dicevi “Sì, sì, certo… Ora devo proprio scappare” e te ne uscivi a riveder le stelle.
Ora i bar non ci sono quasi più. In compenso c’è Facebook, il bar globale. I social sono una meraviglia, per carità – demonizzarli sarebbe come prendersela con il telefono – ma hanno moltiplicato all’infinito Quello Che Sa Tutto. Il web è zeppo di giudizi tranchant e opinioni definitive sulla qualsiasi, il mondo dell’arte non ne è affatto esente. Siamo tutti giudici senza nemmeno sapere di cosa si parla, senza dedicare un secondo ad ascoltare prima di commentare (al vertice di questa piramide di soloni ci sono quelli che prendono per vere le notizie del sito di satira Lercio).

Luca Iaccarino

Luca Iaccarino

Ognuno ha sempre diritto di parola – ci mancherebbe – ancor di più nella società 2.0. Ma a ogni diritto corrisponde un dovere (potere è responsabilità, come diceva il filosofo Peter Parker), in questo caso quello di informarsi. Io faccio un mestiere in cui esercito il giudizio quotidianamente (ho la ventura di recensire ristoranti: lo so, poteva andarmi peggio). E in vent’anni di pratica ho capito che le parole pesano. Parecchio. E paradossalmente, pesano più quelle di un cliente “normale” su Tripadvisor che le mie che scrivo sulla carta: le sue resteranno nella memoria immortale del web (altroché oblio), le mie si perderanno come lacrime nella pioggia (più prosaicamente: il giorno dopo fasceranno il pesce).
Il cazzeggio è sempre, per definizione, anarchico. Ma i giudizi no, i giudizi devono partire dall’informazione. La prossima volta che rischiate, che rischiamo, di trasformarci in Quello Che Sa Tutto commentando una notizia al brucio su un social – una vicenda di cronaca, una fusione aziendale, un decreto legge, un ristorante che non c’è piaciuto, una mostra o un provvedimento del Ministero dei Beni Culturali – contiamo fino a mille. E mentre contiamo, andiamo a leggerci almeno la notizia per intero, non solo il titolo. Soprattutto controlliamo che la fonte non sia Lercio: ci faremmo la figura di quello del bar, Quello Che Sa Tutto. Simpatico, sì, ma in fondo in fondo un pirla.

Luca Iaccarino
giornalista gastronomico

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #28

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