Applichiamo la Costituzione. Sviluppo, e poi tutela
Tra le mille indicazioni non attuate della nostra Carta Costituzionale, ce ne sono tante perfino nei Principi fondamentali. Per quello che ci concerne è particolarmente interessante l’articolo 9 della Costituzione che, essendo molto breve, riportiamo per intero: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
SVILUPPO E TUTELA, NON VICEVERSA
I padri costituenti misero al primo posto lo sguardo a domani piuttosto che l’attenzione a ieri. Si badò a proiettare il Paese verso il futuro, invece che ancorarlo al passato. Ci sono due commi nell’articolo 9: nel primo, in alto, si parla di “sviluppo”, nel secondo, in basso, si parla di “tutela”.
Nei decenni successivi, e in particolare dopo la lobotomia collettiva del 1968, si è fatto esattamente l’inverso. Ci si è curati di tutelare la cultura infischiandosene del suo sviluppo, del suo contributo alla vita civile ed economica del Paese. Relegandola. Narrandola come un ostacolo invece che come un’opportunità. Spesso le due cose non solo sono state separate, ma si sono ostacolate a vicenda: insomma, l’eccessivo focus sulla tutela ha non soltanto lasciato al palo, ma addirittura mortificato, interrotto, impedito lo sviluppo.
MARIANNA MADIA PIÙ CHE DARIO FRANCESCHINI
Tra i mille gravi difetti che questo Governo sta dimostrando, almeno possiamo dire che una riflessione su questa anomalia spesso fortunatamente emerge. E si traduce in atti. Fino ad oggi siamo stati portati a imbastire uno storytelling che vedeva la figura di Dario Franceschini, attivo Ministro della Cultura, come attore principale di questo cambiamento. Un nuovo ruolo per le soprintendenze, una riforma della Ministero, i nuovi direttori internazionali selezionati per bando, per la prima volta maggiori fondi alla cultura nella Legge di Stabilità (ma mentre scriviamo il provvedimento non è stato ancora approvato), le pretese meraviglie dell’Art Bonus e così via.
Ebbene, se non c’è dubbio che l’ex democristiano abbia impostato una stagione riformistica tutt’altro che trascurabile, la vera protagonista – grazie alla trasformazione in legge, lo scorso agosto, della Riforma della Pubblica Amministrazione – di questa annosa vicenda sembra essere un’altra: Marianna Madia. Più lucida, lungimirante, competente, influente e preparata di quanto appaia e di quanto non venga raccontata dalla stampa, la Ministra della Funzione Pubblica ha approvato una riforma che, tra decine di piccole e grandi rivoluzioni che entreranno in vigore nell’arco dei prossimi 18 mesi, pone al primo posto una norma semplice: le pubbliche amministrazioni per rispondersi a vicenda potranno avere un massimo di 90 giorni di tempo. Dopodiché, silenzio assenso. Non esisterà più la Soprintendenza X che, vedendosi arrivare sulla scrivania una richiesta di nulla osta da parte del Comune Y o della Regione Z, si possa permettere il lusso di non rispondere o di rispondere dopo anni, magari sfruttando questo potere di veto per lucrare in termini di potere o, peggio, di corruttela.
FINE DELLO STRAPOTERE DEI FUNZIONARI
Se il meccanismo funzionerà, se non ci saranno appigli, se non ci saranno TAR o ricorsi a minarne la fluidità, si tratterà di una rivoluzione che varrà il doppio di tutte le riforme di Dario Franceschini messe assieme. La buona architettura di qualità, la buona urbanistica, la trasformazione urbana, la riqualificazione di aree degradate o abbandonate sono il presupposto dello sviluppo culturale del Paese di cui parla la Costituzione. Oggi questi processi sono bloccati in nome dello strapotere di alcuni funzionari dello Stato spesso impreparati, spesso semplicemente stupidi, talvolta in malafede quando non ideologizzati o, peggio, corrotti.
Domani la forza di bloccare il Paese potrebbe venire meno e gli investimenti buoni, quelli che se italiani vanno all’estero e se stranieri non affluiscono, potrebbero tornare cambiando completamente le carte in tavola. Concediamoci un pelo di ottimismo e osserviamo in maniera attiva questi processi.
Massimiliano Tonelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #28
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