“Fluctuat nec mergitur” è il motto della città di Parigi e, assieme a un battello che solca i mari su uno sfondo rosso, compone lo stemma della capitale francese. Si ispira all’antico marchio della potente corporazione dei Nautes, d’epoca romana, è comparso su alcune monete verso la fine del XVI secolo ed è divenuto simbolo ufficiale della città il 24 novembre 1853, su decisione del barone Haussmann, allora prefetto del dipartimento della Senna. “È sbattuta dalle onde ma non affonda” è il senso di questa locuzione resa ancor più maestosa e nobile dall’utilizzo di parole latine.
Parigi, nonostante il tempo e le avversità di ogni genere, è sempre indistruttibile e lo è ancora di più ora che si è scoperta nuovamente fragile e vulnerabile. Ma l’uso di una lingua antica e ricca di cultura come il latino rende ancor più forte il messaggio che proprio attraverso le arti si possono sconfiggere le barbarie e si può rinascere. E a Parigi, culla di questo ardore e di civiltà, gli artisti non sono stati fermi.
La scritta latina è apparsa, dopo una notte insonne, la mattina di sabato 14 novembre su un muro in Place de la République. Su sfondo nero, le lettere scultoree bianche illuminano la giornata grigia parigina. Alla vecchia maniera, con bombolette spray, sin dalle prime ore del sabato, il Grim Team, collettivo di writer, ha lavorato per dipingere il motto, accompagnato dal simbolo della città. Il gesto, che ha letteralmente immortalato la frase, è stato poi ripetuto, il successivo lunedì, in un’altra zona di Parigi. Stesso slogan, stesso font, stesso stile, ma questa volta sul Quai de Valmy, lungo il canale di Saint-Martin, non molto distante da Le Petit Cambodge, da Le Carillon e dal Bataclan. “Siamo cresciuti a Parigi e volevamo dimostrare che siamo ancora qui”, hanno detto i ragazzi del Grim Team.
Lo slogan, diventato segno di resistenza e riscossa contro il terrore, è stato ripreso anche da Julien Mallard, in arte Seth, illustre street artist francese che, seguendo il suo stile setoso e dai colori morbidi e pastello, ha lasciato parlare i più piccoli. La scritta con tratto infantile è accompagnata da una barchetta di carta che naviga su onde stilizzate. È il messaggio di un bambino, è di spalle quasi a voler proteggersi dal mondo che lo circonda, ma è anche il simbolo dell’innocenza e della rinascita. Ed è in Place Ménilmontant.
Più cupa è la figura di un altro ragazzino: triste e in lacrime, regge una bandierina francese colpita al cuore con due fori sanguinanti. Il suo busto emerge da acque torride e nere sulle quali è nuovamente impressa “Fluctuat nec mergitur”.
Di romanticismo, Fred le Chevalier riveste quasi sempre i suoi personaggi. Parigi non sarebbe riconoscibile senza i suoi paste-up raffiguranti leggeri figure in bianco e nero con pochissimi cenni di altri colori. Principi, regine, personaggi misteriosi o animali dell’universo cavalleresco interagiscono con i muri delle città, non solo francesi, ma di tutto il mondo. Il suo appartamento è vicinissimo al luogo della sparatoria di venerdì, passa accanto a quei luoghi ora a lutto una decina di volte a giorno. Per questo ha deciso di affiggere lì vicino l’immagine di un bambino con una candela in mano, mentre per tutto il quartiere sono comparsi angeli e altri personaggi con dei cuori. Laddove è nato il caso, Fred prova portare dolcezza.
Ma se c’è uno che da anni usa la sua arte a favore dell’integrazione e per smascherare luoghi comuni contro religioni e pregiudizi, questo è Combo Culture Kidnapper. Il suo intento, soprattutto dopo gli attacchi alla redazione di Charlie Hebdo e al supermercato kosher, è quello di invogliare i passanti ad una riflessione, spronarli a capire il concetto di uguaglianza, giocando anche con i simboli delle religioni. Non sempre, però, viene capito: lo scorso febbraio, su una parete del quartiere Porte Dorée , l’artista 28enne aveva raffigurato se stesso mentre indossava un djellaba con accanto la parola “coesistere”, sostituendo la lettera “c” con la mezzaluna islamica, la “x” con la stella di Davide e, infine, la “t ” con la croce cristiana. Come ha successivamente detto, quattro uomini si sono avvicinati insultandolo e chiedendogli di rimuovere l’opera. Al rifiuto dell’artista, l’hanno picchiato lussandogli una spalla e provocandogli altre contusioni. Intervistato, Combo ha poi detto: “Per me non importa da dove vengono, di che colore è la loro pelle o quali sono le loro idee politiche o religiose. In questo contesto, tutto ciò che rappresentano è la stupidità e l’ignoranza”.
Ma lui è sceso ancora una volta in strada e al grido “Paris encore debout” (Parigi è ancora in piedi) ha invitato tutte le persone che lo seguono su Facebook a prendere delle foto che li ritraggono allegri, festosi, mentre suonano, mentre giocano o semplicemente dove dimostrano vitalità e di attaccarle in giro per la città per dimostrare che i parigini vivranno sempre in piedi e mai in ginocchio. La risposta più semplice e più diretta come le sagome che ha lasciato per le vie di Parigi dove ad essere raffigurati è gente sono visi sorridenti della popolazione.
Bastek, molto più semplicemente, non le manda a dire.
C’hanno messo il cuore, anzi ne han messi più di trecento a Montpellier, città a sud della Francia. Supportarti dall’intervento di due artiste del posto, Sunra e Oups, che hanno affisso delle coccinelle tenute sospese da giganteschi cuori, tutti i passanti, grandi e piccini hanno avuto la possibilità di attaccare sticker a forma di cuore come gesto caloroso di partecipazione e di reazione ai tragici avvenimenti.
Ma non sono i soli: altri writer, sparsi per il mondo, si sono mobilitati sostenendo Parigi e rendendo omaggio alle vittime a modo loro. Semplicemente aggiungendo una “s” all’hashtag che subito è girato in rete: #prayforparis è diventato #sprayforparis. Il messaggio, a forti tinte blu, bianche e rosse è apparso su muri e sui vagoni dei treni. Un caloroso segno di rispetto e di solidarietà che ha avvolto il pianeta; certo aveva i colori della Francia, ma un unico ideale: se l’arte è il riflesso della civiltà, allora l’uomo ha bisogno della sua luce per non sprofondare nell’oblio del terrore.
Vanni Sgobba
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