Percorso ellenico. Arte, economia e società
Il Memorandum d'intesa con la Grecia prevede 86 miliardi di euro, distribuiti in tre anni, per consentire allo Stato di ripagare i debiti e avviare una revisione della macchina amministrativa. Applicando misure di austerità e un programma idoneo al contenimento del deficit. In tutto questo, qual è il ruolo del sistema dell’arte?
In Italia, negli ultimi mesi, diversi quotidiani e blog hanno pubblicato articoli sull’arte pubblica in Grecia, evidenziando il ruolo della Street Art come veicolo di denuncia del contesto socio-economico e politico. Il Corriere della Sera del 5 luglio, ad esempio, titolava in prima pagina L’Europa in ansia per il referendum che divide i greci, con una fotografia di Petros Giannakouris che ritrae un murales di Atene straordinariamente eloquente: l’icona di una banconota da cinque euro, ormai sgualcita, sono due occhi sgranati per la preoccupazione su un volto incorniciato da mani affaticate.
Abbiamo ascoltato la voce di artisti e curatori greci, guardando l’attualità dal punto di vista del sistema dell’arte nelle sue diverse espressioni. Le interviste realizzate hanno toccato il cuore del problema per conoscere le diverse posizioni sulla questione politica e sociale e l’eventuale ruolo che artisti e curatori ritengono di avere in questo frangente. Come agisce l’instabilità politica, economica, sociale sul sistema dell’arte? Quali sono le reazioni dei suoi principali attori? Quali le conseguenze, le nuove linee di pensiero, le strategie?
Merita innanzitutto evidenza la scelta di Adam Szymczyk, direttore artistico della prossima Documenta di Kassel: nell’intervista al broadcaster internazionale tedesco Deutsche Welle ha spiegato le ragioni della novità che caratterizza la 14esima edizione della rassegna che si terrà a Kassel nel 2017. Sotto il titolo Learning from Athens, Documenta 14 è attiva nella doppia sede di Kassel e Atene, varcando per la prima volta dal 1955 i confini tedeschi. Una decisione rilevante, data la situazione odierna.
La giornalista e performer greca Margarita Tsomou, basata a Berlino, ha raccolto da Szymczyk un’interessante dichiarazione in un’intervista realizzata ad Atene, in occasione del referendum di luglio (e pubblicata sul quotidiano tedesco Zeit Online): “La discussione Grecia versus Germania mi pare assurda”, sostiene Szymczyk. “Con Documenta 14 vogliamo puntare il dito su questa situazione e ‘mostrare’ la discussione in atto. Durante una crisi aumenta il pericolo di avallare meccanismi nazionalisti per giustificare manovre politiche. Questa polarità lascia spazio a visioni polimorfiche”. Con queste premesse, l’attenzione dei media di settore sarà auspicabilmente orientata a verificare gli sviluppi di una scelta che si prefigura di cambiamento e apertura.
Maria Papadimitriou, artista classe 1957 che lavora tra Atene e Volos e insegna arti visive al Dipartimento di architettura dell’Università della Tessaglia, rappresenta quest’anno la Grecia alla Biennale d’Arte di Venezia con l’installazione Agrimiká. Why Look at Animals? Interpellata sul problema socio-economico greco, ha rilasciato una dichiarazione che tocca due nodi laterali ma cruciali: migrazione e fondi al sistema scolastico ellenico. “Devo constatare che attualmente in Grecia esistono molti gruppi di giovani artisti e architetti che lavorano sullo spazio pubblico. Il mio Paese si trova in una profonda crisi e tutti pensano sia un problema creato negli ultimi anni, che sia il risultato di una cattiva gestione economica o di un malcostume dei cittadini, che non producono a sufficienza o non pagano abbastanza tasse. Dal mio punto di vista, ciò è completamente sbagliato. La Grecia ha avuto gravi problemi strutturali fin dalla sua creazione all’inizio del Novecento, una potente classe dirigente che regola media, politica e banche. È una società non moderna nel cuore della modernità”. E prosegue: “Tutti abbiamo pensato ai giorni in cui il superamento dei confini nazionali era profondamente legato a un nuovo mondo di speranza senza guerra. Oggi viviamo in un mondo in cui, invece, il superamento dei confini significa sangue e violenza. Giustizia e uguaglianza dovrebbero essere internazionali, o non essere affatto. Come docente all’Università della Tessaglia, devo affermare che il sistema dell’educazione in generale e le università soffrono per i tagli al budget. Insegnanti e studenti lottano ogni giorno e la realtà è che un’intera generazione sta crescendo non soltanto nell’incertezza, ma anche con disappunto, fatto ancor peggiore”.
Poka-Yio, artista multidisciplinare e curatore che vive ad Atene, cofondatore della Biennale di Atene e membro del duo curatoriale X&Y, ha anch’egli parlato in modo duro, e cupo, della situazione che vive la Grecia oggi. “È difficile decodificare i miei sentimenti o i sentimenti della gente attorno a me. Sono offuscato, mi sento gelido, senza cuore. Non vedo futuro per la Grecia e, peggio, non vedo futuro per l’Europa. È come se le tende fossero state sollevate improvvisamente solo per mostrare il nero totale, il vuoto assoluto”.
Una voce ponte tra Europa e Stati Uniti è quella dell’artista Stefanos Tsivopoulos, che vive tra Grecia, Amsterdam e New York. Per la Biennale di Venezia del 2013 il Ministero Greco dell’Educazione e degli Affari Religiosi commissionò a Tsivopoulos un’opera per il Padiglione della Grecia, curato da Syrago Tsiara: l’installazione History Zero, un film in tre episodi unito a un archivio di testo e immagini che ruota attorno al valore del denaro e al ruolo che esso svolge nella formazione delle relazioni umane. Sull’importanza del denaro, sul ruolo che assume nella vita di un artista, Tsivopoulos ha risposto pragmaticamente: “Il denaro non si avvicina nemmeno lontanamente a ripagare l’impegno e il tempo che metto nel mio lavoro. Ritengo che gli artisti siano alcuni tra i lavoratori peggio pagati rispetto alla dedizione e alle ore che impiegano nel produrre arte. Quindi essere artista non ha a che vedere con il fare soldi, ma il denaro serve per creare opere e vivere. Per questo è importante. Il resto dipende dallo stile di vita che vuoi avere, che tu viva in Grecia, in Olanda o negli Stati Uniti”. Tra le parole chiave non c’è solo denaro, ma ovviamente anche crisi; su questo termine Tsivopoulos è critico: “La parola ‘crisi’ per me è come il suono di un allarme o di un campanello che ti avvisa che qualcosa è sbagliato: ‘Attenzione!’, senza specificare a cosa devi stare attento. Questo vuoto di significato ha creato un’iperbole, un mostro linguistico, uno spettro che gioca con le nostre ansie e le nostre paure. Forse non è la parola in sé, ma sono le proiezioni piene di timore della nostra società a riempire questo guscio vuoto”. E prosegue sulla situazione politica e sociale in Grecia: “Viviamo in tempi estremamente precari. Oltre all’ansia e alla paura del domani, ci sono cose inspiegabili a parole: vaghe sensazioni di perdita, alienazione e profondo disorientamento. E un senso di impotenza. La società greca si trova in uno stato di shock e di sbigottimento da cinque anni, e questa condizione ha risvegliato l’animosità sociale che sta agli estremi: ad esempio il conflitto interno alla società, la ricchezza contro la povertà, la sinistra radicale contro la destra estrema, l’indigeno contro l’immigrato, il nord e il sud ecc. L’unico aspetto positivo che vedo in questa situazione è quel sentimento di solidarietà tra persone, che genera iniziative umanitarie di scambio di cibo e beni, economie alternative su micro scala e altri progetti condivisi, ma ovviamente non basta a riparare il danno”.
Tra Grecia e Italia si trova Thanos Zakopoulos, artista, designer, fotografo che a Milano ha fondato, con Katia Meneghini, lo studio CTRLZAK Art & Design, di cui è anche direttore creativo. Non fa mistero della tendenza tipica del popolo greco a vivere nell’immediatezza, anche se sostiene che la situazione ha forzato i greci a cambiare atteggiamento: “Pur vivendo gran parte del mio tempo fuori dalla Grecia, non posso fare a meno di esserne influenzato, come credo tutti i greci. Il grande problema di questo periodo è l’insicurezza sul futuro del nostro Paese. Siamo un popolo che di solito non pensa molto al domani, ma che si preoccupa di vivere bene il presente. In questo momento non è più così. Personalmente lo vivo come un periodo di riflessione, non solo sul futuro della Grecia, ma su tutta l’Europa e di conseguenza su noi stessi”. E sul lavoro dell’artista rivela: “In questo momento confesso che la mia testa è talmente affollata di pensieri, idee, riflessioni che non posso essere produttivo come vorrei. È un po’ come essere nel mezzo di una tempesta: pensi a quale sarebbe la cosa più importante da fare solo una volta che ne sei uscito”.
Il senso di disorientamento è dilagante, anche fuori patria; come affrontano questa condizione i festival d’arte che ancora si svolgono in Grecia? Katerina Goutzouli, neodirettrice della programmazione dell’ADAF – Athens Digital Arts Festival, che si svolge ogni anno ad Atene nel mese di maggio, spiega che “la situazione greca attuale è molto volatile, così come lo è stata negli ultimi anni. Il festival come organizzazione non profit ha beneficiato di fondi comunitari in passato, ma nel 2015 abbiamo lavorato molto sul fundraising, constatando la difficilissima condizione finanziaria del Paese. Questa edizione è frutto di grandi collaborazioni con artisti e altri festival e istituzioni internazionali, perché abbiamo dovuto trovare modalità differenti per realizzarla”. Quale consapevolezza politica e sociale dimostri la scena dell’arte digitale ad Atene è oggetto di riflessione per chi ricopre il ruolo della Goutzouli. A tal proposito la direttrice dichiara che “la scena dell’arte digitale greca sta crescendo. Mentre la prima generazione di artisti digitali ha avuto che fare con temi politici come l’immigrazione, le dinamiche della Rete, la crisi dell’identità, la nuova onda di emergenti esplora tematiche della cultura digitale contemporanea come l’accessibilità, le infrastrutture digitali e i social media”. Un punto importante della riflessione di Katerina Goutzouli riguarda la dematerializzazione dell’oggetto artistico a favore delle strategie e delle pratiche che possono essere utilizzate anche dai ‘non-artisti’: “Per questo in Grecia assistiamo all’emergere di una nascente comunità di artisti interdisciplinari, ingegneri, sviluppatori e persone dai diversi background, che realizzano workshop e scambiano esperienze e abilità”. Affinché la scena greca dei nuovi media porti un contributo significativo al dibattito, secondo la Goutzouli, servirà ancora del tempo: “Bisogna prendere le distanze dalla situazione per offrire un contributo lucido al dibattito. Sono certa che nel prossimo futuro avremo risposte interessanti da artisti e creativi, ma prima dobbiamo far scemare rabbia e disappunto. Il problema, dal mio punto di vista, non è solo greco, sebbene la Grecia sia il Paese che apparentemente soffre di più per la condizione in cui si trova. Il problema è di tutti, e tutti dobbiamo porre attenzione alla situazione”.
A conferma di questa testimonianza, e a riprova della delicatezza del tema, c’è la voce – silenziosa – di un grande dell’Arte Povera. Jannis Kounellis, italiano d’adozione, raggiunto telefonicamente si è detto preoccupato, ma ha preferito non rilasciare dichiarazioni.
Eppure esistono voci in Grecia, laterali rispetto al sistema dell’arte, come quella del dj di musica techno Spiros Kaloumenos che, pur dicendosi cambiato dalla crisi economica, non ritiene di esserne stato negativamente influenzato. Sulla base di un’unica dichiarazione, che vale come segnale sebbene non possa essere elevata ad esempio generale, esiste un settore nell’ampio spettro delle “industrie culturali e creative”, quello della musica elettronica nel caso di Kaloumenos, che non è infettato dalla crisi e non ha l’urgenza di mettersi in relazione con la situazione attuale.
Silvia Scaravaggi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #27
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