Museo del Prado. Intervista col nuovo direttore scientifico
Miguel Falomir Faus, valenziano classe 1966, da giugno è il nuovo direttore scientifico del Museo del Prado. Tra le sfide da raccogliere, le celebrazioni per il 500esimo anniversario della morte di Bosch e il bicentenario della nascita del museo. Lo abbiamo intervistato.
Miguel Falomir Faus ha preso il posto di Gabriele Finaldi, chiamato a dirigere la National Gallery dopo dodici anni di intensa attività a Madrid, e affianca il direttore generale Miguel Zugaza, responsabile – insieme al suo ottimo team di manager e di studiosi dell’arte – della riuscita impresa di traghettare nel XXI secolo uno dei più importanti musei del mondo. Mentre in Italia si discute sulla scelta più o meno opportuna di nominare direttori stranieri, in Spagna il passaggio di consegne al Prado è avvenuto in maniera del tutto consensuale e senza polemiche.
Falomir ha lavorato per anni nel museo al fianco di Finaldi e Zugaza, punta di diamante di uno stuolo di ricercatori, storici dell’arte e restauratori di grande autorevolezza scientifica. Tra le sfide del nuovo direttore ci sono le celebrazioni per il 500esimo anniversario della morte di Bosch (il pittore fiammingo morto nel 1516 e del quale la pinacoteca di Madrid possiede la raccolta più ampia di opere) e il bicentenario della nascita del Museo del Prado, nel 2019.
Da un italiano a uno specialista d’arte italiana. Non sembra cambiata di molto, almeno nelle linee guida e nella scelte programmatiche, la direzione del più importante museo di Spagna. Cosa significa aver fatto parte per diciassette anni dell’équipe scientifica del Prado e trovarsi improvvisamente a dirigerlo?
Nonostante effettivamente siano diciotto anni che lavoro al Museo del Prado, le mie responsabilità in passato, come conservatore della pittura italiana del Rinascimento, erano molto diverse. Il cambio è di prospettiva. A partire da adesso, il successo della mia gestione si misurerà meno per ciò che faccio e più che per quello che faranno i miei colleghi, il che mi obbliga a pensare al museo nella sua totalità, non limitandomi a una delle sue sezioni/aree.
In Italia c`è stata polemica per la recente nomina dei nuovi direttori di musei. Su venti istituzioni pubbliche, sette oggi sono dirette da stranieri, come gli Uffizi, Capodimonte e Brera. Figure di alto profilo culturale, con carriere in ambito internazionale, età media sotto i cinquant’anni. Nel suo caso, invece, si è preferita una nomina interna, la scelta di un dirigente “cresciuto” tra le gallerie del Prado. Cosa ne pensa?
Probabilmente le condizioni di partenza sono diverse. Il Museo del Prado ha sperimentato un profondo rinnovamento negli ultimi quindici anni e credo che esista un certo consenso circa il successo del cambiamento. Sembrava perciò logico seguire in tale direzione e contare perciò con qualcuno che avesse esperienza nell’istituzione. In ogni caso, tra il 2008 e il 2010 ebbi la fortuna di ricoprire la carica di Andrew Mellow Professor in Casva, presso la National Gallery of Art di Washington, il che mi permise di conoscere di persona il funzionamento di un grande museo straniero.
Quali sono gli obiettivi scientifici ed espositivi che si prefigge di raggiungere in vista del 2019, anno del bicentenario del Prado?
Il bicentenario deve offrirci l’opportunità di riflettere su noi stessi. Che cosa è stato, che cos’è oggi e che cosa vogliamo che sia il Museo del Prado in futuro? Qual è la sua relazione con la società spagnola e qual è il suo ruolo nel contesto museale internazionale. Stiamo comunque ancora progettando le attività, ma queste sono le idee intorno alle quali ruotano.
Quale sezione del museo andrebbe potenziata oggi?
Credo che valga la pena ricordare che, nonostante il Museo del Prado sia conosciuto e riconosciuto per la sua straordinaria pinacoteca, possiede altre collezioni eccezionali, come quelle di scultura o di arti decorative. Queste ultime saranno oggetto di un’attenzione prioritaria in un futuro immediato, con un nuovo e spettacolare allestimento del “Tesoro del Delfín”.
Ci sono altri Cataloghi Generali da realizzare, oltre a quello bellissimo dedicato alla pittura del XIX secolo appena pubblicato?
Da alcuni anni il Museo del Prado pubblica cataloghi ragionati delle sue collezioni. Sono già apparsi quello della scultura e quello del Greco e della pittura olandese. Prossimamente verranno editate pubblicazioni dedicate a Luca Giordano, Velázquez, Goya, Teniers e Tiziano.
Il Prado – come molti altri grandi musei – vive e lavora anche grazie al sostegno di grandi imprese, banche e fondazioni private. Di recente è stato rinnovato l’accordo con la Fundación BBVA per la realizzazione di una mostra dedicata a Bosch nella primavera prossima. Senza gli sponsor oggi non è più possibile fare e promuovere cultura ad alto livello?
Il Museo del Prado è pubblico e come tale una parte del suo bilancio proviene dai fondi generali dello Stato, però allo stesso tempo possiede un quadro legale che gli permette di cercare altre fonti di finanziamento, tra le quali il patrocinio privato o corporativo è essenziale.
Recentemente ha dichiarato che la pittura barocca italiana è il tesoro nascosto del Prado. Cosa e quanto c’è ancora da scoprire nelle collezioni reali spagnole ?
In occasione della presentazione della Cattedra del Prado, titolare della quale quest’anno sarà Elisabeth Cropper e che sarà incentrata sulla pittura bolognese del XVII secolo, ho segnalato l’importanza eccezionale della collezione di pittura italiana del Barocco del Prado, forse la migliore fuori d’Italia, e ho espresso il mio disappunto per il fatto che sia stata sempre maltrattata nelle varie riorganizzazioni del Museo, impedendo al pubblico e agli specialisti di conoscerla come merita. Stiamo lavorando perché non sia più così nel futuro.
Quanti capolavori – come il ritratto di Lisa Gherardeschi finalmente attribuito all’atelier di Leonardo – si nascondono ancora, tutti da studiare, negli straordinari magazzini del museo?
Esiste un mito sui “tesori nascosti del Prado” che non corrisponde alla realtà. I nostri magazzini non nascondono capolavori sconosciuti, ma solo un paio di centinaia di dipinti di grande qualità che dovrebbero essere appesi nelle sale e che, siamo fiduciosi, troveranno degna collocazione quando si inaugurerà la prossima fase di ampliamento del museo, che occuperà l’antico Museo dell’esercito, in concomitanza con il bicentenario.
In questo momento il Prado ospita una piccola ma raffinata mostra sui ritratti del Novecento di Federico de Madrazo e un bellissimo viaggio nella pittura del Divino Morales, maestro del Rinascimento spagnolo, poco noto però al grande pubblico internazionale che affolla il museo. L’idea è quella di potenziare la conoscenza dell’arte made in Spain?
Il Museo del Prado nacque nel 1819 con l’intenzione manifesta di celebrare l’arte spagnola e potenziare la sua conoscenza e, durante molto tempo, questo fu il suo unico compito. Il nostro interesse per l’arte spagnola si mantiene intatto; però il Prado rappresenta molto più della pittura spagnola, se si pensa che possiede le raccolte più grandi al mondo di opere di autori fondamentali per lo sviluppo dell’arte occidentale come Bosch, Tiziano o Rubens, solo per citare tre esempi. Il nostro impegno è nei confronti della storia della pittura in generale, non solo spagnola.
Che cosa stabilisce la Legge del ’95? E che cos`è lo Statuto speciale del Prado?
La Legge del 1995 stabilì la divisione delle collezioni tra il Museo del Prado e il Reina Sofía, che fu fissata nell’anno di nascita di Picasso, il 1881. Gli artisti nati prima di tale data restano nell’ambito del Prado, quelli posteriori per nascita vengono ospitati nelle sale del Reina Sofiía. Questa è la ragione per la quale Guernica è visibile oggi al Reina Sofía. Rispetto allo Statuto, nel 2003 e 2004 il Museo del Prado acquisì una nuova natura giuridica che è stata fondamentale per la sua evoluzione posteriore.
La Legge del 2003 e lo Statuto del 2004 concedono alla pinacoteca maggiore autonomia e libertà d’azione, includendo la capacità di trovare proventi diversi dai finanziamenti del governo. In soli dieci anni, e nonostante la crisi, il Museo del Prado ha raggiunto un 65% di autofinanziamento.
In occasione della sua nomina ha spiegato che “il Prado, a differenza del Louvre, non è stato fatto con la ragione, ma con il cuore. Ossia seguendo il gusto e la passione collezionista dei monarchi che si sono succeduti sul trono di Spagna”. Qual è il fattore passionale, emotivo che la caratterizza? Quali sono i gusti estetici e le preferenze di Miguel Falomir verso l’arte che lo circonda, nel suo privilegiatissimo e meraviglioso luogo di lavoro?
Sottolineando che il Prado è stato fatto con il cuore e non con la ragione, volevo solo dire che l’origine e la colonna vertebrale del museo continua ad essere l’antica collezione reale e che è formata, sostanzialmente, da opere dei secoli XVI e XVII. I monarchi di allora non erano animati dallo spirito didattico ed enciclopedico che caratterizza la maggior parte dei musei europei e americani dal secolo XIX in avanti, e la loro preoccupazione principale era riunire quante più opere possibili dei loro autori favoriti. Ciò spiega sia il punto di forza sia la debolezza delle collezioni del Prado e giustifica la definizione che ne diede un erudito francese nel segnalare che era un museo di pittori, non di pittura.
I miei gusti sono molto vari. Mi piace in generale la buona pittura, non importa da chi o quando fu fatta, anche se ammetto di avere una predilezione per la pittura veneziana del XVI secolo e della fiamminga e olandese del XVII.
Federica Lonati
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