Il mondo moderno è il mondo dei simulacri
Gilles Deleuze
UNA STORIA FAMILIARE
Affratellati tanto per nascita quanto per totale immersione nella sfaccettata temperie culturale del primo e secondo Novecento (Post-Impressionismo, Cubismo, Dadaismo, Surrealismo, Ritorno all’ordine, teorie psicanalitiche e post-strutturaliste), Pierre (Parigi, 1905-2001) e Balthazar (Balthus) Klossowski de Rola (Parigi, 1908 – Rossinière, 2001), discendenti da una nobile famiglia di origini polacco-prussiane, ebbero a Parigi il loro epicentro culturale. André Gide fu loro guida. Pierre a diciotto anni divenne suo segretario e poi curatore de I Falsari. Jean Cocteau, amico dei Klossowski, a loro si ispirò a fine Anni Venti per la stesura del romanzo Les Enfants Terribles. Balthus nelle sue Memorie ne avrebbe preso però le distanze: “Era un pittore troppo sistematico, troppo artefatto… La facilità ha ucciso la sua pittura”.
Nella Ville Lumière intrecciarono in seguito le amicizie più significative: con scrittori come Antoine de Saint-Exupery, André Breton, Antonin Artaud, Pierre-Jean Jouve, Maurice Blanchot, Albert Camus; con artisti come Maurice Denis, Pierre Bonnard, Henri Matisse, Pablo Picasso, André Derain, André Masson, Salvador Dalí, Joan Miró, Alberto Giacometti. Ma nella prima fase della loro esistenza, quando nel 1914 lasciarono Parigi per gli eventi bellici, fu la colta Mitteleuropa ad accoglierli e a offrire terreno in cui affondare radici: prima e dopo la separazione dei genitori risiedettero infatti a Berlino (fino al ’24), Berna e Ginevra, per ritornare poi nella capitale francese.
I coniugi Klossowski appartenevano a quella razza di intellettuali inquieti che nella prima metà del Novecento migrarono qua e là per l’Europa non solo a causa di guerre e dissesti finanziari, ma anche a seconda dei richiami esercitati dalle frequentazioni illustri e dalle consentaneità culturali con luoghi e persone.
Erich Klossowski, il padre, fu storico dell’arte e pittore (scrisse una monografia su Daumier). Elisabeth Dorothea Spiro (meglio nota come Baladine Klossowska), la madre, fu pittrice, animatrice di vivaci circoli letterari nonché compagna per alcuni anni dello scrittore e poeta Rainer Maria Rilke.
Quest’ultimo divenne anche precettore sia di Pierre che di Balthus, sospingendo i loro passi nel mondo letterario e artistico verso l’“Aperto”, secondo un’espressione usata da Rilke stesso. Pierre, scrittore e artista provocatore, ai margini della cultura accademica. Balthus pittore di ascendenze classiche, ma intinto di surrealtà.
DUE FRATELLI E UN RAPPORTO COMPLESSO
La mostra Balthus, a cura di Cécile Debray, allestita alle Scuderie del Quirinale e a Villa Medici a Roma, e destinata a essere trasferita al Kunstforum di Vienna, è incentrata sull’opera più che famosa di Balthus stesso. Ma pone anche l’accento sul rapporto che lo legò al fratello meno noto, lo scandaloso scrittore che per alcuni anni della sua vita decise di abbandonare la letteratura per dedicarsi alle arti figurative. Curiosamente, data la sua tardiva conversione al disegno pittorico, negli Anni Cinquanta, Pierre fu considerato un “contemporaneo”, contrariamente a quanto avvenne al fratello, cui è stata invece attribuita l’appartenenza all’“arte moderna”.
Pierre, studioso di Nietzsche e del Marchese De Sade, amico di Georges Bataille (filosofo e scrittore, cultore dell’erotismo e teorizzatore dell’“abietto”), fu intimamente legato anche al mondo della classicità (tradusse in francese l’Eneide di Virgilio e le Vite dei dodici Cesari di Svetonio), e molte sono le citazioni di autori dell’antichità (il leggendario Ermete Trismegisto, Tertulliano o Apuleio) nei testi in cui chiarisce il complesso ruolo che il disegno pittorico svolse nella sua sfera creativa, giungendo a sostituirsi per alcuni anni (dal ’72) alla scrittura.
Aldo Marroni, che ha scandagliato in profondità l’opera di Pierre Klossowski, ha sottolineato nell’introduzione a Simulacra. Il processo imitativo nell’arte di Pierre Klossowski: “Ogni volta che ci accingiamo a rileggere i suoi libri magistrali, ad osservare i suoi tableaux tanto ammalianti quanto deprecabili sotto il profilo della morale comune […] abbiamo continuamente l’impressione di avere a che fare con un messaggio segreto”. Balthus, in proposito, annotava nelle sue Memorie: “La pittura fu immediatamente per me il mezzo, lo strumento, la via obbligata per tentare di portare alla luce l’ineffabile. Anche mio fratello Pierre conosce la strana alchimia alla quale la pittura permette talvolta di accedere, lui che cominciò a cercare di spiegarla a parole, decise infine di abbandonarle, un po’ alla maniera di Rimbaud, per scegliere l’esperienza del disegno e della pittura e dedicarvisi totalmente”. Ma qualche pagina dopo prendeva ambiguamente le distanze dal fratello: “Abbiamo uno strano rapporto… È una cosa molto misteriosa, che non sono in grado davvero di analizzare, tanto i fili sono oscuri e sottili. Pierre è stato ispirato dalla religione cattolica, al punto di essere entrato nell’ordine domenicano per poi allontanarsene. La sua opera pittorica e letteraria riveste, a mio avviso, grande importanza nella seconda metà del XX secolo. Ciò nondimeno non sono del tutto permeabile a ciò che scrive, disegna o dipinge. Forse perché la sua opera è trasgressiva, non abbastanza luminosa, e perché le ve che ho scelto io sono più aperte ai doni di Dio? L’opera di Klossowski è un diamante nero, io cerco di dipingere invece sfolgorii di stelle, fremiti di ali, carni di adolescenti sfiorate dagli angeli”.
UNA POETICA ERMETICA
Dunque Pierre Klossowski, intellettuale enigmatico, ammiratore di Füssli come di Ingres, costruttore di simulacri, grande “mediatore”, incarnazione di un “demone” contemporaneo, intendeva tradurre nel quadro le immagini che la scrittura aveva evocato come visione, facendone un simulacro di un altro simulacro (“Il termine di simulacro nel senso imitativo è l’attualizzazione di qualcosa di incomunicabile in sé e di rappresentabile: precisamente il fantasma della sua costrizione ossessiva”, scrive lo stesso Klossowski in Dal simulacro imitativo allo stereotipo).
A proposito dei suoi “barocchi” tableaux vivants, pitture murali spesso di due metri d’altezza, popolate da figure a misura naturale, sorta di “grandi macchine” sceniche atte a fagocitare lo spettatore, spiegava nell’intervista rilasciata a Rémy Zaugg nel 1981, in occasione della mostra Simulacra alla Kunsthalle di Berna: “Il mio proposito resta sempre quello di sollecitare le reazioni del contemplatore […] Il contemplatore deve ritrovarsi faccia faccia con quella parte di sé che può riconoscere solo se si trova esteriormente a se stesso”. Poi ancora: “Mi lasci citarle Ermete Trismegisto: ‘Nell’impossibilità di creare un’anima per animare i simulacri degli dei, si invocano le anime dei démoni e degli angeli per racchiuderli nelle immagini sacre, col proposito che, grazie a queste anime, gli idoli acquistino il potere di fare il bene e il male’. Formulata duemila anni fa da Ermete Trismegisto, questa spiegazione dei simulacri innalzati per agire moralmente sul contemplatore non ha mai smesso di tornarmi in mente”. Infine, nuovamente le sue parole: “Così lavorare a un quadro, qualunque ne sia il ‘motivo’, significa contraffare il suo modello invisibile – l’analogo demonico della sua emozione – e dunque sedurlo con la ‘rassomiglianza’ del suo simulacro e circoscriverlo attraverso una figura il cui aspetto rassomigliante dovrebbe agire sul contemplatore allo stesso titolo che il suo modello agisce sull’artista”.
LA PRODUZIONE VISIVA E IL TRIBUTO AI MAESTRI
La rappresentazione che “presiede” alle opere letterarie domina dunque i trasgressivi tableaux vivants che, in una dimensione sospesa fra demonismo e moralismo, Klossowski iniziò a disegnare nel 1953 su tela o su carta, prima a grafite, poi, dal 1972, a pastelli colorati, preziosamente cesellati a molteplici tratti, lievi e sinuosi.
La produzione di Pierre si presenta vasta: a partire dai sei disegni a grafite (mines de plomb) eseguiti in relazione al suo primo romanzo, Roberte ce soir (1953), in cui appare raffigurata la moglie Denise – “un po’ come Gala per Dalí”, egli stesso affermò nella già citata intervista –, a La belle Versaillaise, ispirato nei toni argentei alle icone al cinema muto. Dal paradigmatico Diane et Actéon, fino ai diciassette disegni (e quattro studi) databili tra fine Anni Sessanta e fine anni Ottanta, che costituirono la trasposizione figurativa di una delle sue più celebri opere letterarie, Le Baphomet (1965).
Quest’ultima, ambientata nel Medioevo (come luogo dell’Inconscio), fra paggi, divinità oscure e templari, è intrisa di sacralità, erotismo e perversione in omaggio al pensiero di De Sade e Foucault. A latere furono da lui messe a punto illustrazioni per accompagnare i testi narrativi degli amici scrittori e mentori, nonché i loro stessi ritratti, alcuni dei quali sono ora presentati a Roma in mostra. Fra questi, il Ritratto di André Gide e il Ritratto di Georges Bataille, datati entrambi al 1955: un tributo programmatico ai maestri.
Alessandra Quattordio
Roma // fino al 31 gennaio 2016
Balthus. La retrospettiva
a cura di Cécile Debray
Catalogo Electa
SCUDERIE DEL QUIRINALE
Via XXIV Maggio 16
06 39967500
www.scuderiequirinale.it
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http://www.artribune.com/dettaglio/evento/48725/balthus-la-retrospettiva/
Roma // fino al 31 gennaio 2016
Balthus. L’atelier
a cura di Cécile Debray
Catalogo Electa
ACCADEMIA DI FRANCIA A ROMA – VILLA MEDICI
Viale Trinità dei Monti 1
06 67611
www.villamedici.it
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http://www.artribune.com/dettaglio/evento/48726/balthus-latelier/
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