Gentile direttore,
Le scrivo a proposito del mio incarico nel Consiglio di Amministrazione de La Quadriennale di Roma e delle mie dimissioni inviate il 13 ottobre u.s.
La Regione Lazio è stata la prima istituzione a nominare il suo rappresentante nella Fondazione. Abbiamo dovuto aspettare oltre un anno per vedere nominati i rappresentanti del Comune di Roma e del MiBACT e quindi avere la ratifica dei nostri incarichi per essere operativi. Ho pensato che le mie competenze ed esperienze in ambito curatoriale sarebbero state un contributo alla realizzazione della prossima edizione della Quadriennale. Nel maggio scorso, con la ratifica da parte del Ministero delle nostre nomine e contemporaneamente con la nomina del nuovo Presidente, il CDA ha finalmente cominciato a convocare le sue riunioni.
Abbiamo dato tutti la nostra disponibilità, anche fuori dall’aspetto formale, per tentare di realizzare nel minor tempo possibile la prossima edizione della mostra, avendo l’Istituzione già saltato l’edizione del 2012, per mancanza di fondi. Da statuto, il CDA ha compiti non solo gestionali ma di vera e propria programmazione culturale: nelle passate edizioni sono stati selezionati dei curatori di provata esperienza ai quali veniva dato l’incarico di preparare la mostra, individuando un tema, selezionando gli artisti e dando così un senso compiuto alla missione principale dell’Istituzione, che è quella di far luce ogni quattro anni sulle eccellenze artistiche che vanno presentandosi nel nostro paese.
Ma forse quello che andava discusso con urgenza era lo stato dell’arte. Le differenze rispetto alle passate edizioni e come sono andate modificandosi le relazioni, i ruoli e le figure che gravitano intorno a questo mondo. La mancanza di un sistema dell’arte ha favorito, in un contesto complicato, diversi processi di comunicazione e distribuito i ruoli in maniera meno statica. Abbiamo assistito negli ultimi anni a significativi fenomeni di promozione autonoma da parte degli artisti e gruppi di curatori che hanno dato vita a esperienze di condivisione fuori da contesti conosciuti. Luoghi non deputati sono divenuti riferimenti per la riflessione sull’arte. Non era forse nelle capacità del CDA assolvere e dare risposte a tutti questi quesiti, ma forse era possibile favorire un dibattito, interpretare certe domande che dal mondo dell’arte arrivano con sempre maggiore insistenza.
La mia esperienza personale purtroppo ha constatato altro da tutto questo. Le discussioni del CDA hanno riguardato unicamente la ratifica di decisioni prese altrove. Il CDA è sempre stato messo di fronte a fatti compiuti, sui quali veniva chiesto un parere, quasi mai vincolante.
Le modalità sulla convocazione dei curatori, la selezione dei curricula, la commissione che deciderà i progetti sono compiti estromessi dagli incarichi del CDA e affidati dal presidente alla struttura interna della Quadriennale.
Due parole sulla questione della mancata copertura (poi rientrata) dei trasporti e assicurazioni delle opere. Per quanto mi riguarda, non si tratta di un mero errore di valutazione nella distribuzione delle voci di spesa. Credo che in questa mancanza si evidenzi il peso che l’arte e gli artisti hanno finito per assumere in questo Paese. Se non si rimettono al centro gli artisti, è inutile anche sollecitare dibattiti. E non è questione di buonismo, restituire centralità a chi fa arte presuppone la considerazione di tutto quanto viene a seguire. Se ne riconosce la filiera di competenze e professionalità. Ma quello che manca credo sia proprio questo: il prendere atto che quello dell’arte contemporanea è un mondo che esiste, che produce professionalità e competenze che lo strutturano. Sembra quasi che il contemporaneo da solo non riesca a raggiungere i suoi obiettivi e abbia costantemente bisogno di competenze altre che ne contornino l’identità. Il rapporto con le diverse forme di cultura è ovviamente un grande valore, ma si ottiene riconoscendo i confini di ciascuno. In questo esiste la possibilità di creare comunicazione e commistione di linguaggi.
Al momento delle mie dimissioni la decisione presa era quella di definire la commissione che valuterà i progetti con una maggioranza schiacciante di personalità di prestigio del mondo della cultura, ma non competenti in materia d’arte. Oggi prendo atto che la decisione è stata cambiata e nella commissione sono presenti esponenti del mondo del contemporaneo. Ma personalmente, pur apprezzando i cambiamenti, noto che la sostanza non muta. Continuo a percepire la mancanza di considerazione delle capacità strutturali di questo ambito. Dove chiunque, dotato di un buon curriculum in ambito culturale, può dirsi competente sul contemporaneo. Un grande regista, un famoso scrittore, un eccellente compositore non sono necessariamente degli esperti d’arte. A nessuno verrebbe in mente, in sede di commissione d’esami per un concorso al conservatorio o un premio letterario, di affidare la maggioranza della giuria a dei curatori d’arte contemporanea. Lo stesso dovrebbe valere per il mondo dell’arte. Soprattutto considerando la difficoltà di interpretare linguaggi e prospettive di nuove generazioni di artisti, per le quali è richiesta una competenza specifica.
Purtroppo ho visto perseguire una modalità tutta italiana di non riconoscere al contemporaneo una sua dignità specifica, con la conseguente mancanza di considerazione per le necessarie competenze nella sua valutazione. Al CDA sono stati chiesti pareri, punti di vista. Per le decisioni, gli indirizzi e le valutazioni non c’è stato mai tempo.
La scelta delle mie dimissioni è del tutto personale ma devo tener conto anche del fatto che ero nel CDA come rappresentante della Regione Lazio. Negli ultimi anni questa istituzione ha cominciato ad affrontare in maniera consapevole la conoscenza di quanto in materia di contemporaneo esiste nel territorio. Nei progetti affrontati si è distinta anche per un atteggiamento di tutela nei confronti degli artisti. Le iniziative che abbiamo creato e promosso hanno sempre avuto al centro il loro lavoro. A differenza di come avviene in altri ambiti, dove l’arte contemporanea viene utilizzata unicamente come spot elettorale. Nei progetti realizzati (penso alle installazioni di qualche anno fa a Palazzo Valentini di Paolo Canevari, Marina Paris, Maurizio Savini e Donatella Spaziani, ai cicli di mostre di Palazzo Incontro, alla recente grande installazione di Bruna Esposito sul ponte di Civita di Bagnoregio e quelle di Simone Cametti e Alessandro Piangiamore a Cassino), anche in presenza di fondi esigui, si è sempre garantito il minimo agli artisti. Contribuendo alla produzione delle opere e sempre coprendo i costi vivi, come trasporti e assicurazioni. Sono piccoli passi, certo, ma che possono contribuire a cambiare la percezione del rapporto tra arte, politica e istituzioni. Sicuramente c’è moltissimo ancora da fare, ma credo che i piccoli cambiamenti siano l’impronta su cui si costruiscono percorsi più solidi. E, ripeto, non si tratta di essere naïf, se gli artisti esistono esistiamo tutti.
Personalmente ho accettato con grande entusiasmo l’incarico assegnatomi ma, per la piega che le cose hanno preso nel CDA, non era delle mie competenze che si sentiva il bisogno. Sono convinto che l’unica cosa che ci fa restare a galla è la nostra identità, la consapevolezza di spendersi per progetti che hanno un senso. Se è vero che con il contemporaneo non si mangia, sicuramente si impara a respirare. Ed è solo facendolo a pieni polmoni che si può difendere il proprio lavoro. Non si possono mettere in discussione professionalità e trasparenza per progetti e modalità che non si condividono. Non servono esperienze e anni di lavoro per dare pareri su decisioni già ratificate altrove.
Ciò di cui si sente il bisogno è di istituzioni che tutelino il lavoro degli artisti, che rappresentano un valore per questo Paese, e di personalità che per questo obiettivo ci mettono la faccia e tutto il loro sapere.
Claudio Libero Pisano
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