L’arte nella tv del futuro
Questi sono gli anni dei format. Sono loro a dettar legge, nella buona come nella cattiva sorte. E anche l’arte, se vuole andare in televisione, è costretta a farci i conti. Gli esiti? Altalenanti. Ma quando il dialogo si innesca, vengono fuori prodotti memorabili. Ve li raccontiamo.
COME SI PARLA DI ARTE IN TV
Oggi la televisione è comandata dai format prima ancora che dalle idee originali. La sua intera industria creativa esiste grazie a un mercato che si basa su programmi che vengono appositamente ideati per risultare esportabili in tutto il mondo. I format di maggior successo hanno la forza di conquistare il pubblico in ogni nazione in cui vengono adattati e trasmessi, imponendosi quindi come un trend internazionale che orienta il gusto generale e genera a cascata tanti nuovi programmi simili all’originale. Studiare lo scenario dei format significa capire come si orienterà un certo filone creativo nei prossimi anni e che tipo di contenuti il pubblico sta dimostrando di preferire in misura sempre maggiore. I programmi di arte non sembrano essere immuni a queste dinamiche: anche loro seguono i trend, cambiano pelle e si adattano ai generi televisivi di maggior tendenza.
Sui paradigmi usati per parlare di arte in tv si è già scritto molto in due libri imprescindibili quando si studiano questi argomenti: Arte e televisione di Marco Senaldi (Postmedia, Milano 2009) e Arte in TV, a cura di Aldo Grasso e Vincenzo Trione (Johan & Levi, Monza 2014). Ancora molto poco, invece, si è scritto a proposito del nascente panorama dei format televisivi che si stanno interessando di arti visive.
L’ERA DEI FACTUAL
Il filone più forte degli ultimi tempi è sicuramente quello dei factual, ovvero di quei programmi quasi sempre senza uno studio televisivo, talvolta senza conduttore ma con una voce narrante, in cui viene raccontata una storia che percepiamo “vera” o comunque legata alla vita reale. L’approccio all’osservazione è quello del documentario mescolato con il linguaggio tipico del reality show.
Muro, una delle ultime produzioni originali di Sky Arte, è ad esempio un factual che potremmo definire artistico-sociale, perché racconta il lavoro di otto street artist in altrettante città italiane seguendone tutti i processi, dal primo schizzo alla firma finale, con l’occhio sempre attento al contesto e alle reazioni della cittadinanza.
In queste settimane negli Stati Uniti, Paese con un gusto tradizionalmente molto aggressivo in materia di format, è stato lanciato un nuovo factual con un approccio per certi versi opposto a quello di Muro. Si tratta di Art Breakers e racconta il lavoro quotidiano di due spregiudicate mercanti d’arte americane. In ogni episodio vediamo le due professioniste alle prese con una nuova bizzarra richiesta dei loro facoltosissimi clienti. In questo programma, le considerazioni rilevanti sono due. La prima è che l’arte viene raccontata – raro caso televisivo – come un prodotto commerciale, che ha quindi un mercato e laute commissioni. La seconda è che il contenitore è molto più importante del contenuto. Nella trama di ogni puntata ci sono l’assegnazione della missione all’inizio, l’imprevisto a un certo punto e la suspense finale. Non importa che si stia parlando di opere d’arte. La logica drammaturgica è la stessa che avremmo trovato se ci avessero raccontato di chef che salvano ristoranti con cucine da incubo, meccanici che modificano automobili malandate o wedding planner che organizzano cerimonie perfette. Questo è quello che succede quando nel mondo della tv c’è un certo trend creativo predominante, a cui tutti tendono a ispirarsi.
The Big Painting Challenge 6. Seascapes di WatchAllChannels
TALENT E QUIZ
Un altro genere sempre molto in tendenza è il talent show. Negli ultimi anni, in tv si sono viste competizioni per ogni categoria dello scibile umano. Comprese le arti visive. Fra gli ultimissimi arrivi, The Big Painting Challenge, andato in onda pochi mesi fa sul primo canale pubblico della BBC, in cui dieci pittori amatoriali, ogni settimana, devono dimostrare il loro talento rappresentando soggetti pittorici sempre differenti, dalla natura morta al paesaggio o al ritratto. La produzione è stata la conseguenza di una convenzione tra la BBC e la prestigiosa Tate Britain, che successivamente infatti ha ospitato all’interno del museo i migliori lavori visti durante la serie televisiva. D’altronde non è proprio la Tate Britain ad ospitare la mostra annuale collegata al Turner Prize che ha la sua premiazione, da tempi non sospetti, su Channel 4? Citiamo un altro talent show perché differente da molte cose viste fino ad oggi. Si chiama Crash Gallery, arriva dal Canada ed è una sfida fra tre artisti che – contemporaneamente, in un tempo dato e con dei paletti da rispettare – devono creare un’opera in tempo reale davanti al pubblico, insindacabile giudice finale nella scelta del vincitore. Sembra di essere davanti a una sorta di esperimento-gioco sulle possibilità creative. È tutto molto pop e i toni della competizione sono ovviamente molto accesi. Il risultato finale è divertente.
Quest’anno sembra infine esserci spazio anche per qualche proposta di quiz show a tema. Anche stavolta vediamo due cose completamente diverse tra loro. Il primo titolo è The Quizeum. È andato in onda su BBC Four e vede una serie di esperti di arte, di storia e di materie scientifiche sfidarsi rispondendo a domande che hanno a che fare con il patrimonio dei musei inglesi più importanti. Il tono è leggero e divertito e la divulgazione viene fatta passare attraverso il linguaggio del gaming. L’altro titolo arriva invece dal Giappone, nazione che storicamente ama alla follia il game show demenziale e che non poteva fare eccezione nemmeno in materia d’arte. Presentato come grande novità nel recente MipCom di Cannes, il mercato internazionale dedicato ai format televisivi, è un nuovissimo quiz show che tradotto potrebbe intitolarsi Arte Moderna contro Rozza Arte Amatoriale, in cui un gruppo di celebrities ha il compito di indovinare quale sia la vera opera d’arte tra due quadri astratti. Uno è stato realizzato da un artista contemporaneo giapponese, l’altro da una povera redattrice del programma, schizzando qua e là un po’ di colore sulla tela. Risate e frasi tipo “questo lo potevo fare anch’io” vengono praticamente garantite dai creatori del format.
COSA SUCCEDE IN RETE
Chiudiamo la panoramica parlando del web, sede naturale della sperimentazione e dei programmi un pelino più di avanguardia. Proprio in queste settimane, sul sito web del canale pubblico canadese CBC troviamo un progetto intitolato The Collective, il quale racconta di collettivi di artisti che realizzano, in totale autonomia produttiva e creativa, video che sono in grado di raccontare il loro lavoro al pubblico degli utenti dei social media del canale. Dalle prime cose che si sono viste, sembra interessante.
In conclusione? Dopo aver visto e analizzato così tanti programmi differenti, continuiamo a pensare che Marshall McLuhan, il teorico della celeberrima frase “il medium è messaggio”, abbia tuttora ragione. Rimane infatti la sensazione che l’arte rischi sempre di cambiare troppo i suoi connotati per adattarsi alle logiche del racconto televisivo. Sembra aprioristicamente condannata a diventare un’altra cosa. Un contenuto freddo, nozionistico, spesso destinato a rimanere incomprensibile ai più. Per fortuna che ogni tanto ci sono delle belle eccezioni. E pare che accadano sempre nel momento in cui il mondo dell’arte e quello della tv smettono finalmente di guardarsi con la solita e reciproca diffidenza.
Alessio Giaquinto
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #28
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