Quando la cultura perde dignità. Con 500 euro
In nome di interessi particolari si sta abusando del termine “cultura”, facendo un uso abominevole di ciò che essa rappresenta, trasformandola sotto mentite spoglie di messaggio politico in un diversivo politicante. È obbligo di ogni cittadino tutelare la cultura, e indicare come pretestuoso ogni uso improprio del suo significato. Ed è quel che sta succedendo adesso.
Talvolta il termine “cultura” serve a distogliere l’attenzione pubblica da questioni che Parlamento e Governo non vorrebbero affrontare. I 500 euro di Renzi ai giovani hanno svolto proprio questo ruolo: dirottare il discorso sull’incremento della spesa pubblica in materiali bellici alla rilevanza che questa “donazione” può avere per migliorare un mercato nobile.
Prima di entrare nel merito economico di questa questione, è però da sottolineare come questo uso del termine lo privi di ogni dignità, riportando al medioevo il rapporto tra cultura e potere in una sola dichiarazione.
Se si toglie dignità alla cultura, si toglie dignità a tutto ciò che quel popolo rappresenta o produce. Perché la cultura rappresenta il nucleo più intimo della dignità umana. Il benessere economico è un elemento essenziale nella vita degli individui, ma povertà non vuol dire sempre degrado, così come ricchezza non vuol dire necessariamente prosperità culturale. La riflessione, l’esercizio dell’intelletto, la comprensione del proprio tempo e ogni altro tipo di manifestazione del consumo culturale portano a una dignità che nessuna crisi economica può eliminare.
Una delle massime espressioni di questo concetto lo ha fornito Eduardo De Filippo nel suo Peppino Girella quando dice: “Tutte le situazioni le abbiamo risolte così, dicendo che erano cosa da niente. Ma a furia di dire che sono cose da niente, noi stessi siamo diventati cose da niente”. Mirabile interpretazione di un concetto che mai come oggi dovrebbe essere urlato agli italiani della cultura.
Perché la cultura dei 500 euro è un’offesa. Punto. È poco più che uno specchietto per le allodole, un alibi dietro il quale nascondere un trend di spesa militare crescente per schivare le proteste che un aumento senza “indorature” avrebbe generato.
Quello che preoccupa è che gli italiani colti, invece, si siano preoccupati semplicemente di argomentare sull’utilità di questi 500 euro, sulla capacità di generare una reale spinta all’economia. Quello che preoccupa è che nessuno abbia visto lo specchio, ma solo il riflesso che proiettava.
Ciò è preoccupante perché si insegna agli italiani che basta trovare il giusto slogan per evitare polemiche, che basta confondere le acque per evitare che chiunque, e il Governo in prima linea, possa prendersi le responsabilità delle proprie scelte.
Lo Stato ha deciso di affrontare una maggiore spesa militare, cavalcando l’onda di paura che hanno scatenato gli eventi di Parigi. In questo non c’è niente di male. Il Governo è chiamato a governare. Quindi può decidere, nell’ambito della vita democratica, di avviare percorsi di questo tipo. Ma è giusto che lo dica, che si assuma le proprie responsabilità davanti alla Nazione, non che nasconda i cocci del vaso sotto il tappeto sperando che nessuno se ne accorga.
I 500 euro non sono un investimento, sono una spesa in comunicazione. Un lavaggio di coscienza. La cultura in tutto questo è una prostituta. La si usa senza averne chiesto il permesso, e la si paga.
Lo stato italiano della cultura ha bisogno di politiche serie, non di mance da bar e beneficenza da prima pagina del giornale. Ha bisogno di più statisti e meno statistici. Ma perché questo accada, c’è bisogno che i cittadini se ne accorgano. Perché se ogni accorgimento mediatico riesce nel proprio intento, nessuno si sognerà mai di cambiare lo stato delle cose.
Stefano Monti
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