Il diritto alla contemporaneità. Parla l’avvocato Massimo Sterpi
Come tutelare i diritti d’autore di un’opera senza ledere i rapporti tra originale e successive rielaborazioni? Quale significato conferire oggi all’originalità di un’opera e come delinearne la proprietà intellettuale? Come regolamentare il rapporto tra artista e collezionista? Risponde uno tra gli avvocati pionieri del Diritto nella contemporaneità.
Massimo Sterpi (1966) è avvocato specializzato nel settore della proprietà industriale e proprietà intellettuale, cofondatore e senior partner dello Studio Legale Jacobacci & Associati, con sedi a Torino, Milano, Roma, Parigi e Madrid. Appassionato collezionista d’arte, è membro dell’advisory board della Peggy Guggenheim Collection di Venezia e del Consiglio per le Relazioni Italia-Usa.
Qual è stato il primo caso sulla regolamentazione dei diritti d’autore ad averla appassionata?
Il primo caso rilevante di cui mi sono occupato è stato tra un famoso scultore e un altrettanto famoso stilista che aveva fatto riprodurre alcune sculture in cartapesta per poi installarle su una passerella di moda, ritenendole un omaggio all’artista. Quest’ultimo non gradì l’iniziativa, ritenendola una violazione dei propri diritti e uno sfruttamento indebito della propria opera, e alla fine io riuscii a far trovare un accordo tra i due.
Quello fu il primo caso importante, tanto per la novità della materia quanto per la notorietà dei due soggetti coinvolti.
E l’ultimo caso?
È stato tra il situazionista Gianfranco Sanguinetti e un artista originario del Malawi, Samson Kambalu, che ha deciso di riprodurre l’intero archivio situazionista, per compiere un’operazione satirica che portava alle estreme conseguenze la stessa filosofia del movimento, riguardante la massima diffusione delle idee e l’assenza di un copyright sul lavoro, al fine di far circolare le idee.
Il giudice ha dato prova di comprendere la complessità dei diversi fenomeni artistici – e anche dei concetti sottesi ai vari movimenti – riconoscendo come, nell’operazione di Kambalu, sussistesse un’espressione satirica ma anche coerente dei principi che la stessa opera, oggetto di satira e di critica, aveva già contribuito a trasmettere.
Quali sono gli estremi per delineare l’originalità di un’opera d’arte?
In passato per originalità si faceva riferimento alla creazione di immagini, testi o contenuti nuovi che si distaccavano profondamente in maniera formale rispetto a quel che li aveva proceduti. Oggi è sempre più legata a concetti e finalità che l’artista estrinseca tramite l’opera o partendo da essa con reti di riferimenti diverse. Risulta sempre meno di rilievo la similitudine formale e sempre più analizzata la valenza concettuale e il contesto all’interno del quale l’opera viene collocata.
Il livello di comunicazione dell’arte si è sempre più affinato a un registro simbolico. Gli artisti più complessi sono quelli che oggi riescono a ricreare trasmissioni di codici molto sofisticate, toccando argomenti in maniera innovativa, pur utilizzando immagini, oggetto o elementi tratti dal passato.
Oggi, con la rapida capacità di riproduzione dell’immagine digitale, come si può tutelare il diritto morale e il diritto d’autore?
Anche i fotografi che tendono a rivalersi su un uso improprio, non autorizzato delle loro immagini, ormai discriminano molto fra usi di tipo privato, come sui social network, sui forum o sui blog di singoli individui, per i quali c’è una tolleranza di fatto – anche se quegli usi sarebbero illeciti – e invece tutti gli usi impropri da parte di siti che hanno come finalità la promozione di un servizio commerciale. Quest’ultimo è un utilizzo che viene fatto compensare, anche se l’importo da versare per questi singoli usi è limitato, rispetto a un costo che ha un’azione in giudizio.
Si tratta di pianificare modelli di business attraverso siti che permettano di scaricare le immagini o i video a fronte di compenso, oppure che contengano al loro interno una serie di codici, cosiddetti smart contract, che generino automaticamente dei pagamenti da parte dell’utilizzatore che si deve registrare e concordare di pagare una cifra stabilita. Per un determinato tempo di utilizzazione.
Quando un collezionista acquista un’opera, come può promuoverla al meglio, attraverso esposizioni e pubblicazioni, senza ledere il diritto d’autore dell’artista?
Per definire un’eventuale cessione dei diritti d’autore è necessaria una licenza che ne regolamenti l’uso della riproduzione dell’opera. Ma sussiste una norma di chiusura degli usi che afferma che qualunque tipo di utilizzo dell’opera con finalità lucrative debba essere regolamentata dall’artista. E già il fatto di esporre un’opera, ad esempio, all’interno di una mostra per la quale si paga il biglietto per entrare, potrebbe essere ritenuto un utilizzo dell’opera d’arte a fine di lucro.
Quindi anche sull’esposizione, per evitare rischi e contestazioni – anche il diritto di prestito spetta all’artista –,sarebbe meglio che si avvertisse l’autore e si ottenesse un’autorizzazione esplicita.
Ogni nuova esposizione, però, non può che giovare all’opera d’arte…
Purtroppo no. Ci sono stati artisti che si sono opposti strenuamente al fatto che il loro lavoro venisse incluso in mostra e nel relativo catalogo. Un esempio eclatante è stato il caso di Kounellis con Scarpette d’oro (1971) e di Bonami, che aveva richiesto l’opera per la mostra Italics. Richiesta non accolta dall’artista, che rifiutò perché secondo lui andava a intaccare i propri diritti morali che prevedono di potersi opporre a qualsiasi atto si ritenga essere un danno per la reputazione dell’artista.
Come si può inquadrare la linea sottile che divide lo sfruttamento di un’immagine artistica dal valore acquisito grazie ai medesimi meccanismi/passaggi di condivisione e divulgazione?
Sono due lati della stessa medaglia. Più l’immagine circola, più acquisisce notorietà e questo potrebbe, ma non necessariamente, giovare all’artista. Dall’altra parte, nel momento in cui tutti questi sfruttamenti apportano, a loro volta, vantaggi economici a chi li utilizza, questi andrebbero regolamentati dal diritto d’autore.
Quindi, in primo luogo, bisognerebbe creare una cultura che riconosca all’uso dell’immagine altrui un prezzo, oppure che semplifichi la richiesta di autorizzazione nel momento della riproduzione.
A proposito, invece, di fragilità materiale dell’opera d’arte: come può un collezionista tutelarsi e quindi tutelare l’integrità del lavoro rispettando la natura effimera di un concetto, di un progetto, di un’opera?
Nel momento in cui si compra un’opera che si presagisce possa essere soggetta a deperimenti, a causa dei materiali effimeri o fragili della quale è composta, si accetta il rischio che questo possa accedere. Ogni opera ha una sua essenza. Alcune opere si presentano come registri materici che tracciano l’evoluzione del tempo su di esse. Addirittura si può prevedere che l’opera duri un certo lasso di tempo e questo non è intrinsecamente in contrasto con il fatto che quell’oggetto sia un’opera d’arte.
L’idea che un’opera duri in eterno è solo un concetto. Ci sono artisti che lavorano nel creare situazioni, come Tino Sehgal, le cui performance nei musei non lasciano alcuna traccia fisica, se non nelle persone che vi hanno partecipato. Ma questo è solo uno dei tanti versanti, dei crinali dell’arte contemporanea, che la rendono sempre più intrigante e complessa: non si può più credere che acquisire un’opera sia come acquisire un oggetto. Ogni espressione artistica è in nuce una forma di pensiero speciale che va trattata in maniera altrettanto speciale.
Ginevra Bria
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