Appello a Dario Nardella. Lasciamo Jeff Koons in piazza della Signoria
È alta tre metri, pesa due tonnellate: perché sbattersi a spostarla? Basterebbe un po' di sana pigrizia italiana, un po' di sano spirito del provvisorio (nulla è più definitivo del temporaneo, in questo Paese) per fare quel che bisognerebbe fare: lasciare il “Pluto e Proserpina” di Jeff Koons là dov'è, in piazza della Signoria, per sempre.
Pluto e Proserpina, la scultura in acciaio inox dorato su plinto in marmo bianco di Carrara è al suo posto da settembre e quello, a onor del vero, appare davvero come il suo posto. Non stona più, non dà fastidio più a nessuno, non stride più. E questo è un male, intendiamoci, non un pregio. Ma pur avendo perso la sua vis provocatoria, conserva a pieno il suo portato simbolico. Un portato che va conservato e mantenuto in maniera stabile. Un portato che chiama in causa il sindaco Dario Nardella, che nel suo tentativo, encomiabile, di dare una qual certa svecchiatina alla città di Firenze, ha gettato più di un sasso e ora non può assolutamente nascondere la mano.
Fatto trenta, si faccia finalmente trentuno e si lasci quella scultura di Jeff Koons lì in modalità fissa, si faccia capire a chi ci osserva da fuori (turismo) che le cose possono cambiare, che c’è vita oltre il set rinascimentale, che Michelangelo, Donatello e Cellini sono protagonisti assoluti ma proprio per questo non hanno bisogno di protezione alcuna né di tutela, ma che possono essere messi in discussione, possono essere contaminati, provocati, sollecitati come si può fare solo con i grandissimi.
Si faccia capire a chi ci osserva da dentro (il pensiero va – ed è solo un esempio – ai milioni di studenti in gita scolastica che ogni anno percorrono la città dai quattro angoli d’Italia) che quando c’è di mezzo l’arte non si può star tranquilli mai, non c’è da star sicuri mai, che le cose possono cambiare sempre e questo è stimolo, sprone, sveglia per l’intelletto. Si insegni a chi transita in uno dei luoghi più emblematici per l’arte planetaria che l’oggi (e magari il domani) hanno un valore pari, e non inferiore, a ieri.
Tutto questo con un solo gesto. Non ci mettiamo a promuovere raccolte di firme e petizioni online, ci limitiamo a stuzzicare, ché alle volte basta e avanza. Ci limitiamo a far notare che operazioni coraggiose possono prendere abbrivio dal proprio stesso coraggio e trasformarsi da statement temporanei a proposizioni stabili, fisse.
Jeff Koons è uno dei più classici tra gli artisti del secondo dopoguerra. Non si propone dunque chissà quale provocazione. La sua idea per piazza della Signoria poi, lungi dall’essere un’aspirapolvere o una statua di Ilona Staller, parla di classicità in maniera più che classica. La sua presenza ci serve tuttavia per capire che concetti come sviluppo ed evoluzione non sono estranei all’arte e, soprattutto, al nostro Paese, ai suoi centri storici, alle sue città d’arte, al suo presentarsi al turismo globale.
Quella statua non ci deve piacere, non importa. Anzi, è molto più utile che non ci piaccia fino al punto di parlare di “orrore” e di “obbrobrio” come hanno fatto molti giornali. Quell’orrore serve a dire di noi che non siamo in coma, che non siamo imbalsamati, che non siamo forse già morti, che possiamo polemizzare su un’opera d’arte, che possiamo schierarci (contro? Meglio!), che possiamo bisticciare su una scultura. E serve a indicare una strada plausibile per quella che può essere tutta l’arte pubblica italiana, necessaria come l’ossigeno, indispensabile tanto quanto un’ottima architettura per rieducare lo sguardo di una popolazione che vive nella paura del cambiamento e che difende strenuamente e autolesionisticamente la propria estinzione culturale.
“L’arte che non genera curiosità è morta”, ha detto Dario Nardella rispondendo alle polemiche che a settembre accompagnarono l’installazione della scultura di fronte a Palazzo Vecchio. Il 28 dicembre Pluto e Proserpina di Jeff Koons dovrebbe essere smontata. A Nardella facciamo presente che la curiosità non può essere a tempo e che la morte del dibattito aspetta sempre dietro l’angolo. Al sindaco chiediamo di non privare una delle piazze più celebri al mondo del suo potente punto interrogativo dorato.
Dopodiché procedere, anno dopo anno, piazza dopo piazza, simbolo dopo simbolo, con tutti gli altri grandissimi della contemporaneità (Louise Bourgeois, Richard Serra, Giuseppe Penone e venti altri almeno). Non collocati per arredare o abbellire – si veda il Pistoletto di fronte a Porta Romana – bensì a disturbare e a incuriosire.
Le città che non generano curiosità, per parafrasare Nardella, sono città morte. E Firenze, che morta lo è stata a lungo (e ora non lo è più, come abbiamo dimostrato con la nostra inchiesta), ha forse intrapreso una delle poche strade per tentare la resurrezione. Coraggio!
Massimiliano Tonelli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati