Sui 500 euro ai giovani. La replica di Stefano Monti
Sono contento. Davvero. Sono contento che ci sia stato un po’ di rumore alle affermazioni contenute in un mio articolo di qualche giorno fa su Artribune. Sono contento perché vuol dire che c’è fermento, dibattito, e soprattutto opinioni, cosa di cui da tempo avvertivo la mancanza.
Rispondo alle osservazioni che mi sono state mosse anche se, devo ammettere, lo faccio con un po’ di riluttanza, perché purtroppo coloro che hanno replicato all’articolo hanno concentrato la loro attenzione sul dibattito inerente l’efficacia della misura dei 500 euro, quando il nodo centrale del mio articolo era ed è (cito): “Perché la cultura dei 500 euro è un’offesa. Punto. È poco più che uno specchietto per le allodole, un alibi dietro il quale nascondere un trend di spesa militare crescente per schivare le proteste che un aumento senza “indorature” avrebbe generato. Quello che preoccupa è che gli italiani colti, invece, si siano preoccupati semplicemente di argomentare sull’utilità di questi 500 euro, sulla capacità di generare una reale spinta all’economia. Quello che preoccupa è che nessuno abbia visto lo specchio, ma solo il riflesso che proiettava”.
Mi permetto dunque di ribadirlo, così che non cada io stesso vittima del riflesso mediatico che mi sono permesso di evidenziare, e che ancora una volta non è stato smentito.
Ciononostante non posso non rispondere alle obiezioni sollevate, sperando che la conversazione venga sempre più approfondita. In primo luogo va osservato che il termine “sperimentale” debba essere usato con cautela. La sperimentazione avviene quando, nelle condizioni più controllate possibili, viene somministrata una misura al fine di evidenziare, nello scenario di riferimento, i cambiamenti che questa comporta. La sperimentazione è quanto di più utile e necessario ci sia nella politica culturale, ma se non viene fatta in questo modo è un andare a caso.
Come sono stati monitorati i consumi pregressi delle persone che riceveranno i fatidici 500 euro? Quali sono le attuali soglie di spesa per ognuno di questi ragazzi? Chi già spende 500 euro per la cultura all’anno, come si comporterà avendo un maggiore budget? Si assisterà a un effetto sostituzione, per cui rimarranno costanti i consumi in cultura e magari spenderà di più per comprare altro, o, al contrario, raddoppieranno i suoi acquisti culturali? E ancora, in base a quale legge di mercato gli italiani di seconda generazione non possono beneficiare dei medesimi diritti? Non sono loro uno dei motori di sviluppo più importanti del nostro Paese, dato che, come suggerisce lo stesso Cancellato, i giovani in Italia sono sempre meno?
In secondo luogo vorrei sottolineare come una politica sui consumi sia estremamente necessaria, ma solo se accompagnata a un’estensione dell’offerta. Certo, con il bonus non è difficile immaginare che ci sarà un aumento dei consumi, ma non è questa la strada per catturare nuovi pubblici della cultura. Bisogna immaginare un’offerta che sia in grado di competere con altri consumi, bisogna lavorare sull’audience engagement, bisogna sviluppare sempre più un concetto di cultura rivolta al fruitore. Non si tratta di retorica, ma di capacità di visione a medio termine, di capacità di management, di applicazione delle leggi di mercato ai mercati culturali. Tutti elementi che personalmente non riesco a ritrovare nelle attuali politiche.
Scusandomi infine per l’autoreferenzialità, che non mi appartiene, vorrei ricordare che come Monti&Taft abbiamo collaborato alla stesura di un emendamento all’attuale legge di stabilità, che è stato accolto come raccomandazione, per avviare una politica fiscale che riduca l’aliquota IVA applicata ai consumi culturali. Sempre come Monti&Taft abbiamo avviato una campagna di sensibilizzazione degli operatori del settore sul tema fiscale, i cui sforzi verranno pubblicati in un libro che uscirà ad aprile 2016, di cui sarà mio piacere inviare una copia al dottor Cancellato e all’onorevole Rampi.
La mia speranza è che questo dibattito continui, che non si esaurisca nei tempi mediatici necessari a schierarsi a favore o contro una manovra, ma che sia preludio di uno scambio di opinioni su temi sempre più concreti. Perché è attraverso le azioni e non le proclamazioni che la cultura acquisisce e riacquisisce dignità.
Stefano Monti
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