Sui 500 euro ai giovani. Roberto Rampi risponde a Stefano Monti
Riceviamo e pubblichiamo questa lettera aperta indirizzata a Stefano Monti. “Qualche riflessione pacata (e necessaria) sulle risorse per i consumi culturali destinate ai diciottenni”, come dice l’onorevole del Partito Democratico, che fa parte della Commissione Cultura, Ricerca, Istruzione alla Camera dei Deputati.
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UN INTERVENTO SUI CONSUMI
Mi hanno colpito, ma confesso non sorpreso, le reazioni alla misura decisa dal Governo a sostegno dei consumi culturali per i cittadini italiani che raggiungono la maggiore età.
Una prima osservazione viene da chi sostiene che si tratti di una misura non strutturale, e che altre siano le priorità nel campo della cultura. Il tema avrebbe più fondatezza se questo intervento non arrivasse a valle di una serie di misure che hanno visto un’inversione di tendenza sostanziale proprio sulle risorse investite in cultura. A partire dalla scuola, con oltre tre miliardi all’anno, strutturali, passando per le risorse agli enti e agli istituti culturali, ai musei, alle biblioteche, alle risorse per il patrimonio, al fondo unico per lo spettacolo, che tornano a crescere dopo decenni di tagli, con incrementi che vanno dall’8 al 10 percento.
Naturalmente qualcuno osserverà che non basta, e questo è parzialmente vero, soprattutto in relazione alla vastità del nostro patrimonio culturale, della rete delle nostre strutture e della riduzione drastica inflitta a questi settori dai governi delle destre. Ma sia la quantità di risorse messe in campo che il segno di queste risorse sono inequivocabili. Aggiungere a queste le risorse destinate alla carta dei consumi farebbe poca differenza quantitativa, ma sarebbe invece un errore perché questa misura, iniziale e sperimentale, prova invece a colmare una lacuna.
Un intervento sui consumi – e conseguentemente sui costumi – culturali, infatti, ha come obiettivo quello di provare a spingere a una modifica delle abitudini di chi, per storia personale, familiare, economica, non ha l’abitudine di frequentare un teatro, un museo, un cinema, di acquistare libri o musica. Sostegno, dunque, a chi acquista cultura ma anche a chi realizza cultura, perché queste risorse finiranno nei bilanci degli operatori culturali, attraverso le scelte dei cittadini.
APRIRE A NUOVI PUBBLICI
Tanto gli interventi strutturali, che rafforzano meritoriamente l’offerta culturale del Paese, quanto le gratuità spesso previste e utilizzate hanno un limite: raggiungono sempre gli stessi, quelle donne e quegli uomini, quelle ragazze e quei ragazzi che di loro hanno già interesse, vocazione piacere di frequentare i luoghi della cultura. Un provvedimento come quello della carta dei consumi culturali, invece, mettendo in mano di ragazze e ragazze delle risorse spendibili solo in quei settori, orienta, spinge, prova a modificare i loro comportamenti, sostiene gli interventi di costruzione di nuovo pubblico per lo spettacolo dal vivo, di nuovi lettori per i libri, temi che da sempre chi si occupa di questo settore si pone: come aprire, come allargare, come coinvolgere persone nuove.
E in questo senso, partire dai diciottenni è significativo perché chi compie diciotto anni diviene pienamente cittadino e questo significa agganciare l’ingresso nella Città, nella Polis, all’accesso alla cultura. Nella Grecia antica, culla della democrazia, la Polis pagava i cittadini per andare a teatro. E il cittadino che non frequentava il teatro non era considerato un cittadino.
ELITISMO E BENALTRISMO
Restano allora in campo due obiezioni, altrettanto importanti. Quelle di chi, magari a voce bassa, non crede che andare a un concerto o in un cinema sia cultura, chi abita una visione elitaria della cultura che ha fatto quasi più danni alla cultura di questo Paese di quelli dei suo nemici più espliciti. E magari vorrebbe che lo Stato decidesse quali film, quali concerti, quali libri sono cultura e quali invece non sono degni di questo marchio. Niente di più pericoloso.
Queste osservazioni vanno di pari passo con chi introduce nella discussione i tanti bisogni primari, sociali, e mette in contrapposizione le due misure secondo un’idea antica per cui c’è sempre qualcosa di più essenziale che viene prima degli investimenti in cultura. Non è così. E ce lo insegnarono i nostri nonni, spesso disposti a togliersi letteralmente il pane di bocca per permettere ai loro figli di studiare. Non esiste un contrasto tra questi interventi, e solo lavorando in parallelo in campo sociale e culturale si rimuovono le cause profonde della marginalità che attanaglia la vita di tante donne e uomini.
CULTURA È LIBERTÀ
L’emancipazione passa dalla cultura. La comprensione della società passa dalla cultura. La capacità di concepire l’altro passa dalla cultura. La cultura è l’unica arma contro la violenza, contro il razzismo, contro i mali profondi del nostro tempo. I semi gettati in una giovane mente da uno spettacolo di teatro, da un film, da una canzone o da un racconto sono il motore più potente di mobilità sociale, tanto forte da combattere anche gli ostacoli economici che si incontreranno lungo il cammino. È la cultura l’unico modo di essere liberi.
Valuteremo gli esiti della sperimentazione, con attenzione. Certo. Saremo attenti nell’attuazione perché ogni euro arrivi a destinazione. Ma un’analisi anche di poco meno superficiale di quella prevalente credo possa mettere in luce la rilevanza di un’azione di questo genere. Forse proprio la superficialità della discussione che si è sviluppata anche su questo tema deve rafforzarci sull’urgenza di interventi di questa natura.
Roberto Rampi
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