Istituto Italiano di Cultura di New York. Parla il direttore Giorgio van Straten
Ieri vi abbiamo raccontato come sta mutando lo skyline di New York. In peggio, se volete una estrema sintesi. Oggi vi regaliamo il punto di vista di Giorgio van Straten, a capo dell’IIC dallo scorso marzo.
Lei si è occupato di vari ambiti culturali: letteratura, arti visive, comunicazione. Sicuramente l’Istituto dovrà in qualche modo coprirli tutti, ma quale sarà prioritario sotto la sua direzione?
Non credo che ci debba essere un ambito prioritario, perché è proprio la molteplicità della proposta che fa la politica di un Istituto di Cultura. Piuttosto quello che conta è non rimanere solo all’interno della nostra sede, ma sviluppare una serie di attività in collaborazione con altri soggetti, prevedendo iniziative in diverse zone della città (e non solo della città, perché la competenza territoriale dell’Istituto riguarda anche altre importanti città americane come Boston o Filadelfia).
Quali sono le istituzioni cittadine con le quali l’Istituto si relazione in maniera più proficua e produttiva? Quali sono state fino ad oggi e con quali, invece, lei intende insistere e aprire nuovi rapporti?
Ogni istituzione che si occupa, come noi, di promozione della cultura italiana, è non concorrente ma alleata. Vale per Casa Zerilli Marimò della New York University o Italian Academy della Columbia University. Ma sto intessendo relazioni anche con i musei che possono e vogliono occuparsi di arte italiana (dal Met al Guggenheim alla Frick Collection, per fare solo alcuni esempi, ma anche alcune gallerie private), con istituzioni culturali come il Primo Levi Center, con spazi dedicati al cinema (come Film Forum o Museum of Moving Images) e così via. Il panorama culturale di New York è talmente ricco che non si finisce mai di scoprirlo.
A New York vive una quantità (e una qualità) notevole di artisti italiani più o meno giovani. In che modo far sì che l’Istituto sia un punto di riferimento per loro?
Io credo che, quando si parla di promozione della cultura italiana, sia assolutamente necessario declinarla anche nella dimensione della contemporaneità. Far conoscere di più e meglio gli artisti che operano a New York, sottolineare il fatto che sono italiani, è un compito specifico dell’istituto. Per esempio, a febbraio ospiteremo la mostra, frutto di una collaborazione con CIMA, di due giovani e bravissimi illustratori italiani che lavorano molto con le riviste newyorchesi, Emiliano Ponzi e Olimpia Zagnoli. E altrettanto vorrei fare con alcuni fotografi e designer. Quanto alle arti visive, da anni promuoviamo il Premio New York, che prevede quattro mesi di ospitalità per due artisti e sto costruendo un progetto insieme all’American Academy di Roma.
Ci saranno cambiamenti di assetto e di layout dell’Istituto dal punto di vista espositivo? Che spazi avete a disposizione?
Gli spazi che abbiamo sono abbastanza limitati: due sale, una delle quali non ideale per l’esposizione di opere, avendo il soffitto abbastanza basso. Per questo credo che sia importantissimo lavorare alle collaborazioni, com’è successo nel caso di Burri al Guggenheim, per costruire progetti che non avrebbero la minima possibilità di essere realizzati all’interno dell’Istituto per motivi logistici ed economici. Da noi non credo si possano fare significative esposizioni antologiche, piuttosto bisogna pensare a mostre anche di un quadro solo o comunque piccole per numero di opere, ma di altissima qualità.
Qualcosa che cambierà radicalmente e qualcosa che resterà in continuità rispetto alla direzione precedente.
Fra me e il precedente direttore c’è stato un periodo di un anno e mezzo in cui l’Istituto è stato gestito (peraltro brillantemente) dal Console Generale. Dunque è difficile per me capire cosa è in continuità e cosa no rispetto a chi mi ha preceduto. Del resto, ognuno ha la propria sensibilità e le proprie competenze, ma è importante non costruire un Istituto a propria immagine e somiglianza, e quindi ricominciare da capo a ogni cambio di direttore.
Gli Istituti sono tra le poche realtà pubbliche italiane che hanno subito una reale spending review (a partire dal taglio dell’emolumento del direttore!). La cosa vi mette in difficoltà? Che budget avete a disposizione per fare le vostre attività?
Il budget è molto limitato e comprende anche i costi di gestione della sede (manutenzione, consumi ecc.). Ma è anche vero che New York offre così tanto in termini di presenze, occasioni e anche di risorse economiche, che se ci sono buone idee si trova anche il modo di realizzarle. Casomai la difficoltà è che, essendo noi un soggetto non americano dal punto di vista fiscale, chi dona qualcosa all’Istituto non può dedurlo dalla propria tassazione e questo, ovviamente, non aiuta.
Massimiliano Tonelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #28
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