Street Art in Puglia. Una uscita con Pin

Abbiamo deciso di incontrare Pin, uno degli street artist più noti e longevi della Puglia, e l’abbiamo seguito nella campagna molfettese (in provincia di Bari) per assistere alla realizzazione in diretta di una sua opera. E abbiamo documentato tutto. Ecco come nasce un’opera murale non autorizzata.

L’APPROCCIO
Percorriamo la Statale 16 adriatica in direzione Bari Nord. È giovedì – il primo giovedì dell’anno nuovo, piacevolmente mite – e stiamo andando a Molfetta per incontrare Pin, uno degli street artist più noti e longevi del panorama artistico pugliese. Abbiamo appuntamento nel suo studio di prima mattina e, mentre siamo in macchina, ci arriva una sua mail: “Dopo alcuni sopralluoghi, ho scelto la location del mio nuovo lavoro: è una cascina abbandonata, vicino a uno dei cantieri in periferia”.

L’INCONTRO
Pin, come la stragrande maggioranza degli street artist, mantiene il riserbo sulla sua persona. Sono da poco passate le 9 e stiamo per entrare nel suo studio. Un ragazzo ci apre la porta: è Pin, e ci fa accomodare. Dopo averci mostrato il laboratorio, gli facciamo qualche domanda, così per rompere il ghiaccio. La curiosità ci spinge subito a chiedergli: come mai hai scelto Pin come alias? Risponde secco: “È solo una parte del mio nome e non ha a che fare con il codice di sblocco dei telefoni. Quando ho iniziato, non erano ancora così diffusi”.
Parliamo degli inizi, allora. “I miei primi lavori come writer risalgono nella seconda metà degli Anni Novanta. Realizzavo murales in luoghi abbandonati, qui a Molfetta e non solo. Questo è uno dei motivi per cui mantengo l’anonimato”. I lavori di Pin sono molto noti in questa zona (come nel resto di Puglia) e non bisogna per forza vivere da queste parti per riuscire a imbattercisi. Alcuni di essi, come la facciata del palazzetto dello sport di Molfetta, è talmente grande (e bella) che basta entrare in città per sbatterci contro il naso. “I luoghi dove dipingo, in assenza di festival o eventi autorizzati, sono di varia natura. Generalmente cerco spazi abbandonati. Cerco muri dove il mio intervento sia riqualificante – un’opera tra l’immondizia –, muri in un certo senso senza padroni”.

Pin, Hungry Birds

Pin, Hungry Birds

LE VARIE ANIME DI PIN
La chiacchierata procede veloce, poi ci mostra alcuni suoi lavori di incisione, di pittura e design. Pin, infatti, non è solo uno street artist, ma versa facilmente in altri tipi di espressioni artistiche – “questo perché mi è sempre piaciuto sperimentare”, ci dice, “e anche perché ho una formazione da visual designer” – che l’hanno portato, in breve tempo, a essere uno degli artisti più noti della zona. Pantaloni mimetici e bomber, capelli raccolti, scarpe sporche di vernice, è tutto ciò che di Pin possiamo dire perché l’anonimato per lui è una cosa seria: “Non mi piace che le mie opere siano riconosciute come mie [capita, infatti, che non le firmi, N.d.R.]. Non voglio che si parli di Pin come artista, ma che siano le mie opere a lasciare un messaggio”.

SOPRALLUOGHI E MESSAGGI
Usciamo dall’atelier e ci dirigiamo verso la campagna molfettese, il cielo promette bene e quest’uscita, la prima del nuovo anno, segna il ritorno in strada di Pin dopo il suo ultimo lavoro (autorizzato) di agosto.
L’area scelta è una specie di limbo tra la città che avanza e la campagna che si riduce sotto le colate di cemento. La vegetazione è fitta, intorno ci sono palazzi nuovi di zecca, alla nostra sinistra sfrecciano le macchine su una strada ad alta velocità, mentre, a pochi metri di distanza, gru e ruspe lavorano incessantemente. “I sopralluoghi”, ci spiega Pin, “sono importanti. Sono il primo passo e, forse, anche il più importante: il luogo che si sceglie deve essere giusto per il fine che l’opera ha”. Parlando con Pin, si capisce immediatamente che la sua è un’arte di comunicazione, sociale e democratica. I suoi disegni – che possono arrivare anche agli otto metri di altezza – non sono solo rappresentazione artistica di un soggetto, ma contengono un messaggio. Per questo motivo le sue opere sono tutte in prossimità di luoghi cui il messaggio è diretto, come i due passerotti – ribattezzati Hungry Birds – giganti che stringono un’auto nel becco lungo un sovrappassaggio stradale.

Pin, naturaviva#1

Pin, naturaviva#1

COLORI E RULLI: SI COMINCIA
Arriviamo davanti a una piccola casina, un rudere quadrato con i muri color porpora slavata. “Ho scelto questo posto”, dice Pin, “perché è al centro tra passato e futuro. Questa struttura tra qualche mese sarà abbattuta: qui nasceranno nuovi palazzi e questo triangolo di verde sparirà”. Tiriamo fuori la macchina fotografica. Tutto dovrebbe svolgersi senza interruzioni o problemi (“l’essere interrotti fa parte del mio lavoro, quando si lavora su muri non autorizzati. Ma, a essere sincero, non ho mai avuto grossi problemi”).
Gli chiediamo cosa ha intenzione di disegnare sulla facciata sud della casetta. “Un melograno”, ci risponde. “L’ho colto in una lama qui vicino, l’ho aperto, e ho deciso che realizzerò un’opera che lo ritrae in coppia, e userò il rosso delle pareti come colore di sfondo”. I tir passano incessantemente e il rumore delle ruspe è continuo, cosa che spingerà Pin a prendere il suo iPod e ad attaccarlo a una cassa portatile. Hip-hop e si comincia.
Mischio i colori a occhio, mi piace improvvisare e lasciare che siano la fusione di varie tonalità a darmi la giusta ispirazione”. Poi dallo zaino tira fuori piccoli rulli che attaccherà all’asta periscopica. Il primo colore è un giallo acceso, “per i contorni”.

LA STORIA DI PIN RACCONTATA DA LUI MEDESIMO
Assicuratici che il parlare non lo distrae dal lavoro, gli facciamo qualche altra domanda, partendo da un classico: cos’è per te la street art? “La mia è un’arte di comunicazione, non solo di decorazione. Certo, i miei lavori possono riqualificare un rudere, una palestra, la facciata di una scuola, un locale privato, ma tutti contengono un messaggio di denuncia”. Intanto il melograno inizia a prendere forma, i colori si mischiano nelle bacinelle e Pin ogni tanto si ferma per dare uno sguardo intorno: tutto okay, si può continuare.
Ho iniziato come writer”, ci racconta, “disegnando il mio nome con la tecnica del lettering. Tutt’oggi questi murales sono visibili in città, ma quando li ho realizzati erano in aree dismesse”. Il mondo dei graffiti è sempre il punto di partenza per uno street artist? “No, assolutamente. Io ho iniziato con le bombolette sui muri delle stazioni, ma poi, con il tempo e l’età, ho deciso di cambiare, sperimentare e dare maturazione alla mia arte”.
Quando hai capito di dover lasciare le bombolette? “Dopo aver studiato visual design, mi sono spinto verso l’illustrazione, sempre con temi animaleschi. Ho lasciato le bombolette per due motivi. Uno artistico, perché volevo sperimentare l’utilizzo di nuove tecniche (adesso uso rulli e pennelli) e una seconda pratica: le bombolette non permettono la realizzazione di grandi lavori, sono scomode e dispendiose”.
Pin sta dipingendo da due ore di fila, è il momento di una pausa e si accende una sigaretta. Si toglie i guanti, dà uno sguardo al melograno (vero), poi dice: “Una volta che il disegno sarà completo non è più mio, non stipulo un legame di proprietà con l’opera. Mi piace che l’opera faccia parte della casualità delle cose, che lo veda per caso un signore che porta a spasso il cane o la vecchietta che va a fare la spesa al mercato”. E aggiunge: “Mi piace la Street Art proprio per il suo carattere popolare e di democraticità: non è rinchiusa in palazzi o musei, non si paga per vederla, è di tutti, e diventa parte di una identità popolare”.

Pin al lavoro

Pin al lavoro

STREET ART IN PUGLIA
Come sta evolvendo la Puglia in merito: “Noto più fermento rispetto agli anni in cui ho iniziato, c’è nuova luce sulla Street Art; adesso è più conosciuta e apprezzata. Me ne rendo conto dal numero sempre crescente di festival che si organizzano sul tema”. Invece, il mondo dei graffiti? “Ormai sono una piccola percentuale, pochi resistono ancora”.
La cassa dell’iPod riempie i silenzi, mentre guardiamo Pin dipingere totalmente immerso nel suo lavoro (“è come se andassi in trans”). Anche noi siamo rapiti dalla bravura di Pin, dalla precisione dei tocchi, dalla maestria dell’uso dei colori, dalla facilità con cui il rullo riesce e imprimere forme e linee, come se quel melograno fosse sempre stato lì, dipinto e coperto da una sottile patina di polvere. A Renato Barilli potranno anche non piacere gli street artist, ma Pin è un pittore egregio, tutt’altro che mediocre.
È il momento di congedarci: Pin, prima di racimolare le sue robe, scatta qualche foto al disegno. Gli chiediamo cosa ha in programma per i prossimi mesi: “Disegnerò un uccello, probabilmente una gazza ladra, in un luogo che ho già identificato”.

LA SEPARAZIONE
Torniamo verso la macchina e lasciamo Pin un più indietro, che osserva ancora il disegno. I suoi murales sono dietro l’angolo, ma li trovate in ogni angolo del mondo (Messico e Vietnam, ad esempio). Come quel melograno, baluardo di una natura che via via scompare, a causa della trasformazione della città che non lascia spazio a niente che non sia funzionale, nuovo, vendibile.
Qui sta tutta la poetica dell’arte di Pin, che prende posizione e si schiera, dice qualcosa ma senza fare comizi; racconta, ma senza monopolizzare le storie; riqualifica, ma senza prendersi troppo sul serio.
Sulla statale 16 ci imbattiamo in un suo altro disegno, che nel tragitto di andata non avevamo notato. È ancora lì, un po’ sbiadito, nonostante tutto.

Paolo Marella

www.pindesign.it

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Paolo Marella

Paolo Marella

Barese, classe 1987, trapiantato maldestramente a Venezia. Laureando in Economia e Gestione dei Beni Culturali all'Università Ca' Foscari, coltiva da anni una forte passione per l'arte e la scrittura. Gli piace il mondo della comunicazione: quest'anno ha lavorato nell'ufficio stampa…

Scopri di più