Pinacoteca di Bologna. E se diventasse una project room?
Proposta shock di Antonio Grulli: trasformare la Pinacoteca di Bologna in una gigantesca project room, per rendere stabile e continuo il confronto tra arte del passato e arte contemporanea. Un’idea che ha qualche speranza di diventare realtà? Intanto qui ci si appella al ministro, che speriamo abbia tempo per valutarla dopo aver risolto la questione statue-velate…
UNO STRAPPO ALLA REGOLA?
In questi giorni il Ministro Dario Franceschini ha nuovamente messo mano al riordino del sistema museale italiano e, ancora una volta, la Pinacoteca Nazionale di Bologna non è coinvolta da questa riconfigurazione. Già dopo la prima fase di nomina dei direttori dei venti principali musei, illustri colleghi ne hanno scritto, e un mio intervento potrebbe risultare oggi pleonastico. Credo però sia interessante mantenere la Pinacoteca al centro del dibattito, lasciare che sia ancora un oggetto del contendere non messo da parte.
Le nomine dei nuovi direttori sono state basate – giustamente – su parametri legati all’arte dei secoli scorsi e alla museologia classica. Il Ministero però potrebbe considerare l’idea di operare almeno in un caso con maggiore libertà di azione. Perché non immaginare di accostare alla Pinacoteca Nazionale di Bologna un critico, un intellettuale o un artista provenienti dal mondo dell’arte contemporanea, rendendola un grande luogo/laboratorio di sperimentazione, in cui proporre, con una programmazione regolare e pianificata per tempo, l’arte di oggi assieme ai maestri del passato?
LA PINACOTECA DI BOLOGNA COME PROJECT ROOM
Il termine pinacoteca racchiude la vocazione alla custodia, alla protezione e al trasporto della pittura nel futuro. Si potrebbe allora pensare di renderla un’istituzione dedicata esclusivamente alla pittura realizzata in questi anni. Esistono già forme di inserimento dell’arte contemporanea all’interno di musei come il Louvre o il Metropolitan di New York, per fare solo due esempi. Ma si tratta di interventi saltuari e l’arte di questi anni emerge sempre come ospite in casa altrui.
Immaginiamo invece un museo di arte del passato che, dotato di un organico professionale specifico, si occupi sistematicamente di creare una serie di mostre di pittori affermati e di grandi maestri della pittura di oggi accostandoli a opere dei secoli precedenti. Un tale esperimento diventerebbe un unicum a livello mondiale, una gigantesca project-room focalizzata su quello che è stato il nervo scoperto e il grande terreno di scontro dell’arte nell’ultimo secolo, tra tentativi di messa in discussione dello statuto e del primato del dipingere, e i continui proclami di morte e risurrezione del quadro. Ed è attorno a questo campo di battaglia, la pittura, che in futuro si deciderà se il filo che unisce l’arte di oggi a quella di Guido Reni sia ancora intatto o sia stato reciso.
IL PASSATO È COSA VIVA
La Pinacoteca Nazionale di Bologna possiede degli spazi espositivi indipendenti (con una buona storia di mostre alle spalle), è contigua all’Accademia di Belle Arti, e permetterebbe l’accostamento critico diretto installando le opere nelle sale delle collezioni museali. Ovviamente la figura chiamata a ideare e realizzare mostre di arte contemporanea non andrebbe a occuparsi di questioni tecniche come i restauri o lo studio accademico, per cui rimarrebbero i professionisti specializzati. Si tratterebbe solo di un’addizione alla normale attività museale, ma dotata di autonomia d’azione e di mezzi adeguati.
Credo che la riflessione critica sull’arte meno recente non possa essere monopolio di storici specializzati o di figure accademiche, quando non addirittura burocratiche. E credo che considerare le opere del passato con il rispetto, la vicinanza e le attenzioni che siamo soliti riservare ai capolavori contemporanei sia il modo migliore per onorarle e per non considerarle “cose morte” ormai esaurite nella loro capacità destabilizzante.
BOLOGNA CONTEMPORANEA
Bologna può essere il luogo perfetto per questo tipo di progetto, permettendo di superare anche le diatribe su veri o presunti declassamenti di un museo. È la città italiana forse più legata alla contemporaneità, e viene vista come uno spazio di riflessione e di sperimentazione, per la sua Università, le istituzioni educative che la animano, e l’altissima percentuale di giovani che la vive giorno e notte. Di recente è divenuta la sede di due fondi bibliotecari e di ricerca di livello mondiale a seguito delle donazioni di Ida Gianelli e Federico Zeri, conservati nella zona del Dipartimento di Arti Visive dell’Università.
I Carracci che proteggono come numi tutelari l’Accademia e la Pinacoteca sono tra gli artisti dei secoli scorsi che maggiormente possono essere accostati alla forza provocatoria e di dissacrazione delle avanguardie di oggi. Fondare un’accademia basata sullo studio dal vero della realtà, e dipingere la bottega di un macellaio non era un atto meno dirompente che inserire un orinatoio in un museo.
APPELLO AL MINISTRO FRANCESCHINI
Gli ultimi mesi (basti pensare al restauro del Colosseo o del Ponte di Rialto) hanno dimostrato che quando la progettazione parte dall’alto, in maniera chiara e con grandi ambizioni, con l’appoggio forte del Ministero e della classe politica, anche i privati hanno voglia di essere parte di iniziative importanti.
Bologna è una città che sta cercando di ridefinire se stessa: l’ultima amministrazione comunale ha puntato in maniera intelligente sulla ricerca contemporanea, capendo che non era possibile competere sul campo dell’antico con città come Venezia o Roma. Ma al tempo stesso si è dimostrata aperta e collaborativa con le iniziative private e delle fondazioni bancarie che proponevano mostre di richiamo sull’arte del passato. Per ogni singola esposizione (ribadisco, qualora sia presente un supporto ministeriale forte) penso siano facilmente instaurabili collaborazioni coi principali musei esteri di arte antica: il caso di Venezia, con la Biennale e esperienze come Palazzo Grassi e Punta della Dogana, le tante accademie straniere che popolano Roma e Firenze, dimostrano come l’Italia continui a essere percepita all’estero come un potenziale hub sovranazionale di incontro per la ricerca sulla cultura e l’arte visiva.
Perché non provare a inserire anche Bologna all’interno di queste dinamiche, facendo leva sul grande portato mitico della città come luogo di concepimento e sviluppo (Bologna Process) della ricerca intellettuale e accademica al suo livello più alto?
Antonio Grulli
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