Arte & innovazione. L’editoriale di Venturi & Zandonai
Conoscenze tacite e modelli coesivi. Sono questi due concetti che andrebbero studiati e soprattutto applicati nel mondo della cultura. Per dimostrare come collaborare crei prosperità.
TACITE CONOSCENZE
Sappiamo bene che la conoscenza è di due tipi: codificata e tacita. La conoscenza codificata è quella che viene veicolata attraverso protocolli, cioè codici, procedure, mansioni; la conoscenza tacita è invece quella che si trasferisce da una persona all’altra attraverso il contatto interpersonale. “Credo sia il caso di considerare la conoscenza umana in base al fatto che conosciamo più di quanto possiamo dire”, scriveva Michael Polanyi.
Non è un caso che ormai da almeno vent’anni a questa parte i sistemi informativi e di knowledge management di istituzioni pubbliche e soprattutto imprese siano sempre più “settati” su questo tipo di conoscenza, consapevoli che lì risiede quel valore interstiziale osservato a suo tempo da Michel Crozier che è foriero di innovazione.
L’efficacia di un’infrastruttura educativa o tecnologica (o di una comunità, o di un’organizzazione) si misura non solo sulle routine formali, fondate sulle conoscenze codificate; ma anche sulla capacità di valorizzare la relazione e la prossimità come strumenti fondamentali per attivare quell’insieme di risorse “bloccate” da un rapporto o da uno scambio che troppo spesso riconosce solo ciò che è convenuto in modo esplicito.
LA PERSONA AL CENTRO
Oggi, in piena terza rivoluzione industriale, gli investimenti su “nuove tecnologie” non a caso definite “dell’informazione e della conoscenza”, riconoscono che il fattore strategico di sviluppo è la conoscenza tacita e che ognuno di noi ne è portatore all’interno dei diversi contesti “naturali” di vita. La disponibilità naturalmente è variabile, ma tutti partecipano a processi di elaborazione e condivisione di questa conoscenza e quindi possono dare un contributo.
Ciò vale per tutte le organizzazioni ma in particolare per quelle culturali e sociali che si nutrono più di altre dell’apporto del capitale umano e del suo dato esperienziale e conoscitivo “di prima mano”. Una delle sfide più importanti delle imprese sociali è innanzitutto quella di promuovere innovazione mobilitando la conoscenza tacita distribuita in un raggio sempre più ampio: chi lavora nell’impresa, i beneficiari, la comunità, le istituzioni, ecc. attraverso una visione imprenditoriale aperta, capace cioè di generare nuove economie di scopo attraverso processi di condivisione e co-produzione.
“Mettere al centro la persona” – un mantra che manager e consulenti continuano imperterriti a recitare – in fin dei conti significa costruire intorno alla persona non solo un insieme di servizi (spesso eccessivamente codificati e/o inaccessibili per le asimmetrie informative che si generano), ma piuttosto mettere al centro la relazione, disegnarla, condividerla e nutrirla non solo guardando ai bisogni ma anche alle preferenze e alle aspirazioni. In particolare la capacità di aspirare, come ci insegna l’antropologo Arjun Appadurai, è una capacità tipicamente culturale, un terreno di elaborazione collettiva dove si esprimono e si rappresentano futuri possibili. Solo in questo modo le risorse latenti possono farsi condivise, e le conoscenze tacite – tale, ad esempio, l’eredità culturale – nutrire processi formali: essa costituisce la risorsa primaria cui possono attingere nuove politiche sociali e culturali.
MODELLI ESTRATTIVI E COESIVI
L’attitudine a cooperare diventa un’innovazione di metodo per creare valore ed esplicitare risorse dormienti. La “sottile linea rossa” del comportamento collaborativo rappresenta il discrimine tra modelli di gestione della conoscenza tacita di tipo estrattivo e modelli che invece sono di natura coesiva. Nel primo caso, che abbiamo qui definito estrattivo, si mira a perfezionare processi di produzione e governance avendo obiettivi di efficienza crescente. Al fondo agiscono logiche strumentali che alimentano, non a caso, timori sempre più diffusi rispetto alle modalità di raccolta, “stoccaggio” e utilizzo non solo di dati e informazioni ma anche del bene più prezioso: le conoscenze.
Nel caso dei modelli coesivi, invece, la conoscenza tacita assume valore nella misura in cui ridisegna impianti organizzativi, assetti di governance e, al tempo stesso, le policy che regolano e promuovo lo sviluppo dell’ambiente socioeconomico e naturale di riferimento. Se il cooperare diventa metodo e cultura in senso ampio, opera come driver di trasformazione e campo di sperimentazione. E in questo senso la cultura rientra, con pari dignità rispetto alla ricerca scientifica e tecnologica, nel nucleo centrale del paradigma dell’innovazione sociale: questa è un elemento di primaria importanza della nascente economia della conoscenza.
Dal punto di vista dei processi di crescita endogena è molto importante che esistano luoghi che alimentino pratiche conversazionali e di condivisioni semi-spontanea: ne scaturiranno comunità autoregolate in grado di amministrare in modo sostenibile risorse culturali che sovrautilizzo e opportunismo “estrattivi” finirebbero invece per esaurire. In questo senso, come ricordava Elinor Ostrom in una delle sue ultime ricerche, la conoscenza, soprattutto quella tacita che scaturisce da matrici culturali profonde, è davvero un bene comune.
Paolo Venturi e Flaviano Zandonai
“Arte & innovazione” è un ciclo di interventi a cura di Michele Dantini
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