Cultura islamica. Cosa (non) fanno i Paesi Arabi
Si ha un bel chiedere – a torto o a ragione – ai musulmani moderati di dissociarsi dal terrorismo. Però cosa fanno ambasciate e consolati dei Paesi Arabi in Europa? Perché non promuovono la cultura delle loro nazioni? Ecco cosa ne pensa un archeologo laureato in Siria e di stanza a Roma.
UNA RICETTA CONTRO L’ISLAMOFOBIA
Ogni volta che c’è un attentato terroristico in nome dell’Islam, si discute il ruolo dei musulmani moderati o di quelli che sono comunque contro la violenza. C’è chi dice che non bisogna dissociarsi da qualcosa che non ci appartiene e altri che invece vogliono mostrare come quei terroristi non rappresentino i musulmani e che nulla hanno a che fare con l’Islam.
In realtà, bisogna sì mostrare e dissociarsi della barbarie per scacciare l’islamofobia e la paura tra la gente comune, ma qualsiasi manifestazione temporanea resterà timida e sarà dimenticata in breve tempo, se non organizzata con grandi dimensioni, in realtà ancora non viste né in Europa né nel mondo islamico. Quello che serve è ben altro e sicuramente i tempi saranno lunghi per raggiungere questo obiettivo. Invece di chiedere ai musulmani che vivono in Italia di prendere una posizione e combattere l’integralismo nelle moschee e nella società islamica, come mai nessun chiede che ruolo abbiano i centri culturali presenti nelle ambasciate e nei consolati dei Paesi musulmani sul territorio italiano?
LE CARENZE DEI CENTRI CULTURALI MUSULMANI
Se non sono assenti, sono rarissime le giornate e le serate dedicate alla tradizione locale e alla vita culturale del Paese a cui appartengono. Molti intellettuali arabi, come Adonis e Tahar Ben Jelloun, non sono ospiti dei centri culturali musulmani, anche se vengono spesso in Italia. Tanti giovani scrittori, poeti, musicisti, pittori di cultura islamica trovano spazio nelle piccole librerie, nei centri culturali italiani e nei laboratori universitari, ma non nei centri culturali delle ambasciate. In Italia ci sono tanti studenti e appassionati che vogliono imparare le lingue orientali (arabo, persiano, turco, urdu, curdo ecc.) ma non trovano offerte adeguate nelle ambasciate e quindi si affidano ai privati e alle associazioni culturali, che spesso non hanno tutti i materiali necessari.
Quando vivevo ad Aleppo, in Siria, avevo una gran voglia di imparare il francese e negli ultimi anni anche il tedesco. Non perché nella vita di tutti i giorni si discutesse di cultura francese o tedesca, ma perché frequentavo le attività del centro culturale francese e tedesco, che avevano una programmazione ricchissima di musica, teatro, cinema, incontri culturali e mostre. Quasi tutte a ingresso gratuito. Erano attività piene di gente, anche se tante volte il pubblico non capiva la lingua, me compreso. Eravamo però tutti curiosi di scoprire quelle culture, di approfondire la nostra conoscenza e di eliminare i nostri pregiudizi che, nella maggior parte dei casi, erano negativi o esagerati. E la stessa cosa potrebbe e dovrebbe succedere anche qui, sia in Italia che in Europa.
COSTRUIRE PONTI
Non c’è dubbio che il singolo cittadino abbia un ruolo importante nel difendere la cultura e la tradizione, ma per cambiare l’opinione pubblica servono le istituzioni e un personale specifico e qualificato: istituzioni con programmi e agende annuali, centri culturali che ospitino saggisti, teologi, artisti, musicisti e registi per raccontare la vita nelle società musulmane e non solo. Non è casuale che, quando si propone qualcosa di culturale al pubblico, come è successo la scorsa estate con la mostra alle Scuderie del Quirinale con il titolo Al Fann: Arte della Civiltà Islamica, la risposta sia stata importante, e infatti sono state migliaia le persone che l’hanno visitata. Un’esposizione che ci ha lasciato con la bocca aperta per la ricchezza, la bellezza dell’arte islamica e la bravura degli artisti che hanno realizzato, durante il corso dei secoli, i vari oggetti presentati.
Quando abbiamo una visione culturale ed educativa, possiamo diminuire la fobia e la paura e nello stesso tempo costruire i ponti e le relazioni tra l’Est e l’Ovest. Perché quando c’è l’incontro nasce la conoscenza, quando c’è la conoscenza nasce il rapporto, quando c’è il rapporto nasce il ricordo e quando c’è il ricordo nasce la memoria, sulla quale è basata l’esistenza stessa dell’essere umano.
Ghiath Rammo
archeologo orientalista
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #29
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