L’albero della cuccagna secondo Mimmo Paladino
All’ombra della chiesa di Santa Croce arriva l’obelisco di Mimmo Paladino. Il progetto di mostra diffusa in tutta Italia “L’albero della cuccagna. Nutrimenti dell’arte”, curato da Achille Bonito Oliva e dedicato alle problematiche dell’alimentazione nel mondo, oggi 6 febbraio ha fatto tappa a Lecce. Abbiamo sentito il maestro della Transavanguardia, fra progetti, attualità e giovani generazioni.
Da nord a sud attraverso tutta la penisola, così la mostra itinerante di Achille Bonito Oliva, che chiama a raccolta artisti di varie generazioni e coinvolge musei, istituzioni, fondazioni pubbliche e private, si sviluppa attorno all’antica e simbolica tematica dell’albero della cuccagna. Quest’albero non è solo iconografia di gioia e felicità, ma anche immagine d’identità culturale. A livello nazionale l’esposizione, inaugurata nelle ultime settimane di Expo Milano 2015, introduce a una riflessione sociale e sempre più attuale che riguarda l’emergenza alimentare del pianeta e la fame nel mondo.
In occasione dell’inaugurazione mattutina abbiamo raggiunto telefonicamente Mimmo Paladino (Paduli, 1948), personalità eclettica e tra i protagonisti indiscussi della storia dell’arte contemporanea e della Transavanguardia. Dalla pittura, alla scultura, passando per l’incisione, la fotografia e anche il cinema, nel corso della sua lunga carriera Paladino ha indagato il “segno” arcaico e antropologico, attraverso un linguaggio sempre affascinante fatto di immagini, rimandi e stilemi sintetici.
A cosa sta lavorando?
Adesso [la mattina del 6 febbraio, N.d.R.] agli ultimi ritocchi dell’obelisco leccese.
Qual è la forza del progetto L’albero della cuccagna?
Per un artista la forza è sempre quella di stupire chi guarda, poi ognuno può trovarci la lettura che preferisce o che più emoziona. Visto il periodo credo che la forza della mostra è prima di tutto nel carattere effimero dell’oggetto che non si impone come una scultura in piazza; poi l’opera deve avere anche la fragilità dell’oggetto, ma non dimentichiamo l’importanza dell’immagine e del segno che devono pescare nella memoria della collettività. Senza dubbio l’oggetto in questione non è autoreferenziale.
La mostra è dedicata anche al coinvolgimento delle giovani generazioni.
Penso che i giovani o meno giovani artisti non debbano mai fare delle opere autoreferenziali. Devono anche saper scendere da una loro ricerca e lavorare su un’immagine che possa diventare veramente popolare. Questo è un processo che già faceva Michelangelo quando realizzava le sue macchine da festa o i fuochi pirotecnici, non faceva di certo la Pietà o la Sistina. Forse oggi il problema è che molti artisti rischiano di ripetere il loro segno diventando autoreferenziali. Alla fine poi uno fa come può!
Di cosa si nutre l’arte contemporanea?
Oggi l’arte è molto più libera, questa libertà nasce alla fine degli anni ’70 quando quella che per noi oggi è libertà espressiva, probabilmente all’epoca non c’era, visto che erano presenti delle forme ideologiche più rigide come l’arte concettuale.
E l’ideologia nell’arte?
Oggi c’è più un interesse verso il sociale, perché no l’arte deve guardare anche ad altre forme purché non diventino una formula accademica e manierista.
L’importanza della pittura nel contemporaneo?
In qualche modo la pittura non è mai uscita di scena. Adesso mi viene in mente il pittore inglese David Hockney che usa la tavoletta dell’iPad e realizza bellissimi lavori. Non è il mezzo che fa la differenza.
Che ricordo ha della Transavanguardia?
Non ho nessun ricordo [ride, N.d.R.], se non quello che è stata ed è un’avventura che continua in ogni caso. Ognuno di noi continua il suo lavoro in maniera coerente. Ci sono dei momenti nella storia in cui si privilegia un pensiero, e in quei tempi si privilegiava l’arte italiana che la Transavanguardia in sé.
I fatti legati alla visita del presidente iraniano dimostrano che il nostro Paese è ancora istituzionalmente e culturalmente arretrato?
Direi che è un’Italia arcaicamente bigotta e ignorante rispetto alle culture altrui. Credo che quel presidente in visita avesse un grado culturale per capire benissimo che in Italia ci sono anche quel genere di sculture greche e romane. Abbiamo fatto passare un capo di Stato per una persona ignorante cosa che sicuramente non è. Chi conosce la cultura iraniana sa bene che ci sono immagini e miniature molto chiare, evidentemente questi signori che hanno accolto Rouhani ignorano molte cose.
La cultura antropologica e il mondo arcaico riescono ancora a scuotere l’immaginario collettivo?
Sono elementi vivi e vanno accuditi, ma non come cimeli di un’antichità ormai remota, ma come realtà vere e autentiche, e anche nelle riletture contemporanee devono restare tali.
E per quel che riguarda la Fòcara di Sant’Antonio a Novoli?
Il falò di Novoli deve restare quello che era all’origine, non può diventare una festa televisiva.
Con la letteratura ha avuto sempre un legame molto forte, cosa ci racconta?
Vero, sono molto legato alla letteratura e, tra le altre cose, prossimamente farò una mostra dei miei disegni sulla letteratura al Palazzo dell’Arengario a Milano.
E con il cinema?
Forse un secondo film, quasi tutto ambientato in Puglia, ma non posso dire altro; un progetto che ho pensato di realizzare fin da prima che la Puglia avesse un successo cinematografico.
Giuseppe Amedeo Arnesano
Lecce // fino al 10 febbraio 2016
L’albero della cuccagna – Mimmo Paladino
a cura di Achille Bonito Oliva
Catalogo Skira
LARGO SANTA CROCE
[email protected]
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