Il caso del Louvre Lens. Potere culturale, soggetti, modernizzazione
Il Guggenheim di Bilbao ha fatto scuola, così come il Dia di Beacon imperdibile sull’Hudson River, voluto dalla Dia Foundation nei suoi programmi di espansione, e anche il progetto Le Moulin di Galleria Continua, altra matrice e altra scala ma figlio della stessa visione. E di una internazionalizzazione della cultura e dell’arte che ridisegna geografie, mappe di senso e di appartenenza delle comunità su cui interviene nella dimensione locale e della community trasversale dei desideri nella dimensione globale.
STRATEGIA E MOBILITÀ
Il Louvre di Lens, per molti versi paradigmatico, intercetta queste intenzioni e si colloca al centro di molte dinamiche virtuose. A partire da una grandeur che è visione, consapevolezza e responsabilità del potere culturale dello Stato e della Nazione ma con un’innovazione strategica del potenziale reale, e non retorico, della cultura come fattore di modernizzazione e traino di un nuovo modello di sviluppo. Il Louvre di Lens, costato oltre 200 milioni di euro, 1 milione di visitatori l’anno, nel momento in cui sceglie di raddoppiare il brand Louvre – con il percepito e lo status che questo significa negli immaginari dell’arte – in un’area in crisi economica e sociale e senza una chiarezza sul proprio modello di sviluppo futuro dopo la crisi del comparto minerario, mette in connessione elementi dirimenti di quella chimica fortunata che ridisegna centralità e marginalità dei territori e dei paesaggi. Con scelte di merito coraggiose, con metodo impeccabile.
Il presupposto della competitività è una tratta della mobilità strategica, l’asse del TGV che peraltro viaggia anche verso l’Eurotunnel e verso quella Calais che sta perdendo i contorni letterari di un finis terrae per assumere quelli dell’esodo e della tragedia migratoria; il format per la definizione del luogo è il concorso internazionale di architettura e paesaggio dell’intera area dal museo, comprensivo di servizi ad alto valore aggiunto come il ristorante e lo spazio per eventi, le aree verdi circostanti chiuse dai quartieri ex operai che fanno da sfondo e da contesto all’operazione; il concept museografico è un’offerta attenta ai servizi transgenerazionali, al territorio e alla sua storia di comunità con un’idea precisa di contemporaneo, fatta di educazione, fruizione, dialoghi che passano per il confronto diretto con il reperto.
UN MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA?
Che il Louvre di Lens sia allora un museo di arte contemporanea? Sì e no. Non lo è in termini filologici, non è infatti tecnicamente concepito per il contemporaneo, inteso come opere che appartengono a un tempo e utilizzano mezzi, linguaggi specifici e riconoscibili – ma del resto la questione è aperta, e le operazioni più sofisticate di questi anni hanno insegnato che il contemporaneo è un dispositivo di cortocircuiti proprio nei templi del collezionismo e della musealizzazione più tradizionale – Capodimonte, British Museum, National Gallery, Metropolitan.
Ma lo è nel momento in cui il sito progettato da SANAA – Kazuyo Sejima + Ryue Nishizawa richiama ai fondamentali della forma e dei significati, a partire dal paesaggio che mescola le texture arboree e i tracciati delle rotaie, memoria legata al carbone che sopravvive come citazione, dai manufatti di recinzione della tradizione artigianale ma cosmopolita, dalle lanterne tecnologiche che accompagnano lo sguardo verso il cielo, dall’asfalto che disegna un paesaggio di sbalzi e convessità con il cemento che si specchia nelle pareti essenziali della struttura, fino alla grande sala dove i millenni coabitano e la modalità espositiva non è tanto sull’oggetto in sé ma sui dialoghi che rimbalzano nelle sequenze libere della fruizione. Senza muri, senza separazioni, senza barriere, tutto è immagine in movimento sulle partizioni e le pareti interne, tutto parla, comunica, tramanda; tutto è aperto, trasparente, percorribile, attraversabile, accessibile; tutto si riflette, si specchia, si moltiplica sulle pareti in alluminio ossidato illuminate dalla luce naturale.
LA STORIA FLUIDA DELL’ARTE
Tutto è memoria e avanguardia insieme, a partire da Le Coulisses, quell’autentica meraviglia che sono le collezioni impaginate nei sotterranei di fronte al guardaroba, è l’intimità della memoria che si rivela improvvisamente come un dono e apre, per i più sfiziosi, al piacere voyeuristico dello sguardo. È l’epifania, la messa in scena dell’archivio, un gesto sofisticato e simbolico che azzera ogni gerarchia nelle funzioni nel museo poiché tutto lo spazio che si offre alla fruizione e alla condivisione parla a noi, hic et nunc, alza la soglia dell’attenzione e costringe a continui salti quantici nel tempo e nello spazio con l’obiettivo di accompagnare la visione totale e le iconografie di quell’infinito contemporaneo che sembra essere l’obiettivo strategico del Louvre di Lens.
Obiettivo che si palesa in tutta la sua opulenza nella Grande Galerie che scardina e destruttura generi, gerarchie, collocazioni spazio-temporali e offre in una promenade interiore 5.000 anni di immaginari, etiche ed estetiche. Allo stesso tempo esposizione con le modalità e i criteri di libertà curatoriali della mostra temporanea, e museo che sceglie tra le sue immense collezioni alcuni pezzi con l’imprimatur dell’istituzione che interpreta se stessa. Messaggio culturale e messaggio politico insieme che rilascia un’idea di potenza oltre che di civiltà. Gli egizi e Delacroix, la Grecia classica e Rembrandt, il Rinascimento italiano, la cultura araba e George La Tour con San Giuseppe Falegname, icona e metafora sul fare e sul trattenere la luce, in totale coerenza col progetto di Lens.
Al visitatore viene offerto di entrare in un tempo circolare dove tutta la parabola umana e culturale è sullo stesso piano, dove tutto assume senso a immanenza, dove esplicito è l’invito alla libertà dello sguardo e delle associazioni, alle connessioni tra le cose del mondo e quelle della storia, tra il particolare e il generale. Uno sforzo di prospettiva che assume il tono di un manifesto politico dove la cultura è strumento di integrazione ed emancipazione vera. Il Pavillon de Verre, così puro e astratto sul paesaggio è un punto di decompressione che completa l’esperienza, la conoscenza, la contemplazione.
UNA (EX) CITTÀ QUALSIASI
Luoghi come il Louvre di Lens chiedono di mettersi in cammino, di attraversare periferie reali e simboliche, di percorrere il margine e approdare in nuove stazioni di posta. Sono luoghi che non fanno sconti a nessuna pigrizia: né a quella che investe in una retorica e dissipata valorizzazione piuttosto che in un ecosistema integrato delle funzioni e dei significati; né a quella di chi insegue rassicuranti sillogismi e allontana la fatica e lo slancio di orientamenti mobili nella complessità del reale. Oggi Lens è un’ex città qualsiasi in profonda rigenerazione – dal punto di vista sociale e residenziale, professionale con un nuovo terziario, attività culturali e commerciali diffuse e una miglior qualità urbana – con una nuova prospettiva e centralità rispetto alle mappe contemporanee. La sua governance multilivello ha messo insieme terra territorio e comunità, e il potere culturale ben usato, a partire dalle matrici dinamiche della memoria e della coscienza di luogo, ha ricreato senso e appartenenza per nuove community – permanenti, temporanee o vocazionali che siano.
Cristiana Colli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati