In memoria di Eugenio Carmi. La terra è fatta di cielo
Era tutto programmato, come nella sua fabbrica di immagini. L’artista genovese, oggi 17 febbraio 2016, avrebbe compiuto 96 anni. Ma ha scelto di non arrivare al giorno del suo compleanno, spegnendosi ieri in una clinica di Lugano, dopo diversi trattamenti chemioterapici. Dopo aver compreso di non esser più in grado di dipingere.
In una celebre poesia, Pessoa decreta: “La morte è la curva della strada / morire è solo non essere visto. / Se ascolto, sento i tuoi passi / esistere come io esisto. / La terra è fatta di cielo”. Ma forse Eugenio Carmi (Genova, 1920 – Lugano, 2016), a questa definizione, non avrebbe aderito; non completamente. Il dato visibile serrato, l’ordinamento percettivo, il rigore della compiutezza, la chimica delle reazioni, tra spazio e forma, avrebbero smantellato, con linearità, la logica estrema di ogni verso. Al quale, a 96 anni, in piena trasparenza, sarebbe stato perfettamente in grado di replicare. Ad eccezione, forse, dell’ultimo verso: “La terra è fatta di cielo”. Frase che, se i quasi cinque mesi di chemioterapia lo avessero guarito, magari lo avrebbe fatto riprendere, riprendere a lavorare e a dipingere. Nuovi appunti, nuovi manifesti, su tela, juta, ma anche acquarelli, carte, latte, sculture, multipli oppure oggetti di design magari blu, magari bruni.
Ma da diverse settimane Eugenio Carmi aveva chiuso lo studio di Porta Romana e aveva cominciato a salutare gli amici. Aveva prenotato la propria eutanasia, con il pieno consenso dei familiari. La vita, indebolendolo, non gli lasciava possibilità di dipingere. Né di vedere oltre.
Negli Anni Quaranta, quando cielo e terra per lui erano separati da un orizzonte, si laurea a Zurigo, in chimica, entrando in contatto con le ultime tracce d’avanguardia. Inizia a dipingere fin dagli anni del liceo e al suo ritorno in Italia comincia a studiare a Torino sotto la guida di Felice Casorati. Fin dall’inizio degli Anni Cinquanta si distingue tra gli esponenti dell’astrattismo italiano, prima con un linguaggio informale per poi giungere alla fine degli Anni Sessanta al rigore delle forme geometriche, asimmetriche. Forme che sviluppa progressivamente nel corso dei decenni successivi. Per giungere ai lavori recenti che, dialogando con le leggi della natura, attraverso interventi materici, sovrapposizioni che riportano nella geometria un certo spirito delle opere degli Anni Cinquanta e Sessanta.
La sua prima mostra personale, curata da Gillo Dorfles, si materializza alla Galleria Numero di Firenze, nel 1958. A partire da quello stesso anno, diventa responsabile dell’immagine dell’Italsider di Genova, fino al 1965. Due anni prima, il 3 settembre 1963, a Boccadasse, assieme ad un gruppo di artisti, grafici, designer, fotografi ed editori come Bruno Alfieri, Kurt Blum, Flavio Costantini, Germano Facetti, Carlo Fedeli, Emanuele Luzzati, Achille Perilli, Kiki Vices Vinci, formano una Cooperativa dando vita alla Galleria del Deposito. La sede era un piccolo magazzino, in precedenza usato come deposito di carbone.
Da non dimenticare il Servizio Programmi Sperimentali della RAI che realizza nel 1973, un programma completamente astratto di 25 minuti. Tra i seminari di arte visiva al Rhode Island Institute of Design di Providence negli Stati Uniti, negli Anni Settanta insegna all’Accademia di Macerata e all’Accademia di Ravenna. Illustra tre favole di Umberto Eco, dopo essere stato selezionato per diverse biennali, tra le quali quella di Venezia: nel 1966 con l’opera di arte cinetica SPCE, e nel 2011.
Poi, dopo aver rieditato nel 2013 Stripsody, presentando il volume presso La Triennale di Milano, e dopo che i suoi lavori sono stati inseriti nelle collezioni della Camera dei Deputati a Roma, del Ministero degli Esteri a Roma, della Quadriennale di Roma e di vari musei in Italia, Germania, Gran Bretagna, Polonia, Stati Uniti, a dicembre 2015 Eugenio Carmi entra al Museo del Novecento. Un focus espositivo, allestito a piano terra, sulla produzione compresa tra il 1957 e il 1963. Una mostra fitta, senza quasi respiro alle pareti, sviluppata a partire dall’opera Appunti, donata al museo nel 2014. Una premonizione, forse, di quanto la terra allora fosse già fatta di cielo.
Ginevra Bria
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