NewYorkBeat #4. Dal nuovissimo MET Breuer al mese delle donne
Focus di questa settimana – e come potrebbe essere altrimenti? – è l'apertura del nuovo MET Breuer, dedicato all'arte moderna e contemporanea. Marzo è però anche il mese in cui negli Stati Uniti si ricordano e si celebrano le donne che hanno fatto la storia. Le pillole sono quindi tutte al femminile.
IL MET BREUER
In una città dove il verbo “traslocare” rientra in una condizione quotidiana di vita che si applica a tutto e a tutti, dagli individui alle attività commerciali, dalle realtà storiche e culturali ai luoghi istituzionali, non avrebbe dovuto destare troppo scalpore la notizia, già annunciata un anno e mezzo fa, dell’apertura della nuova sede del Metropolitan Museum di New York nell’edificio disegnato da Marcel Breuer, storicamente occupato dal Whitney (che, come noto, da più di un anno si è spostato sulla High Line). E non avrebbe dovuto fare neanche troppo effetto rientrare in un luogo-icona di New York, sottratto dalle grinfie di mega corporation e che invece rimane, seppur con un nome diverso all’ingresso, uno spazio destinato all’arte.
Tuttavia, le celebrazioni del nuovo Met Breuer, avvenute durante lo scorso fine settimana in una tre giorni di ingresso gratuito a mostre e performance, hanno reso l’aria sull’isola di Manhattan più straniante di ogni altro marzo. L’evento ha infatti sancito formalmente la fine di un’era, quella del Metropolitan, e l’inizio di un’altra, quella di The Met: un’entità unica che vive di tre musei equamente rappresentati (The Met Cloisters a nord di Harlem, The Met Fifth Avenue nella storica sede dell’Upper East e The Met Breuer per l’arte moderna e contemporanea); che cambia completamente il proprio brand, dal sito internet (più semplice e con contenuti digitali da scaricare) al nuovo logo (ispirato al Tempio di Dendur, essenziale e quadrato, che sostituisce la sofisticata M in uso dal 1971 e il cui disegno era invece basato su una incisione di Fra Luca Pacioli, l’insegnante di matematica di Leonardo da Vinci); e che mette la sua collezione fatta di 5.000 anni di storia dell’arte al servizio della sede del contemporaneo (come si evince dalle parole pronunciate durante la press preview dal direttore Thomas P. Cambell: “Il Met Breuer è un’opportunità unica per vivere l’arte moderna e contemporanea attraverso le lenti a raggio globale e copertura storica della collezione del Met”).
UN AFFACCIO (TIMIDO) SUL CONTEMPORANEO
La nuova politica non piace a molti intellettuali newyorchesi e piovono le critiche dai principali giornali americani, unanimi al grido “perché?”.
Il restyling del Met non lascia dubbi su quanto sia complessa la gestione di un museo e su cosa significhi adottare un’immagine contemporanea (e globale). Tuttavia, anche il contenuto di questa operazione nell’edificio di Breuer non presenta minori difficoltà, tanto che viene da domandarsi se, oggi, anche per uno dei musei più famosi al mondo, stare sulla scena di questo eterno presente implichi necessariamente doversi confrontare con la cultura contemporanea (e i suoi possibili introiti).
Le mostre attualmente on view al Met Breuer sono due: una grande retrospettiva del lavoro dell’artista indiano Nasreen Mohamedi (fino al 5 giugno) e una mostra tematica dal titolo Unfinished: Thoughts left visible (fino al 4 settembre) che occupa il terzo e quarto piano. Quest’ultima, in particolare, rappresenta il manifesto visibile della nuova era The Met: 197 opere dal Rinascimento ai giorni nostri che indagano il tema del “non finito”, ovvero ciò che, per motivi differenti, l’artista non ha potuto o voluto terminare. Un dialogo tra passato e presente esposto in ordine cronologico e che comprende capolavori unici: dalla testa di donna (La Scapigliata) di Leonardo da Vinci ai due busti-autoritratto in cioccolato e sapone di Janine Antoni, dalla Visione di San Giovanni di El Greco alla Linea di lunghezza infinita di Piero Manzoni. E poi Tiziano, Rembrandt, Turner, Cézanne, Rodin, van Gogh, Klimt, Picasso, Warhol, Pollock, Rauschenberg, Feliz Gonzalez-Torres e Marlene Dumas. Fino ad arrivare a una scultura di Urs Fisher, datata 2016.
Nonostante le intenzioni, la mostra non propende purtroppo, come qualità e significato dei lavori scelti, verso il contemporaneo, tema molto più attuale nell’era digitale rispetto alla prima metà del XX secolo. “Uno dei motivi per cui la mostra non arriva al XXI secolo è semplicemente che siamo appena arrivati in questo nuovo spazio. Avrei voluto mostrare 55 lavori ma alla fine era possibile esibirne solo 25. Speravo si potesse fare di più”, spiega Kelly Baum, co-curatrice della mostra e responsabile del Dipartimento di Arte Moderna e Contemporanea. Il passo verso il contemporaneo è dunque ancora timido; ma la rivoluzione del nuovo The Met è ormai iniziata.
PILLOLE AL FEMMINILE
Judy Chicago: la sua The Dinner Party è un’icona fondamentale del femminismo degli Anni Settanta, visitabile al quarto piano del Brooklyn Museum. Mostra un banchetto cerimoniale di forma triangolare sul quale sono dispiegate trentanove apparecchiature diverse, ognuna delle quali celebrano donne importanti nella storia.
Ebony G. Patterson: …When They Grow Up…, una installazione site specific che inaugura questa settimana allo Studio Museum di Harlem e che racconta la violenza commessa contro i giovani ragazzi di colore (incluse le azioni della polizia).
Pia Camil: messicana, classe 1980, porta al piano terra del New Museum un’installazione ambientale e interattiva dal titolo A Pot for a Latch, in cui l’artista ci fa riflettere circa il valore dei beni e il loro scambio non mediato dalla moneta.
Carmen Herrera: cubana, età 100 anni, inaugura alla Lisson Gallery una mostra che espone venti dipinti realizzati negli ultimi due anni e che preannunciano la sua personale che vedremo al Whitney Museum il prossimo autunno.
Berlinde De Bruyckere: la sua mostra da Hauser & Wirth, No Life Lost, espone sculture monumentali immerse nel buio che, tra desiderio e sofferenza, orrore e bellezza, fragilità e forza, speranza e sgomento, riescono a trasmettere una grazia poetica che riesce ad alleviare le rovine del mondo corporeo.
Rebecca Traister: significativa di un certo femminismo prettamente americano, la copertina che le dedica il suo giornale, il New York Magazine, in cui su un dito anulare alzato si legge: “Single woman are now the most potent political force in America”.
Tom Tom Magazine: è l’unico giornale al mondo dedicato esclusivamente alle batteriste donne e il Brooklyn Museum gli ha commissionato l’organizzazione di multiple performance all’interno del museo per il primo sabato del mese.
Veronica Santi
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