500 anni dalla morte di Bosch. Ecco come si organizza una celebrazione
Pensate sia semplice riunire 20 dipinti e 19 disegni di un classico come Jheronimus Bosch? E invece è un gran problema, perché bisogna convincere musei importantissimi a cedere per alcuni mesi i loro capolavori. E portarli in una cittadina olandese. Ecco come ci sono riusciti.
CHI PENSA DI CONOSCERE BOSCH?
Jheronimus Bosch (1450-1516) e il suo immaginario sono inconfondibili, ma se credete di saperne già abbastanza, non illudetevi troppo. Lo dimostra la bellissima mostra di ‘s Hertogenbosch, la sua città natale, il cui nome – improponibile agli italici palati – può essere abbreviato in modo molto coltivato in Den Bosch, antico toponomastico della deliziosa cittadina olandese ospitante la bottega di famiglia.
L’estrema dispersione e frammentazione delle sue opere non hanno impedito la percezione del suo talento e della sua estrema originalità, ma possono restringere la nostra visione del suo mondo e della vastità e portata della sua produzione, della sua eredità e del suo raggio d’influenza.
UNA MOSTRA TESTARDA
Per chi potrà cogliere l’opportunità di questa primavera per visitare i Paesi Bassi, fino all’8 maggio le tappe dovrebbero includere, oltre ad Amsterdam e Den Hague, anche ‘s Hertogenbosch, a un’ora e mezza o meno da Amsterdam, Bruxelles e Anversa, ovvero tutte le città-faro (con Bruges e Gand) del mondo pittorico nederlandese nei secoli XV-XVII.
Perché a pochi isolati dalla piazza in cui era la bottega di famiglia dei Bosch, nel Museo del Brabante del Nord, la capacità organizzativa di un manipolo di olandesi testardi è riuscita ad avere la meglio sullo scetticismo di molti e, dopo otto anni di lavoro, vi sono state riunite quasi tutte le opere note del genio “oltremontano”: 20 dipinti (!) e 19 disegni, da 20 collezioni sparse in 10 diverse nazioni.
L’Italia stessa partecipa a questo imperdibile evento coi prestiti delle due magnifiche opere delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, e ha così beneficiato del loro restauro.
BEST PRACTICE ORGANIZZATIVE
È nella compresenza di tutti i dipinti che si realizza il più classico degli scopi delle mostre monografiche: ricostruire con la maggiore completezza e fedeltà possibile una personalità e un mondo artistico lontani, lasciando una traccia memorabile, senza precedenti, che porti avanti la conoscenza degli specialisti e del pubblico.
Questo obiettivo – a valle di un lavoro lungo e complesso – può dirsi centrato in pieno. Ma, seppur fondamentale, non sarebbe mai bastato agli olandesi di Den Bosch per riuscire a realizzare la mostra. Infatti del maestro non è rimasto nulla nel luogo natale, se non la condivisione del nome.
Nell’Europa della crisi economica e dello status quo, chi era disposto ad ascoltare degli “ambiziosi” che non avevano nulla da dare in cambio? Si è arrivati a questo risultato, coronato da un successo di pubblico impressionante (siamo ben oltre i 360mila biglietti venduti, prenotazione online indispensabile), grazie al progetto di studio, restauro e conservazione BRCP – Bosch Research and Conservation Project, che lo ha nutrito, fertilizzato e fortificato fino a diventare un esempio di buone pratiche scientifiche di enorme significato internazionale. Un modello in grado di integrare con efficacia esigenze di studio e tutela –e condivise dalla comunità di storici, conservatori e tecnici museali – tanto da superare le riserve iniziali dei principali musei mondiali detentori di sue opere, tra cui Prado, Kunsthistorisches di Vienna, Louvre, British Museum, Metropolitan di New York.
Come hanno fatto? Con un team itinerante di una decina di persone – nei ruoli di tecnologo, conservatore, storico dell’arte e fotografo – che ha svolto il lavoro di analisi, raccolta dati e comparazione preliminare, con la partecipazione progressiva di oltre venti musei di Berlino, Bruges, Bruxelles, Francoforte, Gand, Lisbona, Londra, Madrid, New Haven, New York, Parigi, Rotterdam, Venezia, Washington e Vienna.
NAVIGARE SOTTO I DIPINTI
Un esempio dei risultati? Navigando all’interno del sito, chiunque può vedere l’immagine dei due trittici di Venezia, sia in HD alla luce naturale che agli infrarossi (foto IR e riflettografia) facendo scorrere la tendina del Syncronised Image Viewer, che mostra il disegno preparatorio soggiacente. È così che si vedono i pentimenti “in corso d’opera” del Trittico dei Santi Eremiti, ovvero le grandi figure dei committenti eliminate nella versione finale.
Rendere disponibili documenti tecnici di questa qualità potrebbe e dovrebbe essere tra gli obiettivi di alcuni centri pubblici di ricerca per i prossimi anni. Siamo anni luce dal 2000, quando un potente direttore di ricerca strabuzzò gli occhi dicendo che “nella pittura italiana c’è molto meno disegno soggiacente su cui poter indagare”. Spezzò le speranze di eccellenti ricercatori, oggi emblematico e “memorabile” episodio della miopia del nostro sistema. Il lavoro di questi olandesi insegna ai nostri giovani che – se ci si trova in un’area difficile, arretrata o che non si confronta con l’energia degli innovatori – la tenacia è una virtù fondamentale.
CINQUE OBIETTIVI RAGGIUNTI
La mostra di Bosch è il frutto più evidente degli avanzamenti generati da un fecondo incontro fra tecnologie scientifiche applicate ai beni culturali e progettazione culturale e storico-artistica. Riesci così a centrare cinque obiettivi. Corregge definitivamente l’immagine stereotipata del Bosch pittore grottesco e diabolico per lasciare spazio alla sua “visione” realistica e critica dei difetti, degli errori e dei vizi dell’umanità. Ha permesso – grazie all’imprevedibile interazione costruita nel tempo fra il team itinerante del BRCP e i musei proprietari delle opere – di studiare in modo collaborativo decine di opere certe o attribuite, facendolo in modo condiviso o discusso, aumentando così considerevolmente le conoscenze specialistiche e generali sul pittore, sulla sua opera e sui metodi. In terzo luogo, ha portato a definire meglio i limiti di alcune attribuzioni precedenti, affinando metodi scientifici di determinazione dell’autenticità in questo ambito. Ha riunito – come solo le grandi mostre possono fare – opere disperse, che riacquistano tutto il loro significato solo se viste nella loro ricomposizione filologica. Infine – ed è il più grande dei suoi risultati – ha portato a collaborare, superando barriere nazionali e interessi pseudo-culturali e pseudo-scientifici, musei e specialisti davvero attivi nelle “scienze culturali” di cui sono rappresentanti, mettendole a disposizione del grande pubblico europeo e mondiale.
Laura Traversi
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