Artisti da copertina. Claudia Ponzi
Ebbene sì, anche noi abbiamo ceduto ai famigerati gattini, quelli che in passato facevano tanti numeri sui social network. Gattini d'artista, però. Qui trovate l’intervista a Claudia Ponzi, colei che ci ha convinto a mettere un felino sulla copertina di Artribune Magazine #30.
Padovana, classe 1988, Claudia Ponzi sogna di fare l’artista fin da piccola. Con performance, video, fotografie, fiabe e disegni, ma soprattutto con gesti e azioni semplici – come lasciare un girasole sui tetti delle macchine in una via cittadina – mette in luce le fragilità del vivere nell’era dell’iperconnessione digitale. La sfera intima e quella sessuale sono trattate con naturalezza, senza tabù, e con altrettanta leggerezza sono indagati i ruoli identitari, i cliché e le convenzioni. Alla base di ogni sua opera, ci dice l’artista, “l’emozione è messa in discussione e avviene una comunicazione in cui la testa scende a compromessi con il cuore per esporre parti di noi che forse neanche conosciamo”.
Che libri hai letto di recente?
Ho finito di leggere da poco La profezia della curandera di Hernán Huarache Mamani e mi hanno appena regalato Albina o il popolo dei cani di Alejandro Jodorowsky.
Che musica ascolti?
Uso la musica per svuotare la mente. Ascolto Snatam Kaur, Ludovico Einaudi, musica italiana e anche l’electro swing, ma mi piace cambiare.
I luoghi che ti affascinano.
Vorrei andare a vedere le piramidi in Egitto e camminare nella riviera Maya in Messico. Cerco luoghi che mi affascinano anche nella quotidianità, come piccoli parchi un po’ nascosti, frequentati principalmente dai padroni di cani.
Le pellicole più amate.
Mi piacciono molto i cartoni animati perché riescono sempre a commuovermi. Blue di Derek Jarman mi ha fatto viaggiare più e più volte.
Artisti (nel senso più ampio del termine) guida.
Senza dubbio: Félix González-Torres ma anche Jiří Kovanda e Janet Cardiff.
La prima cosa che è emersa nell’osservare il tuo lavoro è stata una sorprendente sincerità.
Penso sia una mia caratteristica l’essere schietta e sincera, quindi sono felice che questo riesca a emergere anche dal mio lavoro. M’interessa inserire questi due elementi in modo spontaneo, senza forzature.
Gesti semplici e inconsueti, come lasciare un girasole sui tettini delle macchine, rappresentano una sorta di “mappatura” dell’emozione. Penso alle reazioni di chi trova il tuo fiore sulla propria auto.
Non avevo mai pensato ai miei lavori come a una “mappatura” dell’emozione, ma mi piace che si possano guardare così. Mi piace trascinare il pubblico dentro i miei spazi emozionali, cercando di creare una relazione. Nel lavoro dei girasoli, pur avendo cercato di nascondermi, molti passanti capivano che ero stata io. Infatti, alcuni m’inseguivano chiedendomi se potevano portarne via uno, altri invece furtivamente lo prendevano e magari spostavano l’installazione da un’altra parte del quartiere.
Mi sarei aspettata anche qualche reazione infastidita dalla mia azione, invece un anziano signore mi ha dato coraggio perché guardando il lavoro si è complimentato ed è andato via.
Dagli abbracci delle persone a te vicine passando a confidenze di esperienze e fantasie sessuali o modi di masturbarsi, che cosa li accomuna?
Quello che accomuna tutto il mio percorso è una ricerca sull’intimità nella relazione. È come se cercassi d’indagare quella sfera, ma in un’accezione più ampia, cercando di comprenderla nella sessualità, nella famiglia e nell’infanzia. C’è un desiderio in me di conoscere e guardare liberamente la realtà, cercando di andare oltre qualsiasi preconcetto mentale.
L’amore, in tutte le sue sfaccettature, ha un peso rilevante nel tuo lavoro.
L’amore per me è una sorta di guida che gestisce le mie emozioni e che mi spinge verso una direzione piuttosto che un’altra. Anzi, per me questo sentimento è proprio come una musa ispiratrice, come una voce interiore, che in tutte le difficoltà cerco di ascoltare.
Un altro elemento importante è il gioco.
Il gioco è un elemento indubbiamente importante, ma è anche una dimensione nuova per me, che sto cercando di approfondire sempre di più. In parte tendo a volermi trasformare in un bambino che gioca a creare nuovi lavori, un po’ in me c’è il desiderio di far accedere lo spettatore alla sua parte infantile.
Ti affascina la figura del cantastorie. Hai anche scritto una favola, raccontandola in prima persona in un video.
Il cantastorie m’interessa perché è quell’elemento che gioca tra finzione e realtà, tra l’utopia e gli spazi apparentemente utopici che esistono in alcune piccole realtà quotidiane che cerco di inseguire.
Indaghi la sfera intima, sessuale e identitaria con naturalezza, quasi sfrontata, senza tabù. Che cosa t’interessa evidenziare?
Vorrei creare delle realtà senza tabù, luoghi liberi e oggi apparentemente utopici. In proposito ho scritto molte storie, ma quelle che ho deciso di rappresentare in video sono le più esplicative; infatti entrambe raccontano delle realtà già esistenti. M’interessa trovare modi per guardare la realtà da nuove prospettive e quindi attraverso la narrazione. Cerco di creare piccoli capovolgimenti sociali.
Com’è nata l’immagine inedita che hai creato per la copertina di questo numero?
L’immagine che ho scelto per la copertina racconta un frammento di una delle storie che ho creato, raccogliendo piccoli segreti della quotidianità.
Daniele Perra
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #30
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