Dialoghi di Estetica. Parola a Lorenzo Bartalesi

Lorenzo Bartalesi è Marie Curie Fellow presso l’EHESS – École des hautes études en sciences sociales di Parigi. I suoi principali oggetti di ricerca sono le nuove prospettive interdisciplinari dell’estetica contemporanea (psicologia cognitiva, evoluzionismo, antropologia). In questo dialogo ci siamo soffermati sugli sviluppi delle ricerche estetiche in rapporto alle scienze cognitive e in particolare sulle specificità dell’estetica evoluzionistica.

Consideriamo il rinnovamento dell’orizzonte epistemologico dovuto alla possibilità di una naturalizzazione del sapere umanistico. Come si sta trasformando l’estetica filosofica in rapporto a discipline quali le scienze cognitive, la biologia evoluzionista, le neuroscienze?
Ammesso che si possa parlare di una vera e propria trasformazione, essa assomiglia a un movimento di ritorno nella direzione di un recupero dell’aisthesis, nucleo antico della riflessione greca sul sentire e il percepire. Il principale effetto positivo di tale ritorno è la tematizzazione diretta di un ambito problematico dell’esperienza umana e l’abbandono, tanto auspicato da Emilio Garroni, di un’idea puramente specialistica e disciplinare dell’estetica.
Il dialogo con le scienze cognitive, l’antropologia evoluzionistica e le neuroscienze ha in questo senso un effetto benefico di ringiovanimento per l’estetica filosofica che torna ad essere una più estesa interrogazione sulla possibilità stessa di un’esperienza in generale. La sintesi tra l’attuale naturalizzazione del sapere umanistico e l’originaria natura dell’interrogazione sull’aisthesis  ricolloca i fatti estetici nel registro comportamentale e cognitivo umano con l’effetto di sottrarli tanto a una loro marginalizzazione a dimensione idiosincratica, puramente affettiva, dell’agire umano quanto ad una loro risoluzione in un discorso critico sulle arti.

Come si caratterizza il nesso tra estetica e naturalismo, e che approccio richiede?
Una caratterizzazione riduzionistica del nesso tra estetica e naturalismo, dominante negli approcci naturalistici contemporanei, ha portato a trascurare non solo la dimensione normativa dell’estetico ma il suo stesso diversificarsi in preferenze e pratiche culturali. Credo pertanto sia utile interrogarsi anche sugli effetti di una considerazione dell’aspetto irriducibilmente qualitativo dell’estetico sulle attuali strategie di naturalizzazione della cognizione umana. Questo con lo scopo di produrre un ulteriore movimento di recupero, stavolta nel campo problematico del naturalismo.
Una ritrovata attenzione alla sintesi di disposizioni cognitive e pratiche culturali in atto nell’intonazione estetica di ogni esperienza, ci riporterebbe, infatti, ad adottare una forma di naturalismo rispettoso dei diversi livelli emergenti in gioco nella cognizione umana. Un naturalismo antropologico non riduzionista coniato sull’esemplarità dell’estetico come quello proposto, ormai un secolo fa, da John Dewey, primo tra i naturalisti a definirsi tale.

Charles Darwin

Charles Darwin

Che cos’è l’estetica evoluzionistica e quali sono i suoi assunti principali?
Conviene ricordare che con la formula “estetica evoluzionistica” non si deve intendere una nuova (sotto) disciplina bensì l’applicazione della spiegazione evoluzionistica ai fatti estetici. Nonostante non esista ancora un programma di ricerca coerente e condiviso, vi sono comunque almeno tre assunti principali cui ogni modello teorico aderisce.
In primo luogo, l’estetica evoluzionistica si colloca all’interno della teoria darwiniana dell’evoluzione per selezione naturale e assume, anche criticamente, l’ipotesi di Darwin che la scelta sessuale animale rappresenta, almeno in quanto funzione primaria, l’adattamento originario da cui è emersa l’estetica umana.
Come per ogni altro sistema biologico, inoltre, anche la spiegazione evoluzionistica dell’estetico si compone di due momenti: una ricostruzione evolutiva dei passaggi che hanno condotto all’emergenza di un meccanismo estetico della cognizione animale (cause remote) e una descrizione funzionale dei meccanismi cognitivi e neurologici alla base dei comportamenti estetici (cause prossime).
Infine, una concezione autenticamente darwiniana è dinamica e storica. L’attitudine estetica umana dev’essere pertanto descritta come il prodotto di processi filogenetici (emergenza di una cognizione estetica), ontogenetici (adozione di meccanismi estetici di manipolazione della risposta emotiva nelle prime fasi dello sviluppo) e storici (differenziazione di preferenze estetiche e d’interazione espressiva all’interno di una nicchia culturale).

Quale tra queste tre dimensioni del processo evolutivo potrebbe rivelarsi fruttuosa per nuovi possibili scenari della ricerca contemporanea?
Per il suo fare riferimento a dinamiche culturali complesse ed emergenti, lo studio dei processi storici di formazione delle preferenze estetiche e delle pratiche espressive a funzione estetica è al momento un ambito inesplorato dall’estetica evoluzionistica. Credo che uno studio dei meccanismi epigenetici e di trasmissione dei tratti culturali costituisca al contrario uno degli orizzonti di ricerca più promettenti per comprendere il ruolo giocato dai comportamenti estetici nella nostra storia evolutiva.

Lorenzo Bartalesi, Estetica evoluzionistica, Carocci 2012

Lorenzo Bartalesi, Estetica evoluzionistica, Carocci 2012

Nonostante le indagini evoluzionistiche sui fatti estetici non convergano in un paradigma unitario tu hai osservato che, in base all’attenzione posta sulla genesi e l’evoluzione degli standard estetici umani, l’estetica evoluzionistica poggia su due modelli: preferenziale ed espressivo. Potresti spiegarci quali sono le loro caratteristiche?
Il modello preferenziale – dominante nel dibattito contemporaneo almeno a partire dal volume curato da Voland e Grammer, Evolutionary aesthetics (2003) – si concentra sui meccanismi di preferenza sessuale e ambientale. La relazione estetica è ricondotta alle preferenze estetiche come quei processi basilari della percezione che nell’evoluzione umana hanno assunto una rilevanza estetica per il loro valore adattivo e riproduttivo e si sono per questo stabilizzati in «canoni» estetici innati (caratteristiche corporali come la simmetria del volto o ambientali come la presenza di acqua e vegetazione). Il risultato è una concezione dell’evoluzione dell’estetica umana fortemente riduzionistica e incapace di rendere conto della molteplicità delle realizzazioni culturali.
Il modello espressivo – rappresentato seppur da prospettive diverse dai lavori di Ellen Dissanayake e Fabrizio Desideri – pone l’attenzione sul valore adattivo di quei processi percettivi da cui si originano esteticamente configurazioni di senso nell’emergenza di una soggettività in connessione con una nicchia culturale. Il modello espressivo insiste quindi sul carattere affettivo, pre-simbolico e multimodale della cognizione umana. Per le ricerche che si collocano in questa prospettiva, il paradigma di relazione estetica è rappresentato da alcune attività relazionali svincolate da reazioni adattive all’ambiente come il gioco o la comunicazione madre-figlio (baby talking).

Pensi che l’integrazione di questi due modelli potrebbe essere vantaggiosa?
Nonostante il quadro fortemente riduzionistico, le ricerche che assumono un modello preferenziale di estetico hanno dimostrato buone capacità predittive e hanno prodotto risultati sperimentali in grado di delineare una rappresentazione affidabile e coerente di quelli che Eibl-Eibesfeldt chiama i “pregiudizi specie-specifici della percezione con rilevanza estetica”. D’altra parte, il modello espressivo riesce a implementare un maggiore numero di fenomeni in un livello di complessità crescente, risultando più adeguato di quello preferenziale a rendere ragione di un carattere etologico complesso come l’estetico, sintesi di meccanismi cognitivi, reazioni affettive, preferenze, dinamiche di apprendimento e memorizzazione, produzione di artefatti, creazione di mondi finzionali. Ne consegue che un’integrazione dei due modelli sia necessaria.
D’altronde è lo stesso comportamento estetico animale che, nel corso dell’evoluzione, si è fatto sempre più complesso arrivando con la produzione artistica e la sensibilità estetica umana a svincolarsi dall’originaria funzione adattiva diretta. Il modello espressivo, estendendo la nozione di estetico a forme di relazione espressiva pre-simbolica come il gioco o il baby talking, permette di estendere il paradigma evoluzionistico al di là dei meccanismi di preferenza sessuale e ambientale e di focalizzare l’attenzione, in un’ottica di pluralismo evolutivo, sulle possibili molteplici funzioni assunte dal sense of beauty animale nel corso dell’evoluzione.

Venere di Hohle Fels

Venere di Hohle Fels

Vorrei soffermarmi sul sense of beauty e la selezione sessuale. Che ruolo hanno nel quadro dell’estetica evoluzionistica contemporanea?
Nella teoria darwiniana sense of beauty e teoria della selezione sessuale si sorreggono reciprocamente: il desiderio sessuale rappresenta la condizione di base del piacere estetico e la bellezza è il modo con cui tale desiderio si attiva.  Ciò nonostante, il problema più spinoso per la teoria della selezione sessuale è da sempre l’attribuzione di un gusto estetico quasi umano alla scelta femminile animale: possiamo davvero affermare che la femmina del fagiano argo sia in grado di «giudicare bella» la coda del suo partner riproduttivo? Tale questione fu al centro di un’accesa polemica con il co-scopritore della teoria dell’evoluzione naturale, Alfred Russel Wallace, il quale rifiutava la scelta estetica femminile come un’antropomorfizzazione di una reazione automatica all’accoppiamento spiegabile nei termini della selezione naturale.
Nonostante l’importante lavoro di Ronald Fisher sulle preferenze estetiche sessuali come caratteristiche biologiche ereditabili (1915), una soluzione al problema del senso estetico animale rimane disattesa sino agli anni ottanta quando finalmente la scelta estetica femminile è considerata una reale forza selettiva all’opera nell’evoluzione delle specie. Oggi l’importanza della scelta estetica è un fatto assodato e l’attenzione dei biologi è tutta concentrata sulla questione dei criteri attraverso i quali si esercita una preferenza: perché, in altre parole, le femmine scelgono come scelgono? Ma anche tale questione sembra dare origine a un vivace dibattito tra una soluzione propriamente estetica – le femmine scelgono facendosi guidare esclusivamente dal loro senso del bello che coevolve con i tratti esteticamente attraenti (Prum 2012) –, e una utilitaristica, secondo la quale la bellezza ha la sola funzione di indicare un migliore equipaggiamento genetico (Voland 2003).
In questa che potrebbe sembrare una semplice disputa accademica si cela tuttavia una questione decisiva per l’estetica evoluzionistica contemporanea ovvero l’autonomia dell’estetica animale.

Benché non sia il suo principale oggetto d’indagine, anche l’esperienza dell’arte può essere spiegata alla luce dell’estetica evoluzionistica ponendo particolare attenzione alla finzione e alle nostre risposte immaginative. Puoi dirci qualcosa di più su questi argomenti?
Se guardiamo all’estetica evoluzionistica con la cautela metodologica di Darwin e la parsimonia concettuale propria di ogni procedere scientifico non possiamo non condividere con paleoantropologi, archeologi e antropologi un forte scetticismo circa il valore euristico della nozione di “arte” per la spiegazione evoluzionistica. Tuttavia, non possiamo negare che, almeno da 35.000 anni (questa la datazione della celebre Venere di Hohle Fels), la produzione di artefatti a funzione estetica costituisca una componente cruciale della nostra evoluzione. A partire dal Paleolitico, la nicchia ecologica umana si è, infatti, progressivamente arricchita di eventi e oggetti capaci di intrappolare lo sguardo dell’individuo, di rendere più efficace e speciale un comportamento ritualizzato, di intensificare la relazione con il nostro ambiente di adattamento evolutivo.
Tradizionalmente si pensa l’origine dell’arte come un rinascimento paleolitico prodotto da una misteriosa eplosione creatrice nell’evoluzione umana. Oramai siamo certi che questa ricostruzione sia errata, debitrice di un modello specifico di produzione artistica di inspirazione hegeliana. Una maggiore comprensione del ruolo svolto dai comportamenti estetici, ben più antichi evolutivamente della figurazione, ci aiuterebbe a disegnare un quadro di emergenza della produzione artistica ben più complesso e articolato.

Lorenzo Bartalesi

Lorenzo Bartalesi

In questo senso, quale potrebbe essere una proposta alternativa?
Potremmo ipotizzare che l’attivarsi di un rapporto co-evolutivo tra l’attività espressiva e i processi percettivi abbia coinvolto le capacità fondamentali della cognizione umana (molte delle quali condivise con gli altri primati come l’attenzione, la categorizzazione, la memoria, l’apprendimento ecc.) favorendo l’emergere di nuovi comportamenti (danza, musica) e rendendone altri più efficaci e complessi (attività mimetiche, immaginazione, linguaggio). Homo aestheticus sarebbe in questo modo un antenato di Homo symbolicus e l’arte costituirebbe di fatto una componente cruciale dell’evoluzione culturale umana.

Davide Dal Sasso

http://cral.ehess.fr/index.php?582
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Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso è ricercatore (RTD-A) in estetica presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca. Le sue ricerche sono incentrate su quattro soggetti principali: il rapporto tra filosofia estetica e arti contemporanee, l’essenza delle pratiche artistiche, la natura del catalogo…

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