È l’anno di Lisbona. Apre il museo MAAT
Doppio appuntamento architettonico a Lisbona quest’anno. In autunno c’è la quarta edizione della Triennale di Architettura. Mentre da giugno si potrà visitare il nuovissimo museo MAAT. Se dovete programmare una gita lusitana, ecco due buoni motivi.
UNA BIENNALE E UN MUSEO
Il 2016 è l’anno di Lisbona, per almeno due motivi. L’autunno vedrà l’apertura di The Form of Form, la quarta edizione della Triennale di Architettura, curata da Diogo Seixas Lopes (tragicamente scomparso lo scorso febbraio) e André Tavares. La prima ragione ci conduce velocemente alla seconda, anche all’insegna delle collaborazioni: l’inaugurazione, sempre nell’autunno, di un nuovo museo privato che vede nell’incrocio e nel dialogo tra le discipline la sua punta di diamante. Si tratta del MAAT – Museu de Arte, Arquitectura e Tecnologia della EDP Foundation, istituzione privata non profit appartenente al gruppo EDP – Energias de Portugal. Il museo, che avrà sede nel quartiere di Belém di fronte al fiume Tejo in un edificio progettato dallo studio inglese Amanda Levete Architects (qui trovate l’intervista alla titolare dello studio), sarà condotto da Pedro Gadanho.
ECCO IL PROGRAMMA DEL MAAT
L’architetto portoghese, di ritorno da una luminosa esperienza triennale come curator for contemporary architecture al MoMA di New York, ci ha raccontato in anteprima le linee distintive del suo programma, che ha il pregio di muoversi agilmente tra diversi linguaggi, creando risonanze e connessioni. Un approccio cruciale per approfondire e comprendere a fondo i molteplici aspetti della cultura contemporanea in relazione alla più avanzata tecnologia. “Il MAAT”, spiega Gadanho, “presenterà ogni anno una main exhibition in cui artisti e architetti internazionali si confronteranno sui temi fondamentali del presente, a partire dalla mostra ‘Utopia Distopia’. Un terreno di riflessione fluida, senza barriere, sulle visioni utopiche architettoniche e artistiche intorno alla città dagli Anni Sessanta-Settanta a oggi da un lato, e un pensiero critico sulla distopia contemporanea dall’altro, dove spiccano nomi come Cao Fei, Didier Faustino, Wai Thin Tank, Archigram, Superstudio, Constant e Aldo Rossi e molti altri che potremo svelare più avanti”.
A giugno probabilmente, quando ci sarà un’apertura anticipata degli spazi espositivi a cantiere ancora aperto, con quattro mostre costruite da un team di sole venti persone a cui di volta in volta si assoceranno personalità e professionalità esterne, garantendo vivacità all’istituzione. Sarà basata su una lettura della vasta collezione di arte contemporanea portoghese della EDP Foundation, Second Nature a cura di Gadanho e Luisa Especial. Segnerà invece l’inizio di una collaborazione con la Whitechapel Gallery il progetto Artists’ Film International curato da Inês Grosso e aprirà un varco alla fotografia la personale del portoghese Edgar Martins, a cura di Sérgio Mah. Infine l’itinerante Lightopia, promossa dal Vitra Design Museum, analizza l’impatto rivoluzionario della luce elettrica su design, arte, architettura e molte altre discipline. Una ricerca più che pertinente, anche perché queste prime mostre saranno ospitate dal Museu da Electricidade dell’antica centrale termoelettrica della città, a cui il MAAT è connesso.
IL PROGETTO ARCHITETTONICO
L’area museale progettata dalla Levete, adiacente alla Centrale Tejo, si estende per 7mila mq e prevede un edificio che sia prima di tutto uno spazio pubblico. Il focus del progetto è infatti la copertura che si snoda nell’ambiente come un lembo di paesaggio ed è vivibile e percorribile. Costituisce un ponte di collegamento tra il lungofiume e il centro storico, ricucendo il brusco distacco generato dalla ferrovia sottostante. Il complesso architettonico dialoga con la presenza del fiume Tejo attraverso il vibrante e complesso rivestimento in calçada – la ceramica utilizzata tradizionalmente per i pavimenti portoghesi – che crea echi e riflessi tra acqua, luce e ombre, catturando ed esaltando i caratteri cromatici e paesaggistici del sito.
Amanda Levete, in un’intervista recentemente rilasciata a Matteo Costanzo per Artribune.com, osserva come i musei siano soprattutto punti d’incontro, dove le persone vanno per stare insieme, condividere esperienze, interessi e conoscenze. Per questo, il ruolo dell’architetto nel disegnare la sede di un’istituzione culturale è quello di dar vita a spazi pubblici di elevata qualità dove le persone possano sentirsi a proprio agio.
D’altra parte, quando apre un museo, la speranza è che possa essere come lo descriveva Sam Francis a Pierre Schneider. Un po’ come il suo atelier a Santa Monica: un enorme magazzino, aperto a chiunque avesse voglia di lavorarci o dedicarsi a qualsiasi altra attività, come fosse una piazza, un luogo di incontro. “I musei”, si legge nella sua intervista pubblicata nel libro Louvre, mon amour (Johan & Levi, 2015), “dovrebbero somigliare alle strade. Dovrebbero stare aperti tutto il tempo. Nessuna mistica, nessuna valorizzazione. Nulla che proclami: ‘Questo è un capolavoro’. Le cose stanno lì, nient’altro. Un grande luogo in cui stanno le cose, in cui le si può notare o no – ecco la mia idea di museo. […] Un posto in cui chiunque possa fare quello che vuole”.
Emilia Giorgi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #29
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