The Audubon Mural Project. Ovvero la Street Art a Harlem
Ieri vi abbiamo raccontato come sta cambiando Harlem. E tra i fattori del cambiamento c’è anche la Street Art. Come e perché ve lo raccontiamo qui, con l’intervista a Federico Massa, aka Iena Cruz, uno dei protagonisti dell’Audubon Mural Project.
Si chiama The Audubon Mural Project ed è un progetto di Street Art che Avi Gitler porta avanti con la National Audubon Society nella zona settentrionale di Harlem. Un progetto di ampio respiro, di cui abbiamo parlato con uno dei suoi protagonisti, l’italiano Federico Massa, aka Iena Cruz.
Cos’è The Audubon Mural Project e quale animale hai disegnato tu?
Il progetto è basato sulla rappresentazione di volatili in pericolo di estinzione. L’uccello che ho scelto si chiama Tricolored Heron.
Com’è avvenuta l’assegnazione? Conoscevi l’uccello prima di disegnarlo?
Avi Gitler, responsabile del progetto, mi ha consegnato una lista e mi ha chiesto di sceglierne uno. Così ho incontrato il Tricolored Heron, un volatile dal collo molto slanciato e un becco appuntito molto lungo, di colore giallo. Questi uccelli si cibano principalmente di insetti e crostacei e si possono immergere a grandi profondità per catturare le loro prede. Conoscevo già questo volatile, la sua fisionomia e i suoi colori mi hanno dato l’ispirazione giusta per la tipologia di parete che mi è stata assegnata.
Raccontaci il tuo muro.
Nella mia composizione si possono vedere tre Tricolored Heron: due di loro stanno lottando per una preda, mentre un terzo appare quasi interamente sommerso dall’acqua. In questo lavoro ho voluto affrontare la tematica della sopravvivenza ed esaltare la natura, cercando di ricreare l’habitat naturale del Tricolored Heron. Piante, granchi e insetti aiutano a catapultarci dentro questo mondo. In realtà, anche se la composizione sembra molto serena e pacifica, piena di colori vibranti e accesi, un triste messaggio si nasconde dietro la mia composizione.
Lo scioglimento dei ghiacciai, che è solo uno dei problemi causati dal riscaldamento globale, sta creando l’innalzamento del livello dell’acqua, e così i miei tre poveri volatili continuano inermi la loro vita pagando le conseguenze degli errori del comportamento umano.
Quanto è grande il tuo muro e quanto tempo hai impiegato per farlo?
Il muro è alto sei piani e ho impiegato nove giorni per realizzarlo.
Che importanza ha il tema del cambiamento climatico nel tuo lavoro?
Il cambiamento climatico è una costante tematica dei miei lavori degli ultimi anni. La stupidità continua dell’uomo in quanto macchina distruttrice di questo ecosistema mi sta spingendo sempre di più a schierarmi dalla parte della natura e degli animali stessi, cercando di dare una voce a chi voce in capitolo non ne ha, a chi come loro si trova costretto a migrare dal proprio habitat rischiando l’estinzione ogni giorno. Credo che per un artista sia importante cercare di focalizzarsi su tematiche che lo tocchino nel profondo.
Com’è stato dipingere in un quartiere come Harlem?
Harlem, come del resto tutta New York, è un’area in continua evoluzione. Mentre dipingevo la mia parete, una grossa produzione cinematografica, pare diretta da Martin Scorsese, stava trasformando le strade di Amsterdam Avenue per realizzare una nuova HBO series ambientata nel 1970. Io osservavo l’evolversi della situazione avendo una vista privilegiata, in cima alla mia gru. In una settimana ho visto cambiare completamente Amsterdam Avenue, dalle facciate dei palazzi agli interni dei negozi, vecchie cabine telefoniche e macchine d’epoca sono stati lo scenario che mi circondava mentre realizzavo la mia parete. Tutto il quartiere era in visibilio ed entusiasta di questa grande novità, molti mi chiedevano: “Pure tu lavori per il film? È per questo che stai dipingendo questa parete? Ma ti pagano?”. È una domanda costante, a cui ormai ho fatto l’abitudine. Così, mentre spiegavo il mio progetto, facevo amicizie nel quartiere.
Quale impatto credi possa avere questo progetto?
Il muralismo, in un’altra forma, è sempre stato presente in questi quartieri e ve ne sono ancora molte tracce. The Audubon Mural Project aiuterà ad ampliare qualcosa che è sempre esistito qui, utilizzando sicuramente tematiche differenti ma apportando molto a livello culturale. La zona è stata scelta proprio come omaggio a Jhon James Audubon, originario di queste parti, ma a mio parere questo è un progetto che va oltre il quartiere. Sono fiducioso del fatto che crescerà e spero possa espandersi, portando il messaggio in altre zone e altre città.
Quali sono state le reazioni delle persone del quartiere?
La gente era molto scettica al principio, quando ho cominciato a tracciare il disegno e per i primi i due giorni: non si capiva quello che stavo realizzando. Una signora mi ha chiesto: “Perché fai questi graffiti? Ma non lo sai che questo è un palazzo storico? Come puoi rovinarlo così? Ma poi… ce l’hai il permesso?”. Ero coperto di pittura dalla testa ai piedi, ho guardato prima la gru davanti a me, credo la più grossa che abbia mai guidato finora, e poi le ho risposto: “No signora, non ce l’ho il permesso, sto facendo tutto illegalmente”. Lei si è infuriata. Io ho riso e poi le ho spiegato il progetto e le ho promesso che sarebbe tornata lei stessa a dirmi che il lavoro era bello, che sarebbe stata la prima a goderselo tutti i giorni, visto che abitava in quello stesso palazzo. Giorno dopo giorno l’espressione della signora cambiava: era sempre più felice, e alla fine mi pure fatto un augurio, “god bless you”. Devo ammettere che è stata una bella soddisfazione…
Parliamo del tuo lavoro. Hai fatto moltissimi muri a New York e il tuo stileè in continuo cambiamento, cosa rara fra gli street artist. In che direzione stai andando?
Sono in continua evoluzione in quanto sono in continua ricerca del mio linguaggio. Mi accontento poco e magari mi sottovaluto anche un po’, ma questo mi aiuta a cercare di dare sempre il meglio e di superarmi. Posso dire di essere in perenne competizione con me stesso.
Veronica Santi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #30
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