Lettera dal de Appel (in tempo di crisi)
Se le cose non vanno, trova la tua strategia per reagire. E magari facci una mostra. È il riassunto di un’edizione un po’ tribolata del Curatorial Programme del de Appel arts centre, dopo il licenziamento del direttore Lorenzo Benedetti. Mesi particolarmente intensi, raccontati da chi li ha vissuti in prima persona.
UN ANNO AL DE APPEL
Ad Amsterdam oggi c’è il sole. Sono passati più di otto mesi da quando sono arrivata nella capitale olandese per frequentare il Curatorial Programme del de Appel arts centre ed è una rarità di cui ancora mi stupisco. Eppure la bella stagione sembra essere arrivata anche qui.
Con le sue ventuno edizioni, il CP è uno dei programmi per la formazione curatoriale più antichi d’Europa. Un training che riunisce ogni anno sei giovani curatori da ogni parte del mondo riempiendo per dieci mesi la loro agenda con viaggi, incontri con artisti e curatori, studio visit, conferenze, lecture e con la realizzazione di una mostra al de Appel. Un’esperienza che definire intensa è riduttivo, al punto che spesso si fa quasi fatica a immagazzinare la mole di informazioni che arrivano ogni giorno.
IL LICENZIAMENTO DI BENEDETTI
Tutto ha inizio alla fine del mese di agosto 2015: neanche il tempo di cominciare e siamo subito in partenza per l’inaugurazione della biennale di Istanbul e poi per quella di Lione. Dieci giorni in viaggio in cui abbiamo cominciato a conoscerci, correndo da un appuntamento all’altro, mentre la lista delle persone da incontrare si infittiva e le stelle sulle nostre mappe si moltiplicavano. Al nostro ritorno, l’evento che mischia tutte le carte in tavola: ci comunicano che Lorenzo Benedetti è stato licenziato. Una comunicazione secca, senza spiegazioni aggiuntive (non arriveranno neanche nei mesi a seguire) che ci lascia storditi.
In pochi giorni tutto il sistema dell’arte olandese si scatena in supporto dell’ex direttore: lettere aperte e petizioni chiedono le dimissioni del board, responsabile di un’inspiegabile e repentina interruzione del suo contratto. Come se non bastasse, i nostri tutor ufficiali si dimettono in blocco, pubblicamente. Comincia un faticoso rapporto con l’istituzione, fatto di lunghe corrispondenze, comunicazioni fallite, richieste di chiarimento, tensioni costanti. Ci rendiamo conto di quanto sia difficile avere un interlocutore, e da questo nascono le prime domande che, caso del destino, ci riportano al case study che ci era stato assegnato dallo stesso Lorenzo: come pensano le istituzioni? Chi è l’istituzione?
Sull’onda del momento, decidiamo di aprire un dibattito e inauguriamo una serie di incontri pubblici, gli Encounters, per un primo confronto sulle tematiche che sono diventate ormai il nostro pane quotidiano. Nel frattempo, riusciamo a incontrare alcuni dei nostri tutor: le chiacchierate con Charles Esche e Chus Martinez sono tra le più stimolanti. Con altri curatori instauriamo un dialogo continuativo: Ann Demeester, Hendrik Folkerts e Maria Hlavajova seguono più da vicino la nostra avventura.
INCONTRARE GLI ARTISTI
E poi ci sono gli artisti. Se dovessi citare due momenti indimenticabili di questo percorso, saprei quali cassetti della memoria aprire: la colazione con Tino Sehgal, i popcorn con Christian Jankowski. Non si parla della loro pratica come artisti, ma di cosa vuol dire fare i curatori. “Se ci pensate, quello che faccio io è molto vicino a quello che fate voi: entrambi dobbiamo coordinare il lavoro di più persone, entrambi creiamo qualcosa di effimero” ci dice Tino. Sono questi gli incontri che ti aprono nuove prospettive, lasciando sullo sfondo il “de Appel affair” per tornare a focalizzarsi su quello che siamo venuti a fare qui.
Altro momento cruciale è il viaggio a Mexico City e Guadalajara. Due settimane con un calendario che non lascia buchi per fare i turisti. Lo studio visit con Pedro Reyes, nella sua splendida casa a Coyoacán, è uno degli highlight assoluti, ma tutti gli artisti che incontriamo contribuiscono a farci entrare nell’atmosfera di questo paese straordinario: Tania Candiani, Yoshua Okon, Minerva Cuevas, Joaquin Segura, Martin Soto Climent, Arturo Hernández Alcázar sono solo alcuni dei coprotagonisti di questa esperienza. Non ci facciamo mancare neanche l’organizzazione del nostro secondo Encounter nella fantastica sede di Biquini Wax, artist run space ospitato in un appartamento privato, dove mostre e vita quotidiana si mescolano inconfondibilmente. Con Daniel Guilar Ruvalcaba e Sandra Sánchez discutiamo a lungo sul ruolo delle istituzioni, argomento che riprenderemo ancora in occasione dei simposi a Copenaghen (Between the Discursive and the Immersive, Louisiana Museum) e ad Arles (How Institutions Think, Luma Foundation), quest’ultimo in compagnia dei nostri colleghi del Bard College di New York, della Saint-Martin di Londra e de Le Magasin di Grenoble. Tre giorni per scambiare le nostre opinioni, esperienze, ambizioni, in un clima incredibilmente stimolante.
ISTITUZIONE E CRISI
Quando arriva il momento di mettersi al lavoro sulla mostra, non siamo noi a scegliere il concept ma è lui a scegliere noi. Parole chiave? Istituzione e crisi. E una domanda portante: come mettere in gioco la nostra esperienza personale in un progetto che sia accessibile a tutti, che non scada nella critica fine a se stessa ma al tempo stesso inglobi le tematiche che hanno accompagnato tutto il nostro percorso?
Il processo di preparazione della mostra finale è la salita più ripida. Il lavoro in gruppo –uno dei fondamenti su cui si basa il programma – si rivela particolarmente difficile, reso ancor più problematico dall’assenza di un direttore. Ogni decisione è frutto di un processo di negoziazione, dove l’idea di partenza viene sezionata, rimaneggiata, smussata fino a diventare tutt’altro, un prodotto collettivo nel quale tutti possono sentirsi a proprio agio ma nessuno si riconosce completamente. Un processo talvolta estenuante, che però ti costringe a ripensare continuamente la tua posizione come curatore, a metterti in discussione, a decidere su cosa val la pena battersi. Un riflessione forzata che difficilmente prende spazio quando si lavora da soli ma che suscita domande cui bisognerebbe essere sempre allenati a rispondere.
UNA MOSTRA, DUE GRUPPI
Alla fine decidiamo di lavorare in due gruppi su due progetti che sono distinti, ma in qualche modo complementari, sotto un (non) titolo unico che è appunto Untitled (two takes on crisis). Il punto di partenza è lo stesso: il concetto di crisi interno a un’istituzione o a essa collegato. Mentre con You Must Make Your Death Public i nostri colleghi Jussi Koitela, Renée Mboya e Asep Topan intendono collocare il concetto di crisi in un contesto più ampio, anche grazie al Co-speaking programme che accompagna la mostra, con Laura Amann e Kateryna Filyuk ci focalizziamo sul “dopo”, ovvero su possibili strategie che un individuo può adottare per gestire una crisi legata a un’istituzione.
Il titolo della nostra mostra, Rien ne va plus? Faites vos jeux!,prende in prestito le formule da casinò ma ne inverte l’ordine usuale per sottolineare come da una situazione in cui niente sembra più funzionare, sia ancora possibile elaborare una propria mossa. Invitiamo undici artisti, facendo dialogare lavori già esistenti (Danilo Correale, Adelita Husni-Bey, Adrian Melis, Okin Collective), nuove produzioni (Artun Alaska Arasli & Brendan Anton Jacks, Yang-Hae Chang Heavy Industries, Adrien Tirtiaux, Arseny Zhilyaev) e performance realizzate in occasione dell’opening (Oto Hudec, Gluklya). Accompagna la mostra un ricco programma di eventi pubblici dai format diversi (performance, screening, workshop, play reading), una piattaforma che aspira a colmare l’assenza di una parte propriamente educational all’interno del programma e che abbiamo pensato come una “scuola” dove sia possibile apprendere strategie per combattere, aggirare, fuggire l’istituzione stessa.
PROSSIMI BILANCI
Difficile pronunciarsi con un bilancio conclusivo quando mancano ancora due mesi alla chiusura del programma. Siamo in partenza per Kassel, dove andremo a “spiare” il backstage di Documenta, poi ci aspetta l’opening di Manifesta. Di certo la situazione nella quale ci siamo trovati a seguito del licenziamento di Lorenzo Benedetti ha avuto degli effetti sostanziali sul programma, che la nostra istituzione ospitante non sempre ha saputo gestire adeguatamente. Allo stesso tempo, la scena artistica di Amsterdam, e in particolare la possibilità di uno scambio continuo con gli artisti in residenza alla Rijksakademie e al de Ateliers, offre di per sé l’opportunità di intercettare continuamente persone, eventi, tendenze costituendo uno dei punti forti di questa esperienza. Quando poi c’è anche il sole…
Alessandra Troncone
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