Amministrative 2016, Roma. Intervista sull’urbanistica a Lorenza Baroncelli
Non è una candidata sindaco, non parteciperà direttamente al ballottaggio del 19 giugno. Ma se a vincere sarà Roberto Giachetti, lei sarà l’assessore alla rigenerazione urbana a Roma. E allora con Lorenza Baroncelli abbiamo parlato di urbanistica e di architettura, di Olimpiadi e palazzinari, di “colate di cemento” e progetti di qualità.
Classe 1981, Lorenza Baroncelli potrebbe avere un ruolo chiave nel ridefinire l’identità della Roma del XXI secolo. Sarà lei infatti a occuparsi di urbanistica e architettura nel caso in cui al ballottaggio vincesse Roberto Giachetti. Tutti i progetti ce li ha raccontati qui.
A leggere il tuo curriculum non sembri così addentro all’urbanistica. Ti assimilo piuttosto all’arte contemporanea, all’arte pubblica, alla cultura urbana. Ti avrei vista quasi meglio come assessore alla cultura. Cosa mi dici a riguardo?
Ho fatto tante cose nella mia carriera professionale: ho lavorato come urbanista, come architetto e come curatrice d’arte. Ho attraversato città diverse del mondo, osservandole da punti di vista diversi. E questo è fondamentale per il buon governo del territorio, perché oggi l’urbanistica è cambiata. Prima era numeri, previsioni, percentuali, retini su delle mappe. Era l’era delle certezze, della produzione industriale, del funzionalismo profondamente radicato nel Movimento Moderno, della ricostruzione della città storica e dell’espansione delle periferie. Oggi viviamo in un mondo completamente diverso: sono avvenuti cambiamenti strutturali, economici, culturali, sociali e tecnologici che riguardano una scala europea. E non a caso, Roberto Giachetti ha scelto di dare enfasi alla rigenerazione urbana.
In che senso “rigenerazione”? Che significa?
Rigenerare significa non limitarsi all’urbanistica, ma occuparsi anche di cultura, innovazione, welfare, educazione. Significa non solo costruire un edificio, ma soprattutto garantirne la gestione economica, sociale e funzionale a medio e lungo termine.
Con il mio lavoro ho imparato due cose fondamentali: governare processi complessi e mettere in connessione aspetti diversi del sapere (urbanistica, arte, architettura, politica, tecnologia). Due elementi indispensabili per occuparsi di rigenerazione urbana a Roma.
Ufficio Condoni, Piani di Zona, Zone O, Piano Regolatore, PRUSST. Ci dici quali sono le emergenze che ci troverai di fronte, a cosa si riferiscono e come intendi affrontarle?
Quelli che elenchi sono tutti strumenti di governo del territorio. Alcuni sono strumenti necessari a programmare (come il Piano Regolatore), altri ad attuare (come i Piani di Zona, Zone O, i PRUSST), altri a monitorare (come l’Ufficio Condoni).
Molti dei programmi attuativi che elenchi, ad oggi, sono bloccati. Questo significa tantissimi problemi per i cittadini e tantissime risorse economiche sprecate.
Per risolvere questo blocco che si percepisce nell’aria in città cosa bisogna fare?
Bisogna ricominciare a prendere delle decisioni.
Si ma che tipo di decisioni?
Decisioni politiche.
Le vediamo nel dettaglio?
Per quanto riguarda l’Ufficio Condoni, dobbiamo compiere in fretta l’analisi della decina di migliaia di domande pervenute, rafforzando la dotazione di uomini e risorse dell’ufficio. Questo è un lavoro importantissimo e centrale per tutta la città.
I Piani di Zona: ad oggi la situazione a Roma, soprattutto in alcune aree, è davvero drammatica: non sono completate le opere di urbanizzazione primaria, mancano i servizi, c’è gente che quotidianamente vive senza fognature, gas, illuminazione o acqua. Da subito quindi: metteremo intorno a un tavolo tutti gli attori interessati; faremo chiarezza su aspetti tecnici, amministrativi o giudiziari e valuteremo che le norme e le disposizioni di legge siano state rispettate; daremo il via a un’operazione di trasparenza sui dati in possesso dell’amministrazione relativi a urbanizzazioni, oneri, assegnazioni; ricominceremo a vigilare sul rispetto delle convenzioni e agire di conseguenze (sino a escutere le polizze e rescindendo le convenzioni).
Toponimi, Zone “O” e PRINT rappresentano migliaia di ettari da riqualificare e completare, tali da rappresentare una risposta alla necessità di riattivare il mercato immobiliare a consumo zero del territorio. I soli sei Toponimi già esclusi dalla assoggettabilità alla VAS – Valutazione Ambientale Strategica (Cava Pace, Monte Migliore, Finocchio Valle della Morte, Palmarola–Via Lezzeno, Fosso San Giuliano 2, Palazzo Morgana), cioè piani che hanno tutte le autorizzazioni per partire, rappresentano circa 90 milioni di opere pubbliche e circa 300 milioni di opere private.
Infine i PRUSST: sono programmi ministeriali, finanziati con un bando nazionale. A Roma ce n’è uno solo ed è il P.R.U.S.S.T. Asse Tributino “fata viam invenient” che interessa il sistema territoriale di via Tiburtina, in un ambito compreso tra Roma (Comune capofila), Tivoli, Guidonia e Castel Madama. Sarebbe bello che questo strumento fosse rilanciato a livello nazionale al fine di riqualificare e rigenerare nuovi pezzi della nostra città.
Al di là di tutte queste sigle a Roma la pianificazione urbanistica non è stata mai realmente effettuata, si è preferito andare dietro alle esigenze di una mediocre classe di costruttori e alla rendita fondiaria. Quali sono le strategie per attuare azioni disruptive in questo quadro? Come si può cambiare radicalmente paradigma?
Esistono diversi modi. Per molti anni i privati hanno costruito gli edifici senza completare le strade, i servizi, le biblioteche. La città privata ha prevalso sulla città pubblica. Nel programma di Roberto Giachetti abbiamo censito più di cento opere incompiute. Il completamento delle opere incompiute è il primo, urgente strumento per ristabilire un rapporto sano tra l’interesse dei cittadini e quello dei costruttori.
Inoltre, è necessario attirare investimenti stranieri con progetti innovativi, di qualità, come accade nelle altre città europee. Questo si può fare con regole certe e competitive, semplificando le norme tecniche del Piano Regolatore Generale e dotando i Municipi di procedure urbanistiche ed edilizie online. È necessario, inoltre, preparare manuali semplici, in inglese, per dare certezza ai professionisti, rendere veloce e uniforme l’attuazione amministrativa, semplificare le procedure relative ai cambi di destinazione d’uso e alle altre autorizzazioni amministrative. Per eliminare quegli spazi di discrezionalità che alimentano ritardi, corruzione e facilitano la monopolizzazione del mercato immobiliare.
È necessario, infine, che l’amministrazione pubblica attiri nuove risorse economiche impegnandosi attivamente nella partecipazione ai bandi europei, nazionali e regionali attraverso l’istituzione di un ufficio progetti.
In caso di vittoria sarai assessore alla “rigenerazione urbana”. Questo significa che bisogna esclusivamente rigenerare ciò che è stato costruito e smetterla di allargare la città in estensione?
Esattamente. Al netto di quanto previsto dal PRG vigente, oggi non è necessario immaginare una città che continui a crescere ma bisogna piuttosto “rigenerare” quello che già esiste: intervenendo sul patrimonio edilizio e sulla riorganizzazione del territorio (più servizi, migliori infrastrutture, spazio pubblico di qualità).
Oggi Roma è ultima in Europa nel settore delle costruzioni e della trasformazione e rigenerazione urbana. Il settore dell’edilizia è fermo e moribondo, non esistono cantieri, la disoccupazione divora tutto il comparto, le aziende falliscono, gli investimenti internazionali non arrivano eppure si continua a parlare di una città da “salvare dalle colate di cemento”, da “togliere dalla morsa dei palazzinari”. Come mai?
Concordo pienamente. Nessuno ha dubbi che non si debba consumare terreno agricolo e che sia necessario limitare l’espansione della città. Ma questo non significa non fare nulla. Mantenere bloccato il mercato delle costruzioni significa non avere risorse per la città pubblica, per le fasce più deboli della popolazione, per la cultura, per l’innovazione, per le scuole. Significa destinare i romani alla paralisi. Questo è quello che la mentalità di figure come Paolo Berdini (possibile assessore all’urbanistica in caso di vittoria della Raggi) ha determinato.
È necessario invece riattivare il mercato immobiliare. E va fatto attraverso la rigenerazione urbana, lavorando sulla città costruita, incentivando la demolizione e ricostruzione, l’efficientamento energetico, i cambi di destinazione d’uso, le ristrutturazioni, l’implementazione di infrastrutture e servizi. Favorendo gli investimenti stranieri, la nascita di start up, la presenza di nuovi e innovativi attori immobiliari.
Vivi, viaggi e lavori in tante città. Dove secondo te c’è la più interessante gestione urbanistica del territorio? Dove hai visto modelli e buone pratiche da copiare e importare a Roma?
In ogni città in cui ho vissuto e lavorato ho conosciuto esperienze interessanti che spero di poter portare a Roma. A Medellin, in Colombia, ho conosciuto il primo esempio di rigenerazione urbana. Dieci anni fa Sergio Fajardo, sindaco di Medellin, attuò un programma di edifici pubblici (prevalentemente biblioteche) all’interno delle favelas della città come strumento per contrastare la criminalità organizzata.
Il lavoro fatto dall’amministrazione di San Paolo nella legalizzazione e trasformazione degli insediamenti informali è incredibile, ho imparato tantissimo lavorando con loro. Ma un progetto mi colpì più degli altri: i soldi guadagnati dalla vendita di crediti di carbonio, derivati dalla riforestazione di una discarica bonificata, furono utilizzati per pagare le infrastrutture di Bamburral, un quartiere grande quanto Roma.
L’Albania è forse, dal punto di vista urbanistico e architettonico, il modello più avanzato e interessante che esiste in questo momento in Europa. Il meccanismo vincente è quello che assegna, attraverso concorsi, tutti i progetti pubblici ad architetti giovani, albanesi e internazionali. Oggi è più facile incontrare i creativi migliori del mondo a Tirana piuttosto che a Londra o Berlino.
A Shanghai ho trovato estremamente interessante come siano riusciti a trasformare il mondo dell’arte e delle gallerie in un meccanismo economico che è quasi comparabile a quello immobiliare. Il che è incredibile se si pensa a quanto si sta costruendo in Cina!
Roma da anni volta le spalle a progettisti, architetti, designer. Non esiste attenzione, se non episodica, alla qualità architettonica nei pochi edifici che si costruiscono che siano pubblici o privati. Come si fa a trasformare la città in una terra di opportunità per gli architetti? Come si fa ad alzare la qualità del costruito in una città che sta diventando irrimediabilmente brutta sotto ogni punto di vista?
Trovo questo punto di fondamentale importanza. A Roma viviamo grazie a un patrimonio monumentale, artistico e paesaggistico che i nostri antenati hanno creato, curato e lasciato. Ma abbiamo completamente dimenticato la “responsabilità dell’eredità”. Tutto ciò che abbiamo costruito negli ultimi venti anni è brutto, fatto male e non rappresenta un’idea di città.
Dobbiamo ricominciare a “prenderci cura” del nostro territorio. Migliorare, riprogettare, ricucire le strade, gli scorci, i quartieri della città. Restituire spazio pubblico di qualità, sicurezza e dignità. Dobbiamo ricominciare a progettare la bellezza.
Sei stata una studentessa di Giovanni Caudo, il passato assessore all’urbanistica della Giunta Marino. Come giudichi i suoi due anni? Cosa ha fatto di particolarmente azzeccato e cosa eventualmente non ti è piaciuto?
Io credo che Caudo sia uno straordinario docente e abbia fatto un lavoro tecnico importantissimo per Roma. Ma il problema è che un assessore è un ruolo politico e credo che sia stato lasciato troppo solo da Marino nell’assumersi delle responsabilità.
E poi credo che abbia avuto difficoltà a comunicare alla città l’enorme lavoro che stava facendo. L’urbanistica è un lavoro lento, difficile da rendere visibile. Bisogna costruire progetti con velocità differenti: quelli che gettano le basi per il futuro della città ma parallelamente progetti semplici, rapidi, comunicativi, che raccontino dei problemi che si stanno affrontando e la strategia con cui si vuole risolverli. Perché la gente ha bisogno di vedere con mano, di toccare.
So che Caudo ha lasciato sulla scrivania una lista di cose che ha iniziato e non ha finito. Mi piacerebbe sedermi a quella scrivania e leggere la sua lettera.
Se perderete le elezioni, l’assessore nel tuo ruolo sarà come dicevi il professor Paolo Berdini. Da anni la narrazione attorno a questa figura racconta un individuo inflessibile, autentica spina nel fianco dei palazzinari. Credi che le ricette di Berdini siano realmente capaci di sovvertire lo status quo in città?
No, anzi credo che le ricette di Berdini facilitino esattamente l’opposto: risucchiano risorse alla città pubblica e favoriscono l’arricchimento dei costruttori. Come dicevo prima, gridare continuamente allo “scempio” funziona benissimo sui giornali o in televisione ma soffoca il mercato immobiliare. Tutte le città del mondo sono finanziate dagli oneri urbanistici e con i soldi versati dai privati si pagata la città pubblica, la cultura, l’innovazione. Ed è così dal dopoguerra ad oggi. Quindi, se si blocca il mercato immobiliare non ci sono più soldi per riparare una buca, aggiustare un lampione, finire una strada, fare una palestra.
Ma esiste un’altra enorme responsabilità che i “Berdiniani” hanno: strillare alla speculazione, solo per ricevere voti o consenso, favorisce l’arricchimento dei costruttori, la distruzione il paesaggio, l’aumento della criminalità e del degrado: quando un costruttore decide di fare una nuova edificazione, concorda con l’amministrazione i metri quadri destinati all’interesse privato (ad esempio case) e quelli destinati a funzioni pubbliche (ad esempio una scuola). Se l’edificazione viene interrotta, il privato viene avvantaggiato: lo scheletro non completato risulterà comunque un immobile agli occhi delle banche, quindi a lui farà reddito, ma risparmierà i soldi che deve al pubblico per la costruzione della scuola. Quello scheletro rimarrà lì per decenni, in attesa della conclusione della causa legale, deturpando il paesaggio e facilitando degrado e criminalità.
Mi ha stupito molto la scelta della Raggi di nominare Paolo Berdini perché è l’immagine della vecchia politica, di chi preferisce cercare consensi o guadagnarsi un titolo di un giornale, piuttosto che fare il bene della città.
Vorrei sapere la tua idea su qualcuno dei purtroppo pochissimi sviluppi urbanistico-immobiliari che si stanno svolgendo in città. Partiamo dalla Città del Sole, trasformazione di una ex rimessa Atac abbandonata in uno spazio di residenze e servizi a via della Lega Lombarda. Paolo Berdini ha parlato – come di consueto – di scempio. Tu cosa pensi di uno sviluppo simile?
Io credo che il progetto che ha vinto il concorso a inviti nel 2007 sia un ottimo esempio di rigenerazione urbana: è di grande qualità architettonica, è capace di bilanciare l’esigenza di Atac e le richieste del comune, genera risorse per il pubblico attraverso gli oneri di urbanizzazione, riqualifica un pezzo di città legandola ad infrastrutture e servizi già esistenti.
Quello che è invece uno scempio è lo stato in cui versa il terminal bus poco distante, con le sue infrastrutture vetuste e gli spazi pubblici semiabbandonati.
Riguardo alla straordinaria via Giulia, tu preferisci una strada interamente coperta di vetture in sosta selvaggia, com’è oggi, o una strada libera con le auto posteggiate sottoterra, nel parking che si sta realizzando in un’area dove prima – senza che nessuno protestasse – c’era un centro di smistamento rifiuti?
Su via Giulia la questione è complicata: esiste un progetto del 2007-2010 e una variante del 2014. Il progetto iniziale prevedeva parcheggi interrati, poi, a seguito del ritrovamento di reperti archeologici, fu modificato. Il parcheggio è stato realizzato includendo un albergo in superficie e l’area archeologica nel progetto dei parcheggi. Sono stati presentati ricorsi dai cittadini e a ottobre il Tribunale deciderà se autorizzare la costruzione oppure sia necessaria una nuova valutazione di impatto ambientale.
Rispetto alla polemica scaturita sul parcheggio interrato, credo che le città debbano riscoprire la propria capacità resiliente, la capacità di adattarsi a esigenze che cambiano. Quando è stata costruita via Giulia non c’erano le automobili, oggi ci sono. Per valorizzare la bellezza di Roma, delle sue strade e dei suoi scorci, è necessario ridurre il numero delle macchine in superficie. I parcheggi interrati sono quindi una necessità. Parallelamente bisogna avviare delle politiche di mobilità sostenibile che riducano l’uso delle macchine e aumentino percorsi ciclo-pedonali.
Anche tu, come il tuo “concorrente” Paolo Berdini, pensi che lo sviluppo di Tor di Valle con lo Stadio della Roma, le torri di Libeskind le infrastrutture e il grande parco sia un “crimine” contro la città?
Tutto il contrario. Lo stadio della Roma è una grande opportunità per questa città perché riqualifica un’area abbandonata e compromessa, genera occupazione e servizi pubblici. Oltre ad essere un intervento di qualità architettonica, genera un enorme investimento in opere pubbliche per la città: il prolungamento della metro, il parco urbano, la sistemazione della via del mare/ostiense solo per citarne alcune.
Inoltre il fatto che la realizzazione delle opere private sarà successiva al completamento delle opere pubbliche, come voluto da Giovanni Caudo, è una garanzia importante per i romani.
Con il progetto della Città della Scienza di via Guido Reni, di fronte al Maxxi, a Roma siamo tornati finalmente a fare un concorso internazionale (ce ne vorrebbe uno al mese!). Paolo Berdini ha pronunciato parole durissime contro quel progetto, tu lo hai studiato? Cosa ne pensi?
Sono favorevole a che architetti internazionali contribuiscano alla riprogettazione e riqualificazione di pezzi della nostra città e sono d’accordo ce ne vorrebbero di più! Questo non toglie che sia l’amministrazione pubblica a dover indicare la vocazione funzionale di un luogo tenendo conto del contributo dei comitati di quartiere e dei cittadini.
E comunque, al di là degli esiti di concorso, le cui valutazioni estetiche possono essere condivisibili o meno, è inaccettabile interrompere un progetto solo per il gusto di un singolo cacicco.
Olimpiadi? C’è chi è per il sì e chi è per il no. La tua parte politica ne sta facendo un cavallo di battaglia ma nessuno, Giachetti incluso, dettaglia come vuole sviluppare le Olimpiadi. C’è il progetto immaginato da Giovanni Caudo che vede un Villaggio Olimpico lungo il Tevere con la riqualificazione di tutte le sponde del fiume comprese nella fascia tra la Salaria e la Flaminia dove poi, ad Olimpiadi finite, trasferire tutta la città giudiziaria liberando il Rione Prati dal giogo dei tribunali; c’è invece il progetto di Montezemolo & Malagò che immagina un Villaggio Olimpico a Tor Vergata, sui terreni ove Francesco Gaetano Caltagirone ha un contratto di esclusiva a costruire. Hai approfondito?
Il Villaggio Olimpico, una volta esaurita la sua funzione, sarà trasformato in alloggi per i famigliari dei pazienti dell’Ospedale e per gli studenti di Tor Vergata; sarà, inoltre, l’occasione per collegare l’aerea con la metro (o con uno sfioccamento della metro C o prolungando la metro A); e infine permetterà il completamento delle Vele di Calatrava.
L’idea di Caudo ha pochi dettagli per esser valutata: so che ha ricevuto il “no” degli ambientalisti, che i parametri richiesti dal CIO non sarebbero rispettati, che realizzare una villaggio olimpico che poi si trasforma in città della giustizia implica dei tempi troppo lunghi rispetto alle esigenze olimpiche. Barcellona ha costruito una città della giustizia in nove anni, noi dall’aggiudicazione avremo solo sette anni.
Il prossimo assessore all’Urbanistica dovrà affrontare due temi importanti: la riqualificazione delle caserme e la riqualificazione degli ex depositi Atac (Bainsizza, Piazza Ragusa, Porta Maggiore…). Le tue visioni su questo?
Credo che non esista una ricetta perfetta che valga per tutte le caserme o tutti i depositi Atac. La fase dell’urbanistica dalle soluzioni universali è finita. E ci ha lasciato molti errori. Credo che tutti questi edifici debbano essere riaperti, rigenerati, ma che ogni edificio vada trattato come un caso a sé: alcuni devono diventare luoghi della creatività, altri di produzione di nuove forme di lavoro, altri devono essere potenziati e proseguire la funzione per cui erano stati creati, altri diventare spazi pubblici.
Esistono delle variabili che devono guidare nelle scelte. La prima è considerarli in una logica di sistema, valutandone la futura funzione sull’intera città. Un errore che negli ultimi anni si è fatto spesso, per esempio, pensare che l’arte fosse la soluzione ad ogni problema: cosa mettiamo in quell’edificio vuoto? Un museo! La seconda componente da valutare è la sostenibilità economica. Non basta ristrutturare un edificio ma bisogna garantire che rimanga aperto per un medio-lungo tempo. Altrimenti sono soldi sprecati. E ancora. È necessario leggere il contesto in cui si inserisce la trasformazione. Quali sono i bisogni dei cittadini che vivono intorno? Ci sono già edifici pubblici che suppliscono alle esigenze dei cittadini? Cosa serve integrare?
In generale, oggi il vero problema non sono le risorse economiche per riaprire uno spazio o la capacità procedurale per farlo. Il problema oggi è rarefazione della domanda che rende cruciale la scelta delle funzioni.
La cosa più bella e la cosa più brutta che si è fatta in città negli ultimi vent’anni a tuo avviso dal punto di vista naturalmente dell’architettura e dell’urbanistica.
Nel risponderti parlerò di architetti, solo perché è il mondo che conosco meglio, ma questo discorso deve essere esteso al mondo dell’arte, del cinema, della moda, del teatro, dell’artigianato ecc.
A Roma esistono tantissimi studi di giovani architetti che nel mondo sono considerati i migliori. Io ne conosco tantissimi. La cosa più grave che è accaduta negli ultimi vent’anni è che a questi professionisti non è mai stata data la possibilità di lavorare nella propria città e sono stati costretti a scegliere tra due alternative: smettere di fare gli architetti o emigrare all’estero. Lo stesso che è accaduto a me, fino a quando Roberto Giachetti non ha scelto di riportarmi a casa. Ma così come la mia è una storia vera, figlia del merito e della tenacia, una storia figlia di Roma, vorrei non rimanesse solo la mia, ma che diventasse il futuro di tanti giovani romani.
Massimiliano Tonelli
www.robertogiachetti.it/lorenza-baroncelli/
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