In viaggio a Cuba. Intervista a Carlos Garaicoa
Ieri il reportage sull’isola caraibica, oggi l’intervista a Carlos Garaicoa, uno dei suoi artisti più importanti. Continua il nostro viaggio a Cuba. E non finisce qui, perché domani vi racconteremo anche di una coppia di italiani e del loro rapporto con il Paese della rivoluzione di Castro e Guevara.
Nato a L’Avana nel 1967, Carlos Garaicoa è oggi uno dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea cubana e anche uno dei suoi maggiori conoscitori. In scuderia alla Galleria Continua, il suo lavoro ha permesso a un vastissimo pubblico di riflettere sulla storia e la cultura (o meglio, il mix di culture) di Cuba. L’Avana è stata a lungo il suo laboratorio privilegiato, attraverso cui indagare questioni urbane per rilevare problematiche sociali, storiche, politiche e culturali. Partire da dati reali per immaginare luoghi dell’utopia.
Parlaci di Artista X Artista, il tuo progetto volto a sostenere l’arte emergente.
Artista X Artista nasce nel 2006 per sostenere i giovani artisti cubani e inizialmente ha agito come dispositivo di sostegno alla produzione, ma tra i prossimi obiettivi vi è l’istituzione di un premio per l’arte cubana. Si tratta di un’iniziativa privata, che crea e nutre relazioni orizzontali, non istituzionali. Abbiamo lavorato sempre in modo anonimo poiché la situazione politica cubana non permette lo sviluppo di attività private, neanche in ambito artistico-intellettuale. L’anonimato e l’autofinanziamento sono stati finora l’unico modo per evitare di incappare in problemi istituzionali. Nel 2015 abbiamo deciso di uscire allo scoperto con l’inaugurazione di uno spazio nel quartiere di Miramar, che accoglie in residenza artisti cubani e internazionali per sei settimane ciascuno. La prima residente è stata Cristina Garrida, artista spagnola, poi è stato il turno di Ornaghi e Prestinari.
Da cosa nasce l’idea di fondare uno spazio dedicato alle residenze d’artista, promuovendo lo scambio internazionale?
Il primo progetto attraverso cui abbiamo portato degli artisti internazionali a L’Avana è stata una collaborazione con l’associazione Zerynthia di Dora e Mario Pieroni in occasione della Biennale dell’Avana del 2000, con gli italiani Carla Accardi, Alfredo Pirri e Paola Pivi. Dal mio trasferimento a Madrid nel 2007 ho dato vita al progetto nel quale invito artisti emergenti internazionali a esporre i propri lavori all’interno del mio studio. Opening Studio è oggi un’occasione importante per l’arte contemporanea a Madrid. Anche in questo caso l’autosufficienza economica è una scelta progettuale: un modo per costruire una strada parallela e indipendente rispetto a quella istituzionale. Infine, due-tre anni fa il riconoscimento della proprietà privata e dunque l’apertura del mercato immobiliare cubano ci hanno permesso di comprare quest’appartamento dove sviluppare il progetto di residenza Artista X Artista.
Come si svolgono le residenze e quali sono i criteri di scelta degli artisti?
Nello scegliere gli artisti non abbiamo una regola precisa. È importante che si tratti di persone con cui è possibile instaurare uno scambio e un dialogo che io definisco “pedagogico”.
Cosa ti ha colpito del lavoro di Ornaghi e Prestinari?
Mi intriga il loro modo poetico e artigianale di lavorare materiali diversi e l’interesse che nutrono verso la storia dell’arte, l’estetica della fotografia, le questioni scientifiche, la tecnologia… Sono portatori di un pensiero completamente estraneo all’arte cubana, spesso folkloristicamente politica e didascalica, oppure molto (troppo) vicina al pensiero americano. Il loro lavoro offre dunque spunti di riflessione interessanti per gli artisti cubani, che quanto prima saranno portati a doversi confrontare con temi altri rispetto a quelli politici.
Com’è strutturata la residenza?
Non chiediamo nulla all’artista in termini di produzione. Organizziamo incontri e studio visit che permettano agli artisti ospiti di entrare in contatto con gli artisti cubani, poi vogliamo che vivano un momento di confort, relax e scambio che li nutra in termini di idee e input, che non necessariamente si concretizzeranno nella produzione di opere durante le sei settimane di residenza, ma certamente nutriranno il loro lavoro nei mesi a seguire. D’altro canto, organizziamo sempre una conferenza e una mostra all’inizio della residenza, che permetta agli artisti ospiti di presentarsi alla comunità cubana. Ornaghi e Prestinari hanno portato molte opere da casa, tutte racchiuse in due bagagli, e alla loro mostra di presentazione hanno partecipato più di 100-150 persone.
Continua è la prima galleria internazionale ad aprire una sede sull’isola.
La scelta del quartiere cinese e del luogo, un ex cinema, si collega alla storia della Galleria Continua. Il Vedado sarebbe stato un buon quartiere, poiché è qui che hanno sede tutte le gallerie, ma sarebbe stata una scelta meno originale, mentre L’Avana vecchia è troppo turistica e L’Avana centro è un quartiere ancora molto duro. Si tratta effettivamente della prima galleria internazionale con una sede cubana; naturalmente si tratta di una galleria non commerciale, poiché solo le gallerie statali hanno il diritto di commerciare arte a Cuba.
Ciò che maggiormente mi ha colpito è come la storia permanga nell’architettura della città. Come sta cambiando oggi L’Avana?
Il passato è ancora molto evidente a L’Avana poiché, essendo stata vietata la costruzione di nuovi edifici su iniziativa privata, la città è restata immutata nel tempo. Se ne riconoscono i livelli di costruzione, che seguono un andamento circolare: L’Avana vecchia (con edifici coloniali decadenti), poi L’Avana Centro, poi il Vedado e Miramar, infine le periferie con i quartieri dormitorio, in cui vi sono palazzi molto belli in stile Le Corbusier. Le novità imputabili alla nuova economia si riscontrano quindi non tanto nella costruzione di nuovi edifici, quanto in un processo di ristrutturazione ad opera di nuovi proprietari in seguito alle prime liberalizzazioni.
Come funzionava il sistema delle abitazioni prima del riconoscimento della proprietà privata?
Fermo restando che ancora oggi le case ci appartengono perché appartenevano alle nostre famiglie, fino a poco tempo fa comprare casa era vietato, era possibile solo lo scambio. Chi aggiungeva del denaro per avere un appartamento più grande lo faceva in modo del tutto illegale. Il grande problema di Cuba è stato a lungo quello delle abitazioni, i palazzi sono decrepiti perché, non avendo proprietari, nessuno investe per ristrutturare. La vera povertà la si vede entrando nelle case, e non è data dalla carenza di cibo, ma da un certo grado di abbandono dei luoghi di vita. L’alto costo dei lavori, dovuto in primo luogo da un’assenza di ditte specializzate, è anche imputabile a una carenza di materie prime sul mercato interno e a una notevole difficoltà nel procurarle dall’esterno, per le questioni legate all’embargo.
L’interesse che il tuo lavoro ha sempre portato verso l’architettura delle città nasce qui a L’Avana.
Sono cresciuto a L’Avana Vecchia, che è molto intensa architettonicamente. Dopo aver studiato pittura, volendo sfuggire alle discipline classiche e desiderando affrontare in modo diretto la riflessione sul quotidiano, mi sono lasciato ispirare dalla città. Fotografavo L’Avana, i suoi edifici, e sulle foto applicavo delle scritte o ricostruivo disegnandole parti di edifici, ma questo ridisegnare non aveva intenti architettonici, piuttosto poetici e sociali. Disegnavo, lavoravo la ceramica e la cera, ma la città era sempre il mio punto di partenza. Non m’interessava l’architettura in sé, quanto la possibilità di uno sguardo oggettivo sulla realtà attraverso il disegno architettonico. Mi piace molto la natura ieratica, diretta ed esplicita del disegno d’architettura. Io non sono così, sono molto entropico e forse per questo nutro un’attrazione profonda verso quel modo preciso di arrivare alla forma. L’oggettività e la freddezza dell’architettura si tramutavano nel mio lavoro in un gioco. Era il mio modo di sfuggire all’arte politica e didascalica degli Anni Ottanta e di guardare al collasso dell’ideologia politica. Ho ritenuto che trattare esplicitamente temi politici fosse fallimentare, perciò ho cercato di affrontare il discorso in modo trasversale, cercando di coniugare temi sociali e poetici. Pur nutrendo un forte interesse urbano, non guardo la città come la guarderebbero gli architetti. Sento più vicina la città letteraria, quella delle Città invisibili di Italo Calvino o di Borges. I miei progetti o modellini che siano, potrebbero tutti essere realmente costruiti, poiché sono stati creati con degli architetti, ma allo stesso tempo sono puro pensiero.
L’opera El Observatorio, che si ispira a On how the world wish to resemble the sky (presentato alla 51. Biennale di Venezia), è un progetto per un edificio multifunzionale con una funzione reale e utopica al tempo stesso.
Sì, è stata l’unica occasione in cui tentammo di passare dal progetto, frutto di una riflessione sulla storia della piccola cittadina inglese di Castleford, alla realizzazione vera e propria dell’edificio. Abbiamo realizzato un progetto virtuale, ancora visitabile online, e abbiamo lavorato per cinque anni alla realizzazione dell’edificio, finché la crisi immobiliare ci ha costretti a rinunciare. L’architettura è uno spazio aperto e vuoto: se riempito di senso diventa un mezzo potentissimo.
A un anno dalla sua liberalizzazione, l’accesso a Internet ha riconfigurato alcune pratiche urbane di utilizzo degli spazi pubblici. Quali sono i cambiamenti in corso?
Visto i costi elevatissimi, in pochi possono usufruire dei servizi Internet. La maggior parte lo utilizza attraverso i punti di accesso wi-fi nelle piazze e in luoghi all’aperto, che dunque a tutte le ore pullulano di smartphone e laptop. L’attività dell’internauta, notoriamente un’attività solitaria, diventa quindi un momento di condivisione. Intere famiglie parlano su Skype con i propri parenti mentre di fianco un ragazzo sussurra frasi d’amore alla sua fidanzata. Un artista cubano, Luis Manuel Otero, ha lavorato su questo tema con una performance, Unidos por Wifi. Si è recato nella piazza La Rampa portando con sé dei mariaci e, con una videochiamata Skype Cuba/Usa, ha offerto alla moglie uno striptease alla luce di un lampione. Sul petto nudo aveva scritto: “Uniti dal wifi”. La liberalizzazione di Internet è stata importante in quanto il net è certamente uno strumento necessario per essere protagonisti della contemporaneità e sfuggire all’isolamento.
Noti un incremento del turismo dopo le prime aperture e i primi accordi con l’America in vista dell’annullamento dell’embargo? Come giova all’arte?
Terra di misteri, avvenimenti politici e storici, povertà e sofisticazione, da sempre Cuba affascina e attira un gran numero di stranieri, ed è un Paese che non passa mai di moda. Curatori, direttori di musei, collezionisti sono sempre passati di qui. Essere un artista a Cuba è certamente difficile, poiché non esistono borse di studio, programmi, residenze, nessuno di quei mezzi di cui un artista può usufruire nei Paesi occidentali. Però è vero che, se si è motivati e disciplinati, i contatti si creano e i progetti si realizzano, forse più concretamente che altrove. C’è sempre stato molto turismo, ma certo ultimamente il numero di turisti americani è moltiplicato ed è aumentato il turismo di massa. Hanno iniziato a circolare i divi di Hollywood: Katy Perry, Naomi Campbell, Paris Hilton, Rihanna che fa il suo shooting fotografico… Cuba sarà la moda dei prossimi due, tre anni. Evidentemente questa nuova situazione porta una dimensione economica importante, una ricchezza che negli ultimi cinquant’anni era andata persa.
Chiara Pirri
www.carlosgaraicoa.com
www.artistaxartista.org
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #31
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