The times are changing. In viaggio a Cuba
Che i tempi stiano cambiando è quello che hanno detto i Rolling Stones durante il loro concerto a L’Avana. Cambiano anche per l’arte contemporanea, sull’isola della rivoluzione? Ci siamo andati per vedere coi nostri occhi.
In Europa, Cuba è stata per cinquant’anni un Paese più discusso che conosciuto. Terra di una delle rivoluzioni più romantiche della storia, vinta da un pugno di uomini dannatamente fotogenici, l’isola caraibica ha attraversato il XX secolo da protagonista ma è entrata nel XXI in difficoltà. Secondo la maggior parte dei cubani che vivono sull’isola, il Periodo Especial – cominciato nel 1989 a seguito dello sgretolamento del blocco sovietico, la fine delle importazioni e gli aiuti della Russia – non è ancora terminato.
L’EPOCA DEI ROLLING STONES
Negli ultimi due anni, tuttavia, alcune riforme hanno avuto un impatto positivo, come l’apertura delle imprese private. La popolazione sembra uscire dalla crisi alimentare, riprendendo lentamente quel terzo di peso che aveva perso negli anni più duri e sull’isola si percepisce un certo addolcimento delle condizioni di vita dei poco più di 11 milioni di abitanti. Il progressivo miglioramento della situazione è stato accelerato anche grazie alla politica e alle relazioni internazionali. Nel 2015 Raul Castro e Barak Obama hanno annunciato la riapertura delle ambasciate nei rispettivi Paesi; a febbraio e a marzo 2016 l’attivismo diplomatico della chiesa cristiana e del fratello più giovane (e meno alto) dei Castro hanno incassato due nuovi successi: l’incontro tra Francesco e Cirillo, il vescovo di Roma e il patriarca di Mosca, e la visita di Barak e Michelle Obama. L’Avana intende riaffermarsi quale nodo centrale per le relazioni tra il nord e il sud delle Americhe, tra l’ovest e l’est del mondo.
Il concerto dei Rolling Stones del 25 marzo rappresenta una testimonianza planetaria del desiderio di riprendersi la scena. “The times are changing”, ha detto Mike Jagger davanti a 500mila tra cubani e turisti. “Con quarant’anni di ritardo”, hanno risposto i cubani meno indulgenti. “Ora sarebbe bello davvero se al ritmo di ‘Satisfaction’ si abbattessero i muri delle galere dell’Avana dove sono rinchiusi i dissidenti cubani”, ha commentato Pierluigi Battista sul Corriere della Sera.
UNA NUOVA RIBALTA
Sebbene accompagnata da coni d’ombra, la nuova ribalta di Cuba e la riapertura delle relazioni anche turistiche dell’isola incrementa l’interesse per gli artisti cubani. Se ne cominciano a vedere i riflessi anche nel mercato dell’arte contemporanea internazionale. È più che noto fin dal 1984, anno della prima edizione della Biennale de L’Avana, il fatto che l’isola generi bravi artisti. Ma, come ha spiegato il fotografo René Peña, “a Cuba l’arte ha saltato una generazione, quella degli artisti che hanno lasciato la propria patria negli Anni Settanta e Ottanta”. Tra gli altri sono espatriati Félix González-Torres, Ana Mendieta e Maria Magdalena Campos-Pons, le cui opere ricevono oggi grande attenzione critica e di pubblico. Alla diaspora, nella metà degli Anni Novanta, è seguito un momento più positivo, quando l’allargamento delle maglie della censura e la depenalizzazione del dollaro avevano reso nuovamente praticabile l’isola per artisti e intellettuali.
Oggi gli studi degli artisti della generazione nata tra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta rappresentano centri di aggregazione creativa. Gli atelier di Kcho, Tania Brugera e Los Carpinteros, che si dividono fra la loro terra e altre città, contribuiscono a mettere in relazione artisti, collezionisti e appassionati. Grazie alla visione e alla visibilità dei mid-career, i giovani hanno la preziosa possibilità di conoscere e farsi conoscere dal pubblico e dai compratori. Perché sono ancora pochi, anzi pochissimi, gli spazi qualificati dove vedere buona arte.
SI DICE CUBA SI INTENDE L’AVANA
In città, l’arte contemporanea internazionale si trova al Museo Nacional de Bellas Artes, al Centro Wifredo Lam (dedicato al più noto artista cubano del Novecento) e all’Instituto Superior de Arte, i luoghi che Armando Prieto Pérez, che vive a Milano da qualche anno, consiglia di visitare. Il primo è dirimpetto al Museo de la Revolución e alla teca (morpurgiana!) del Granma, il motoscafo con cui Fidel e il Che sbarcarono sull’isola; nelle sale sono disposti dipinti dell’Ottocento, del primo Novecento e il Cubismo in salsa creola. Il secondo è anche la sede della Biennale de L’Avana e delle mostre temporanee; il terzo ospita bellissimi atelier per gli artisti che studiano nella scuola dove insegano anche artisti di fama internazionale.
La novità, contraddittoria come tutto a Cuba, è che anche a L’Avana sono sbarcate gallerie semiprivate, tra cui Factoria Habana, struttura collegata alla Oficina de l’historiador de la ciudad. L’historiador, appunto, è Eusebio Leal Spengler, che in tutta Cuba (e non solo) è quasi una divinità culturale. Suo il merito di aver lavorato per anni alla riqualificazione e alla valorizzazione de l’Habana Vieja; sua la capacità di farlo attraverso risorse private e straniere, mediante la holding Habaguanex, che reinveste in conservazione i ricavi di imprese turistiche come alberghi, ristoranti e caffè; sua la responsabilità di farlo attraverso relazioni nazionali e internazionali che l’hanno messo spesso sotto una luce ambigua.
Arte Continua è l’altro polo per l’importazione, l’esportazione e l’esposizione dell’arte contemporanea sull’isola. Nella primavera del 2015, anche grazie a Carlos Garaicoa – da anni artista della scuderia – e del suo studio verso il quale confluiscono molti giovani, la Galleria Continua di San Gimignano ha inaugurato il progetto scegliendo come quartier generale l’Aguila de Oro, il vecchio cinema del Bario Chino, il quartiere cinese del Centro Habana. Arte Continua è diventata velocemente una realtà prestigiosa.
ARTE EMERGENTE VS ARTE CONCRETA
Tra le righe di un articolo di qualche mese fa sull’Huffington Post, intitolato Some of World’s Best Art is Made in Cuba, l’interesse per l’arte cubana veniva spiegato in un modo piuttosto cinico; era citato il parere del collezionista statunitense Howard Farber, che riteneva i prezzi delle opere degli artisti cubani “ridicolmente bassi”, aggiungendo che “se si considerano i prezzi dell’arte contemporanea made in USA, si può formare una ottima collezione di arte contemporanea cubana con ciò che si pagherebbe solo di commissioni negli Stati Uniti”.
Negli Stati Uniti e in Europa, infatti, l’arte made in Cuba è ricercata. A interessare sono soprattutto due periodi: quello delle generazioni più giovani e quello d’arte concreta degli Anni Cinquanta e Sessanta, a cui anche David Zwirner a New York ha recentemente dedicato una mostra. Tra i pochi fondi di investimento per l’arte realmente attivi ce ne sono almeno due che sembrano avere in portafoglio alcune opere cubane, Artemundi Global Fund, lanciato nel 2010 da Javier Lumbreras, rampollo di una famiglia di collezionisti da generazioni, e Tiroche De Leon, che intendono approfittare delle buone prospettive di rivalutazione che l’arte cubana promette.
L’AMBIGUITÀ VITALE DEL PRESENTE
È la qualità di alcuni artisti cubani, la loro capacità di sintesi, ma al tempo stesso la generosità della loro produzione ad attirare l’interesse generale, certamente anche sostenuto da una certa curiosità per la situazione congiunturale in trasformazione e da prezzi non saturi. Il pericolo è che si cerchi di valorizzare i giovani soltanto come manifestazioni del contesto in cui sono nati e non tanto come sensibili interpreti del loro tempo. Succede anche con gli artisti mediorientali e africani; ma in un’opera, dove sta il punto di equilibrio tra passato, presente e futuro, tra informazione, analisi e sintesi?
Lo scorso gennaio, tra il Vedado e Miramar, ne abbiamo incontrati tre: Alejandro Campins (Manzanillo, 1981), Josè Yaque (Manzanillo, 1985) e Reynier Leyva Novo (L’Avana, 1983). Il loro lavoro riflette la storia e l’attualità, come quello dei loro colleghi mid-career, ma il tono è meno brutale, più dolce. La natura, inoltre, ha una presenza maggiore; a permeare le opere è la storia che si riflette malinconica nel paesaggio attuale e la natura malconcia che ammorbidisce il territorio e le leggi cui è sottoposto. In alcune si intravede una sensibilità vagamente fané, proprio come gli edifici del Vedado; in altre è più forte la ricerca della propria identità, proiettata verso il futuro ma lucidamente consapevole di un presente contraddittorio ma proprio per questo vitale. A differenza di ciò che accade in un romanzo di Leonardo Padura Fuentes, il passato è una spina nel fianco, ma finalmente non è l’unico centro di gravità: è il presente liquido a funzionare da generatore di creatività.
Il lavoro più recente di Yaque (che assomiglia in modo inquietante all’eroe rivoluzionario Camilo Cienfuegos) è rappresentato da grandi dipinti, superfici realizzate con la tela a terra mediante grandi spatole, sui colori bruni, ocra e marroni. “Tutto proviene dalla terra e torna alla terra”, sintetizza durante la conversazione nel suo studio, dove si vedono non solo tele ma anche fotografie e parti di installazione; ha esposto alla Galleria Zacheta di Varsavia nel 2012 e ha partecipato alla Biennale de L’Avana nel 2014. Anche Campins pratica la pittura: i suoi soggetti sono le tarima, le pedane dei comizi del popolo, luoghi abbandonati che riflettono la decadenza dell’ideologia; li ha presentati alla sua recente mostra da Sean Kelly a New York. Nelle tele la rappresentazione del paesaggio trasmette la percezione che ha l’artista del Paese, un luogo dove è tutto paradossalmente impermanente e allo stesso tempo immobile. “Morte e bellezza sono sinonimi di verità”, secondo Campins “ma si possono trovate anche in altri contesti, non solo a Cuba, come alla Città dei morti de Il Cairo, il cimitero abitato in cui vivono 500mila persone”, dove l’artista ha trascorso un periodo in residenza, in occasione di una recente edizione della Biennale.
Colpisce l’elaborazione di Reynier Leyva Novo, il Chino, il più concettuale dei tre, il cui soprannome deriva dalle sue origini cinesi. I suoi interessi non riguardano la storia rivoluzionaria, le comunità di più o meno recente immigrazione e il presente dell’isola. Secondo il Chino, sono proprio i cubani a sentirsi imperiali: “Cuba è una nazione che ostenta un naturale egocentrismo, a dispetto della reale situazione”. La ricerca lo porta a indagare anche le guerre di indipendenza ottocentesche, gli eroi Ignacio Agramonte, José Martì e Antonio Maceo in lotta per l’emancipazione dalla Spagna. Tra i suoi lavori più riusciti, Il peso della storia (2014), superfici quadrate totalmente nere che rappresentano la quantità di inchiostro presente nei documenti delle tante leggi che hanno condizionato la vita a Cuba dal 1959, come la costituzione, la legge sulla pena di morte, la libertà di stampa, rilevata attraverso un software che mette in relazione il peso della carta e quello dell’inchiostro.
OUT OF L’AVANA
Fuori da L’Avana, l’arte contemporanea è tutta un’altra cosa. Ciò che si vede sono stanche riproposizioni di ciò che potrebbe piacere a un turista in cerca di un souvenir di Cuba, almeno secondo l’immaginazione dei loro creatori. Opere in stile neocubista, oppure composte come caricature, molto colorate, molto kitsch. Così a Cienfuegos, dove c’è una Casa de la Cultura che ha sede proprio a Parque José Martì, la piazza principale, molto vicina al Museo Provincial, dove si trovano inaspettate tracce di interventi artistici; così a Trinidad, un centro che sembra essersi fermato al periodo delle colonie, tra ex piantagioni di canna da zucchero, da decenni lasciate incolte, e spiagge più o meno attrezzate.
Tra le cittadine a sud di L’Avana, quella decisamente più orientata all’arte è Camaguey, dove hanno sede diverse gallerie e dove sono state commissionate anche opere d’arte pubblica, come le sculture di Martha Jiménez a plaza del Carmen, vincitrice di un premio Unesco nel 1997 e nel curriculum la Biennale di Shanghai del 2010. Tuttavia, anche in questi spazi si ha l’impressione che l’obiettivo sia conquistare acquirenti interessati a un’arte di facile localizzazione geografica, un po’ come succede con l’arte contemporanea aborigena in Australia. Fanno eccezione alcuni graffiti e opere di Street Art, in alcuni casi davvero convincenti, come le abrasioni di Alejandro sui muri diroccati di alcune abitazioni del centro storico.
CUBA IN ITALIA
Non stupisce, quindi, che anche in Italia (e, come si diceva, in tutta Europa, come dimostra da esempio la rassegna Cuba libre. Contemporary Art since Peter Ludwig, in corso fino al 12 giugno al Ludwig Museum di Coblenza, accompagnata da un catalogo Silvana Editoriale) l’interesse per l’arte contemporanea cubana sia alto, come ha testimoniato il bel libro di ritratti di artisti nei loro atelier di Niccolò Guasti del 2015. Negli ultimi mesi, due mostre hanno coinvolto e coinvolgeranno artisti cubani: That’s Cuba. L’arte cubana nel collezionismo internazionale, che si è chiusa alla fine di febbraio alla Galleria di Palazzo Tiepolo Salvadori a Venezia, prodotta da Venice Art Society e Isolo 17; e Cuba. Tatuare la storia, che sarà aperta il prossimo 5 luglio al PAC di Milano con la curatela di Diego Sileo e Giacomo Zaza (e ancora catalogo Silvana).
La mostra milanese metterà a fuoco l’arte cubana “dentro e fuori dell’isola”, esponendo artisti delle generazioni attive dalla metà degli Anni Settanta in poi. Tra le altre opere e installazioni, saranno allestite una sala dedicata a Lázaro Saavedra (vincitore del Premio Nazionale delle Arti Plastiche 2014 voluto dal Ministero cubano della Cultura) e una sezione storica sul carattere performativo dell’arte contemporanea cubana. Saranno dedicati omaggi ad Ana Mendieta e a Félix González-Torres, i rappresentanti dell’arte cubana più intensa e tragica, che rimangono, sotto tutti i punti di vista, quelli in assoluto più convincenti, anche per aver pagato con la vita il loro personale tributo alla libertà creativa e di pensiero e il loro amore per la patria. “Nowhere better than this place, somewhere better than this place” (Félix González-Torres, Untitled, 1989/1990).
Antonella Crippa
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #31
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