Cespiti (II). Pozzallo & Cavalcanti
Un festival sui migranti, Guido Cavalcanti, la Metafisica, il barocco di Francesco Borromini più l'eterna forza della "cristallizzazione" italiana. E un'insegna di barbiere a Pozzallo - nell'estrema punta meridionale della Sicilia, dell'Italia e dell'Europa - che ci dice silenziosamente chi siamo e chi vogliamo essere. Questi gli ingredienti della seconda puntata della nuova serie "Cespiti".
Festival Sabir | Pozzallo, 13-14 maggio 2016.
La Metafisica è un tratto costitutivo del carattere italiano – e non è nata all’inizio del Novecento. Consiste in una sospensione delle coordinate spaziali e temporali; l’accelerazione giunge a un punto tale da disincagliare i personaggi e gli elementi e la scena, per installarli in una dimensione contemplativa e meditativa, in cui valgono altre regole. (La teatralità.) La “cristallizzazione” è il processo chiave e basilare: la trovate nelle rime di Guido Cavalcanti, così come nel barocco di Francesco Borromini. Non si tratta di astrazione pura e semplice: piuttosto, di una difficile conciliazione, e costante negoziazione, tra gli aspetti della realtà e le esigenze dell’idealizzazione. Alla base, c’è sempre un sentimento di distanza rispetto alla società e alle possibilità concrete di trasformarla, una sfiducia di fondo; normalmente – come del resto sta avvenendo anche oggi, questo sentimento genera il cinismo; altre volte, con le condizioni “ecologiche” giuste, è il punto di partenza per opere d’ingegno alte e efficaci. (Il messaggio implicito è: “lì fuori non posso cambiare niente, non posso intervenire con la mia azione; qui dentro, nello spazio dell’arte, ho potere finalmente e creo una dimensione mia, rarefatta, amara, diafana, malinconica, anche a volte ironica e giocosa ma non compromessa; distaccata”.)
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Scrive Maria Corti che “ogni persona nel XIII secolo, cioè nel pieno della vita comunale, si realizza socialmente, giuridicamente e quindi acquista funzione segnica soltanto entro il gruppo, entro ciò che veniva chiamato lo status” (Introduzione, in Guido Cavalcanti, Rime, a cura di M. Ciccuto, BUR Rizzoli 2015, p. 23). Ma perché, nell’Italia di questi Anni Dieci funziona poi in maniera così diversa? In questa società che nominalmente appartiene al XXI secolo, al di fuori della tribù e del sistema familistico di appartenenza non sei nulla – a maggior ragione nel momento in cui lo Stato, la “cosa pubblica”, si deteriora e si disgrega a vista d’occhio; dopo la “crisi” si assiste sempre più a fenomeni di brutale chiusura all’interno di gruppi e cerchie e congreghe e conventicole, siano esse professionali o semplicemente “sociali”; in contemporanea, con l’ascesa dello sharing e dei processi community-based, il concetto stesso – e la pratica – di “comunità” recede in Italia, insieme al linguaggio, al testo, alla comunicazione, alla solidarietà, ecc.
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L’insegna di un barbiere di Pozzallo – SALA DA BARBA – così umile commovente abbattuta fuorimoda nostalgica polverosa “sbagliata” – da risultare tremendamente bella (persino nel lettering e nei colori) – quella tinta è ottenuta attraverso innumerevoli giornate, sole versato, erosione, vento, tempo che passa e passa, vita che scorre – quella tinta non si ottiene artificialmente, ma è frutto di indietreggiamenti, regressioni, errori, ritardi, incomprensioni, equivoci naturali, sopravvivenze inspiegabili (la Storia secondo Montale…) – ed è poi questo che fa l’unicità di questa Italia impossibile, e in fondo inesistente, che è l’Estremo Sud.
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Il sole abbacinante – e Bloom (Harold) con i suoi controversi discorsi sul Canone, e l’adeguato uso della propria solitudine – il confronto con la propria mortalità – la Torre di Pozzallo (il dialogo della mente con se stessa) – oltre la rotonda, sulla destra l’insegna SALA DA BARBA scolorita dalla salsedine di decenni, rosa e giallastra – la Società Operaia di Mutuo Soccorso (fondata nel 1889), con l’orologio che suona le ore da un’epoca perduta, tende casalinghe, la terrazza nuova di cui gli anziani soci vanno molto orgogliosi, costruita due anni fa (è in grado di reggere svariate tonnellate) – Sea Sound: il ristorante in fondo al lungomare, e oltre oltre vicino al porto l’ingresso dell’HOTSPOT (che non c’entra con internet, ma ingabbia esseri umani).
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Un sole da cui ti devi difendere – l’apocalisse – un cinema d’altri tempi, con tende di velluto rosso, morbide comode poltrone e luci bianche rotonde – la cura di se stessi e degli altri, non perché te lo dice (tantomeno te lo impone) qualcuno, ma perché fa parte di chi sei, del tuo modo di vivere, e non potresti comportarti in altra maniera – e invece tutto è cheap, ciò che era prezioso è stato svenduto o buttato via (come le coperte delle nonne, quindici o venti anni fa)…
Christian Caliandro
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